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 2011  aprile 09 Sabato calendario

IN MOSTRA IL TESORO DI SAN GENNARO

San Gennaro è cittadino di Napoli. Unico patrono che è tutt’uno con il suo popolo, ne condivide la vita quotidiana e lo difende da ogni minaccia. E la sua gente lo ricambia da sempre. Questo è il tesoro del santo, secondo la fede cattolica. Ma la devozione, nei secoli, si è materializzata in un patrimonio di gioielli, sculture e tele che non ha eguali al mondo. Più di quello della corona d’Inghilterra, più di quello degli zar. E le cifre di questo Tesoro sono da capogiro: 21720 capolavori, 54 statue d’argento massiccio, dipinti e arredi sacri. Solo nella celebre mitra realizzata nel Settecento dall’orafo Matteo Treglia ci sono 3964 pietre preziose e la collana di Michele Dato è composta da 13 maglie di oro massiccio, 700 diamanti, 276 rubini, 92 smeraldi. Un tesoro rimasto intatto nei secoli, perché mai depredato e che si è sempre arricchito per i doni di sovrani, pontefici, nobili e popolo.
La mostra che si apre oggi (fino al 12 giugno) e che ieri è stata presentata in anteprima, «Le pietre della devozione. Le meraviglie del Tesoro di San Gennaro», è un evento straordinario, perché per la prima volta fa uscire dai caveau (quello del Banco di Napoli, in particolare) beni di inestimabile valore. Non solo, ma è una mostra che si dissemina nel centro antico di Napoli, in luoghi che sono anch’essi dei capolavori dell’arte e della storia della grande capitale: oltre al museo del Tesoro di San Gennaro, la Real Cappella, il Complesso dei Girolamini, il museo diocesano e l’Archivio storico del Banco di Napoli. Il cuore dell’esposizione è, però, nel museo del Tesoro, diretto da Paolo Jorio, dove spiccano dieci pezzi unici. Ognuno ha una storia che meriterebbe un elogio della devozione popolare verso il santo del miracolo, del sangue che si scioglie, della mano che ferma la lava del Vesuvio.
Dieci meraviglie, tra le quali spiccano, le cinque inedite, come la collana di Dato, commissionata dalla Deputazione della Cappella (che insieme al museo organizza la mostra) del 1679 e che, come un palinsesto, si è allargata con le gioie donate nei secoli, fino all’anello di Maria José e agli orecchini di una popolana scampata alla peste del 1846, perché Gennaro non snobba nessuno, anzi accoglie sempre. E poi la mitra per il busto del santo che da solo è uno spettacolo che s’illumina di colori, ricchezza e fede. Ancora: il Calice in oro, rubini, smeraldi e brillanti regalato da Ferdinando IV di Borbone (del 1761), e la Pisside gemmata, dono del nipote Ferdinando II (del 1831), con rifiniture di una delicatezza inusuale. E infine, la Croce episcopale in oro, smeraldi e brillanti, portata da Umberto I e Margherita di Savoia nel 1878.
Opere di altissima oreficeria che si affiancano agli altri gioielli normalmente esposti nel Museo: la Croce in argenti e coralli del 1707, regalo della famiglia Spera; l’Ostensorio in oro, pietre, perline e smalti del 1837; il Calice in oro zecchino del 1849, portato da Pio IX; la Pisside in oro, corallo e malachite del 1931 offerto di Umberto II. E c’è, naturalmente, l’Ostensorio in argento e rubini del 1808 che il rivoluzionario Gioacchino Murat consegnò al santo. Lo fece su consiglio di Napoleone che, caso più unico che raro, donò invece di depredare.
San Gennaro non dice mai no, raccontava Giuseppe Marotta. Non lo disse nemmeno ai giacobini, durante la rivoluzione del 1799. E un quadro di mano anonima, recentemente acquistato in Francia, illustra quel miracolo controverso compiuto sotto l’occhio vigile e speranzoso del generale Championnet che, nel racconto fantasioso ma seducente di Alexandre Dumas, minacciò il cardinale affinché facesse sciogliere il sangue. San Gennaro l’accontentò e non era neanche uno dei giorni deputati. Il bene dei suoi concittadini viene sempre prima di qualsiasi bega politica o militare, fosse anche un’occupazione straniera. Ed è questo il Tesoro.