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 2011  aprile 10 Domenica calendario

PIÙ IMPRESA, MENO STATO. L’INNO LIBERISTA DI PESSOA


«C’è un paese in cui dopo le otto di sera è reato l’acquistare mele, banane, uva, ananas e datteri, mentre è consentito l’acquisto di albicocche, fichi, pesche e frutta secca». E ancora: «I gamberi sono, in quel paese, un problema giuridico tremendo poiché esistono dei gamberi in scatola che non si sa bene se, tecnicamente, siano gamberi o conserva; ed i giureconsulti e legislatori di quel paese già una volta si sono riuniti in conclave solenne per stabilire la categoria giuridica dei gamberi in tale condizione».
Ricorda qualcosa? Forse l’Unione europea che a suo tempo legiferò sulla lunghezza delle zucchine? No, era la legislazione bellica della liberale Inghilterra, riportata come esempio deleterio di statalismo dallo scrittore portoghese Fernando Pessoa, nel suo Economia & commercio. Impresa, monopolio, libertà, mandato in stampa dalle Edizioni dell’Urogallo (pp. 286, euro 18; riproposizione riveduta e corretta del volume pubblicato nel 2000 da Ideazione). Si tratta di una serie di articoli, curati da Brunello De Cusatis, scritti a cavallo fra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso e apparsi sulla Revista de Commercio e Contabilidade, che presentano un poco conosciuto Pessoa economista. Come altri letterati negli stessi anni, in primis Ezra Pound e G.K. Chesteron, considerava fondamentale riflettere sugli elementi che più plasmano il vivere civile: il lavoro, gli scambi, la ricchezza. D’altronde lui stesso si definiva «corrispondente straniero in imprese commerciali. Essere poeta e scrittore non costituisce professione, ma vocazione». Pessoa amava mantenersi nell’ombra, scriveva quando tornava a casa dopo aver svolto diligentemente il proprio lavoro impiegatizio in un’azienda privata e si nascondeva sotto vari pseudonimi.
Questi scritti riflettono una conoscenza di prima mano dei meccanismi lavorativi e commerciali. La sua filosofia di fondo prevedeva la strenua difesa delle libertà individuali minacciate da uno Stato sempre più pervasivo, che perseguita il cittadino con troppe regole, una selva di leggi, un fisco aggressivo spietato. Valori da aristocratico individualista che mal si conciliano con quella sinistra alla Tabucchi che ha sempre avuto in Pessoa una bandiera. Ma tant’è. Basta buttare a mare la visione politica ed economica dello scrittore, salvare i romanzi e le poesie al di fuori di ogni contesto, e il gioco è fatto.
Invece, secondo noi, è ben difficile scindere i vari aspetti dell’attività di un pensatore. E comunque consideriamo di grande interesse, e pure di attualità, gli spunti forniti da questi articoli. Per Pessoa il liberalismo «è un ritorno alla politica dell’antica Grecia, tramandataci da Aristotele: lo Stato esiste in funzione dell’individuo e non l’individuo in funzione dello Stato». Negli anni Venti, con l’avvento dei totalitarismi e delle socialdemocrazie, lo scrittore nota come il liberalismo sia stato messo in soffitta. Con tutta una serie di misure restrittive (protezionistiche, proibizionistiche, sugli orari dei negozi, sulle importazioni ed esportazioni) il primo a essere colpito è il commerciante. Lacci e lacciuoli che, in ultima analisi, danneggiano l’economia nel suo complesso, perché bloccano la crescita industriale e fanno crollare i consumi. Ma a farne le spese è anche il buon senso. Pessoa ha buon gioco a ridicolizzare il proibizionismo tanto in voga negli Stati Uniti, «allorquando si prescrive a un adulto quel che deve bere e quel che non deve bere, mettendogli la museruola, come a un cane». «Perché», si chiede, «non decretare anche quel che dobbiamo mangiare, vestire, fare? Perché non prescrivere dove dobbiamo abitare, con chi dobbiamo sposarci? Tutte queste cose sono importanti per la nostra salute fisica e morale; e se lo Stato si appresta a fare da medico, tutore e governante per una di esse, per quale ragione non si appresterà a farlo per tutte?». Pessoa stesso finisce sotto le grinfie della mordacchia moralistica, per colpa dello slogan da lui coniato per pubblicizzare la Coca Cola, di cui era rappresentante in Portogallo: «Prima sorprende, poi si manda giù». Il governo di Lisbona, temendo che si trattasse di una bevanda tossica, “stupefacente”, ne proibì la distribuzione.
Da questi articoli emerge quanto lo scrittore disprezzi il burocrate che si annida negli uffici pubblici, spesso pigro, corrotto, maleducato, e quanto invece esalti il bottegaio, intraprendente, creativo, gentile con la clientela. Sbaglierebbe però chi crede che Pessoa possa essere considerato un semplice liberista. Rimane pur sempre un poeta e un letterato. E così non può non cogliere il collegamento fra le società basate sul commercio e la cultura. «Tra il commercio e la cultura», scrive, «esiste da sempre una stretta relazione»: «Difatti le società più preminentemente distintesi nella creazione di valori culturali sono quelle più preminentemente distintesi nell’esercizio assiduo del commercio». Due su tutte: l’antica Atene e la Firenze rinascimentale. Insomma l’inno alla libertà individuale, in tempi di esaltazione delle masse, fa di Pessoa un aristocratico dello spirito, politicamente molto scorretto. E, come scrisse Geminello Alvi, pur vedendo nel libero commercio la panacea di molti mali, fu un perfetto esempio di distacco scientifico: non divenne mai ricco.

Andrea Colombo