Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  aprile 10 Domenica calendario

QUELLA DOPPIA MORALE SUI TAGLI

Due fotografie di diversa serietà, a proposito di spesa pubblica: l’America, e noi. Negli Stati Uniti, se il Congresso non approva il bilancio, non si procede con l’esercizio provvisorio come da noi. Semplicemente, gli uffici federali sono costretti a chiudere, e chi s’è visto s’è visto. Tanto che il presidente Obama nella notte tra venerdì e sabato ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Negli Stati Uniti la Camera dei Rappresentanti è a maggioranza repubblicana.
E i repubblicani, stufi del debito pubblico a vagonate prodotto dai democratici, volevano tagli reali alla spesa per oltre 60 miliardi di dollari nel 2011. I democratici erano disposti solo a 6 miliardi. Obama ha dovuto abbassare le penne, e accettare tagli per 39 miliardi che fanno storcere il muso ai democratici. Solo a questo prezzo, gli uffici federali oggi riaprono in tutto il Paese.
Da noi, Giulio Tremonti è riuscito nel 2010 a contenere il deficit dal 5,3% del Pil del 2009 al 4,6%, Ma è stata una lotta impari, riuscire a ottenere quei 9 miliardi di euro minor deficit. Perché l’opposizione è sempre pronta a insorgere di fronte a ogni contenimento, come se si mettesse a rischio la democrazia. E la maggioranza è altrettanto pervicace nel gioco delle tre scimmiette non vedo, non sento, non parlo per cui ogni taglio annunciato tra mille polemiche iniziali viene poi rivisto e ridotto, diluito e annegato in rinvii e nuove spese che avvengono a telecamere spente e quando media e contribuenti sono distratti da altro.
Ecco perché sono preziose inchieste come quella di Alberto Gentili sul Messaggero di ieri. La buona stampa serve proprio a questo: diffidare degli annunci dei politici e prendersi la briga di compulsare pile di carte e di atti, per documentare se i fatti concreti seguano poi davvero ai roboanti annunci. Purtroppo, il dispiacere è quello di dover dire a lettori e contribuenti: ancora una volta la politica ci ha gabbato. E lo ha fatto proprio su uno dei punti sui quali la sensibilità pubblica è giustamente più attenta e indignata: i costi degli apparati pubblici. In un Paese in cui a vivere di politica ai diversi livelli si calcola che siano quasi due milioni e mezzo di persone, e con 3 milioni e ottocentomila dipendenti pubblici, scoprire ogni volta che i tanto conclamati tagli si risolvono in una beffa è motivo di tripla amarezza. Innanzitutto perché politici e capi delle Autorità, Agenzie ed Enti pubblici mostrano evidentemente una doppia morale: quella iniziale della compartecipazione ai sacrifici è una mera recita, a cui fa seguito la difesa puntigliosa di privilegi e prerogative. Poi, perché milioni di italiani non conoscono invece salvagente e paracadute altrettanto munifici: a disoccupati e cassintegrati nessuno regala niente, e lo stesso vale per le famiglie che stringono la cinghia, risparmiano e consumano meno. Infine, la beffa finale è che i tagli annunciati e non tradotti in pratica significheranno quest’anno e per quelli a venire maggior deficit aggiuntivo, che toccherà naturalmente a noi contribuenti pagare con tasse più elevate, tassi più alti sui mutui, minori rendimenti sui titoli di Stato.
Immagino che al direttore del Messaggero ciascuna delle istituzioni di cui ha scritto Gentili avrà indirizzato ponderose precisazioni e chiarimenti, sul perché e sul per come questo o quell’impedimenti normativo e amministrativo abbia determinato che i tagli per deputati e senatori siano stati del 25% inferiori a quelli annunciati, che quelli ai giudici costituzionali si siano ridotti a meno del 3% lordo degli emolumenti di ciascuno e in un aumento del loro costo complessivo, che in Banca d’Italia i dipendenti scioperino perché convinti di non far parte del pubblico impiego e dunque di essere sollevati da ogni risparmio, che la Consob abbia atteso di capire che cosa succede in Bankitalia, che l’Antitrust sia stata invece ben diversamente rigorosa ma col risultato di 240 ricorsi al Tar cioè uno per ciascun dipendente, che infine le Autorità per le comunicazioni e per l’energia abbiano aggirato il blocco triennale degli scatti di anzianità.
Ma nessuna scusa tecnica può mutare il fatto oggettivo, che resta scandaloso. Che parlamentari e magistrati si siano da decenni agganciati l’un con l’altro emolumenti e indennità, e che a questo girone di privilegiati sia stato collegato il variegato mondo delle Autorità di mercato e di settore, è uno spregevole artificio perché ciascuno poi non possa essere toccato senza chiamare in causa gli altri. Il risultato è che abbiamo i parlamentari, i giudici e i commissari di Autorità più pagati del mondo, per multipli addirittura di quelli americani. Tutti pronti poi a far lezione a noi italiani, a darci degli evasori fiscali e dei pigri o riottosi di fronte agli obblighi di legge. Loro, che la legge la fanno in Parlamento e la applicano in Tribunale o sui mercati, loro invece riconoscono a se stessi una legge esclusiva: ciò che prendono una volta è preso per sempre, e i cocci sono nostri. È di questa doppia morale che si ammalano le democrazie, perché sfiducia e antipolitica ne sono gli inevitabili effetti. Fin dai nomoteti greci che scrissero nel VII e VI secolo avanti Cristo i primi modelli di Costituzioni per le città-Stato, sappiamo che tiranni e oligarchie nascono da politici attenti più alla propria borsa che a quella altrui. Da noi, i politici confidano sul fatto che gli italiani siano fatalisti e rassegnati. Sbagliano. Come chiunque nei secoli precedenti ha commesso lo stesso errore, se ne ricorderanno solo quando la rabbia popolare li avrà detronizzati.