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 2011  marzo 10 Giovedì calendario

«Ogni cosa ha la durata di un giorno, sia chi ricorda, sia chi è ricordato», ha lasciato scritto Marco Aurelio, l’imperatore filosofo

«Ogni cosa ha la durata di un giorno, sia chi ricorda, sia chi è ricordato», ha lasciato scritto Marco Aurelio, l’imperatore filosofo. Deve essere nata da questo desiderio di prolungare il ricordo e la presenza delle persone scomparse l’invenzione del ritratto plastico. I primi esempi risalgono agli albori della civiltà, all’incirca novemila anni fa, quando le popolazioni che abitavano la fascia territoriale compresa fra le attuali Turchia, Siria, Giordania e Israele cominciarono a recuperare i crani degli antenati sepolti e, una volta scarnificati, a ricoprirli di argilla. I tratti facciali del defunto venivano modellati con estrema perizia dagli artigiani con una tecnica che ricorda alla lontana quella dei moderni anatomopatologi forensi. Sono le prime maschere funerarie e coincidono con i primi ritratti. Ma ben presto le due strade si separano. In quale modo, si può scoprire nella mostra «Ritratti. Le tante facce del potere», curata da Eugenio la Rocca e Claudio Parisi Presicce e aperta da oggi al 25 settembre ai Musei Capitolini. L’esposizione, seconda tappa del progetto quinquennale «I giorni di Roma», presenta attraverso centocinquanta pezzi, tra teste, busti e statue a figura intera, il percorso del ritratto romano dal IV secolo a. C. al IV d. C. Dai primi esemplari in terracotta a quelli in bronzo, fino ai capolavori in marmo, si vede come gli uomini che riuscirono a formare l’Impero e ad amministrarlo per molti secoli scelsero di presentare ai loro contemporanei la propria immagine, elaborandola sull’esperienza figurativa greca ma trovando uno stile nuovo e originale. All’inizio del percorso, il confronto tra la testina in terracotta del Louvre e la sfilata di volti di sovrani ellenistici fa capire subito la distanza tra la maschera funeraria e il ritratto. Nella prima, i tratti del vecchio raffigurato sono realistici ma hanno la stesa rigidità della morte. Gli altri, di provenienza greca, sono scolpiti seguendo un modello ideale, che ispira anche i ritratti di terracotta dell’artigianato etrusco-italico. Qui i tratti facciali vengono migliorati, secondo i canoni di bellezza vigenti, i capelli pettinati secondo la moda del tempo, la barba folta e la fronte corrugata indicavano l’intellettuale sotto il peso dei pensieri. I ritratti dei filosofi greci, prodotti in gran quantità, dovevano servire all’inizio per arredare le biblioteche e soddisfare la curiosità dei frequentatori, i quali volevano sapere che faccia avessero gli autori che stavano leggendo. Ma ben presto questi modelli vennero seguiti anche dai nobili e dai cittadini più facoltosi, che si facevano immortalare per aumentare il prestigio della famiglia. Un ritratto di Alessandro Magno, con i capelli a criniera di leone, sollevati sulla fronte e ricadenti a ciocche ai lati del viso, è replicato a Roma in numerosi esemplari. Un’altra tipologia molto seguita era quella del drammaturgo, raffigurato senza barba, perché i drammaturghi passavano per essere uomini di mondo, come i sovrani. Un ritratto di Menandro, realizzato dai figli di Prassitele, ebbe un tale successo nel mondo romano che perfino Cicerone e Pompeo Magno si fecero raffigurare come lui. Lauretta Colonnelli