Pierangelo Soldavini, Il Sole 24 Ore 11/4/2011, 11 aprile 2011
APPLICAZIONI NELLE NUVOLE
C’èchilaconsiderala nuova Rivoluzione industriale, in grado di modificare l’intero paradigma dell’informatica attuale. Se sarà così lo verificheremo, probabilmente, solo in seguito. Ma è certo che il cloud computing è la novità più concreta degli ultimi anni nell’It e sta già rivoluzionando il modo di concepire e di consumare i servizi. In questi ultimi giorni ha preso la forma della nuova musica di Amazon: la libreria online "regala" 5 Gb (20 Gb a pagamento) per le canzoni acquistate: ci si connette e le possiamo sentire in qualsiasi momento, senza fare i conti con la memoria dello smartphone. E tra pochi mesi Google dovrebbe presentare la sua nuova scommessa, un notebook senza hard disk: tutto diventa accessibile via web, dai programmi ai servizi, secondo il modello on-demand. E cosa sono le web apps, evoluzione di quelle che scarichiamo sullo smartphone o sul pc? Software che sono resi disponibili mediante il browser, senza doverle neanche installare. Tutto con una connessione!
Il concetto di nuvola non è nuovo. Magari senza saperlo ognuno di noi utilizza già il cloud sotto le forme più diverse. L’idea di base è semplice: dati, software e servizi possono essere separati dal server aziendale, dal pc di casa o dallo smartphone aziendale per essere depositati all’esterno, in enormi datacenter appositi, accessibili via internet, rappresentata come una nuvola. Ecco perché si parla di cloud. «Con il cloud computing assistiamo alla trasformazione da un mondo It guidato dai prodotti a un mondo di servizi simile alle utility», commenta Simon Wardley, ricercatore del Leading Edge Forum.
Ora il nuovo paradigma entra in una fase più matura. La realtà più sfruttata oggi dalle aziende è l’Infrastructure as a service, quello sostanzialmente dello storage, accompagnata dal Platform as a service, legato a piattaforme che fanno girare interi servizi: sistemi che hanno il grosso vantaggio di fornire in primo luogo riduzione dei costi e flessibilità, fattori determinanti per le aziende in periodi di crisi (risparmi stimati sul 40% per l’infrastruttura e 30% sull’applicativo), ma che hanno però bisogno di tempi lunghi di implementazione. Il cloud si presenta come una priorità tecnologica per le aziende, anche in Italia, «ma senza una strategia precisa diventa inutile, se non dannosa» afferma Peter Sondergaard, senior vicepresident research di Gartner. Adesso che, dopo i tagli degli ultimi due anni, i budget It delle imprese sembrano aver ritrovato quantomeno stabilità, si richiede che questi investimenti siano più redditizi: «Il cloud – prosegue l’analista di Gartner – può garantire un sostegno all’innovazione e alla differenziazione delle aziende, agendo nella fascia alta dei servizi».
Le previsioni sono tutte ispirate all’ottimismo: Gartner prevede per il cloud un mercato mondiale da 149 miliardi di dollari per il 2014. Ma il Centre for Economics and Business Research rafforza la visione sostenendo in un rapporto pubblicato a dicembre che la nuvola avrà un effetto moltiplicatore in termini di produttività, creazione di lavoro, competitività e sviluppo del business: un effetto che il Cebr stima in oltre 1.000 miliardi di dollari di creazione aggiuntiva di valore e in 2,4 milioni di posti di lavoro in più solo in Europa, nell’arco dei prossimi cinque anni. Amazon stessa ha scoperto da tempo il valore della cloud e si è unita ai fautori del cloud della prima ora, da Google a Microsoft a Salesforce, che vedono emergere tra le nuvole un mondo di innovazione in grado di fare da volano alla crescita liberando quel fermento creativo che oggi caratterizza il comparto consumer, attorno a smartphone e tablet.
Il cloud diventa così un item strategico sul quale devono decidere il Ceo e il responsabile finanziario, non più solo la struttura informatica dell’impresa. «Impone alle aziende di valutare e decidere quale ruolo vogliono avere – aggiunge Giuseppe Gorla, responsabile Technology di Accenture Italia –: se essere meri utenti di cloud, disinvestendo asset rilevanti e ottenendo un servizio di qualità, oppure diventare provider, investendo in strutture a supporto del business, prima all’interno dell’azienda e poi verso l’esterno».
Entro il 2015, secondo Gartner, il 50% delle imprese Global 1000 utilizzeranno il cloud per i loro dieci settori principali di reddito. E, conferma Sondergaard, la riduzione dei costi conseguente libererà nuove opportunità nella fascia alta dei servizi cloud. Inevitabilmente queste risorse prenderanno la forma delle apps: hanno creato un mercato inimmaginabile solo tre anni fa e adesso questi software stanno andando sempre più sul web, sfruttando browser che diventano veri e propri sistemi operativi e liberando l’hardware da pesanti fardelli di software mangia-memoria. Non a caso si inizia a parlare di Applications as a service.
I benefici sono chiari: flessibilità e riduzione dei costi in primo luogo, insieme alla possibilità di connessione da qualsiasi punto del mondo, con qualsiasi device (sempre che sia disponibile la banda larga, il che non è sempre così scontato). L’unicità è rappresentata dal fatto che si tratta di «una tecnologia davvero democratica – sottolinea George Hu, vicepresident marketing di Salesforce, uno dei pionieri del cloud, – che non fa differenza tra aziende piccole e grandi».
Una rivoluzione apparentemente senza controindicazioni, quindi. La crescita del mercato ha iniziato però a evidenziare anche i problemi. In primo luogo le questioni legate alla sicurezza. Troppo spesso, e in Italia più che altrove, le aziende sono restie nel mettere in mano ad altri dati essenziali per il proprio business, temendo in primo luogo che possano finire in mani non desiderate. Inoltre i contratti sono ancora poco trasparenti e confusi, con l’effetto che i clienti si trovano a dover affrontare spese superiori al previsto o ad aver problemi inattesi nella migrazione dei dati tra fornitori differenti. «Esiste un problema reale di legislazione in materia di responsabilità – conclude Sondergaard di Gartner –: non è ancora chiaro se il contractor sia legalmente responsabile, o quantomeno le leggi e la giurisprudenza sono diverse da Paese a Paese». Ma l’impegno per armonizzare le regole è già stato espresso in più sedi: la posta in gioco sembra troppo elevata per frenarne le potenzialità.