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 2011  aprile 10 Domenica calendario

IL PROSSIMO SCONTRO SUL TETTO AL DEBITO

Con l’accordo notturno sul bilancio americano, il buon senso ha prevalso sull’ideologia. Una lezione di responsabilità per tutti. Ma ora a Washington si apre la partita più difficile, soprattutto per il contesto internazionale, quella per l’innalzamento del tetto sul debito pubblico: l’America ha già oltre 14mila miliardi di indebitamento e il limite imposto dal Congresso è a quota 14.290.

Se non sarà aumentato, entro la scadenza del 16 maggio gli Usa andranno in default. Il rischio è più grave di una chiusura temporanea del governo, ma il copione si ripete. Marco Rubio, giovane senatore della Florida, capofila dei Tea Party è intransigente: «Voterò per sconfiggere un aumento del tetto sul debito», ha scritto qualche giorno fa sul Wall Street Journal. La sua tesi: l’America ha bisogno di circa 4 miliardi di dollari al giorno per far fronte ai suoi impegni sul debito attuale. Se si continuerà di questo passo, avverte Rubio, «su base decennale, secondo le stime dell’Amministrazione, avremo un debito di 46mila miliardi di dollari. E fra dieci anni il debito sarà pari all’87% del Pil». Non siamo ancora ai livelli italiani ma poco ci manca. Con una differenza sostanziale: l’Italia è soprattutto indebitata con se stessa. L’America deve la metà del suo debito a investitori stranieri, Cina in testa.

Se Rubio e i suoi bloccano il tetto «per restituire vigore al Paese», saranno guai: Ben Bernanke, governatore della Federal Reserve, ha preannunciato che un impasse sul debito sarà «catastrofico». Il segretario al Tesoro Tim Geithner teme «una crisi finanziaria potenzialmente più severa della crisi dalla quale ci stiamo appena riprendendo». Pimco, uno dei più importanti gestori americani, ha già ridotto la sua esposizione su obbligazioni americane. John Paulson, altro gestore di grande successo, è lungo su azioni e sull’oro. Proprio l’oro è su livelli record, le materie prime volano e il dollaro si indebolisce. Se oggi il problema è l’inflazione, una paralisi sul debito brucerebbe l’America. Editorialisti liberal come Nicholas Kristof, del New York Times sono all’attacco: «Rubio è come Herbert Hoover...Politiche che hanno distrutto l’America e screditate già 80 anni fa».

Insomma, dopo gli accordi di ieri, rispunta la polarizzazione. Ma è davvero possibile che l’America vada in default se questa volta i Tea Party non mollano? Non succederà. Fra le righe del suo articolo, Rubio è gia pronto al negoziato: «Se dovrò approvarlo (un aumento del tetto ndr) sarà l’ultimo - ha concesso - ma in cambio voglio garanzie». Cioè una riforma fiscale a tutto campo, un taglio delle spese, un emendamento per il bilancio in pareggio e riforme per «salvare le pensioni e l’assistenza sanitaria». Rubio il pragmatico, come Obama. È solo questione di prezzo. Del resto il giovane senatore sa bene che una parte di queste richieste venivano dalla Casa Bianca. Come ieri, anche per il debito si arriverà all’ultimo minuto. Poi il tetto sarà innalzato. E i problemi di fondo, occupazione e crescita? Restano. Democratici o repubblicani potranno fare ben poco, la parola passerà al mercato.