Alberto Gentili, Il Messaggero 9/4/2011, 9 aprile 2011
TRUCCHI, SCONTI E RITARDI COSÌ IL PALAZZO DRIBBLA I TAGLI
Giulio Tremonti, quando venne approvata la legge numero 122 il 30 luglio scorso, era stato chiaro. Dal primo gennaio doveva scattare il giro di vite per salvare dal tracollo le casse pubbliche: meno 10 per cento delle retribuzioni e blocco degli incrementi di stipendio per tre anni. Invece, a distanza di oltre tre mesi, si scopre che per onorevoli, senatori, giudici costituzionali, dipendenti della Consob, quel taglio del dieci per cento è stato applicato solo in parte. Anzi, nel caso della Commissione di controllo della borsa (Consob), guidata dall’ex viceministro dell’Economia Giuseppe Vegas, non è stato applicato affatto. Tra trucchi, trucchetti contabili, e una babele di pareri giuridici, chi ha potuto ha evitato o ha ridotto l’impatto della sforbiciata di Tremonti. E bye bye austerity per salvare il bilancio pubblico. Il taglio si fa con lo sconto.
Camera e Senato
Un deputato o un senatore prima del 31 dicembre scorso metteva in tasca 13.679 euro netti al mese. Dunque, se la matematica non è un’opinione, il taglio sarebbe dovuto essere di 1.367 euro mensili. Gli uffici di presidenza di Camera e Senato, invece, si sono limitati a ridurre di 500 euro mensili la diaria e di 500 euro al mese l’assegno per il portaborse. Risultato: meno mille euro ogni mese. Spiegazione: gli uffici di presidenza non potevano incidere sulla parte dello stipendio chiamata indennità parlamentare (5.486 euro) in quanto sarebbe stata necessaria una legge. Stranamente, però, il 17 gennaio 2006 gli stessi uffici hanno provveduto a effettuare una decurtazione del 10 per cento alla stessa indennità. Non solo. Deputati e senatori incassano ogni anno, a piè di lista, altri 13.292 euro per i trasferimenti da e verso l’aeroporto (3.323 al trimestre) e altri 3.098 euro annui di spese telefoniche. Anche qui non c’è ombra di risparmi.
Corte costituzionale
La Consulta il 16 dicembre, «per contribuire al contenimento della spesa pubblica», ha deciso di procedere al «riduzione delle spese» per un importo totale di 1milione e 60.000 euro all’anno fino al 2013. Ma invece di procedere a una riduzione del 10 per cento degli emolumenti dei giudici costituzionali (520mila per il presidente, 430mila per i giudici) in quanto membri di un «organo collegiale», ha applicato il sistema che la legge 122 prevede per i dipendenti. Vale a dire il taglio a scaglioni: nessuna detrazione fino a 90mila euro annui, il 5% da 90mila a 150mila, il 10% oltre i 150mila euro. Conclusione: i giudici si sono scontati 12mila euro lordi all’anno. E c’è una curiosità in più. Nel bilancio della Corte per il 2011 non c’è traccia dei risparmi. Anzi, risulta un incremento di spesa di 225mila euro: la voce retribuzioni dei giudici costituzionali passa infatti da 8milioni e 89mila euro del 2010 a 8milioni e 314mila euro del 2011.
Banca d’Italia
L’articolo 3, comma 2 della legge 122 stabilisce: «La Banca d’Italia tiene conto, nell’ambito del proprio ordinamento, dei principi di contenimento della spesa per il triennio 2011-2013». Ebbene il 31 marzo, con tre mesi di ritardo, via Nazionale si è mossa. Con due decisioni. La prima: il blocco degli stipendi per 3 anni, salvo però un’indennità «di vacanza contrattuale pari al 50% dell’indice previsionale dei prezzi al consumo». La seconda: il taglio a scaglioni (5% tra 90mila e 150mila euro, 10% oltre i 150mila euro). Il direttore generale Fabrizio Saccomanni, con la benedizione del governatore Mario Draghi, si è mosso per evitare di finire nella classifica di Sprecopoli. E si è mosso nonostante che il sindacato interno avesse minacciato di salire sulle barricate. Il 31 marzo Saccomanni ha scritto: «Il rischio reputazionale connesso a ulteriori rinvii ha reso necessario ottemperare alle disposizioni di legge, considerato che la decorrenza delle misure di austerità è dal 1 gennaio scorso e che le istituzioni assimilabili alla Banca sotto il profilo del grado di autonomia, quali gli Organi costituzionali, hanno già adottato le iniziative di propria competenza». Come dire: per non perdere la faccia, non posso fare altrimenti. Ma i dipendenti, nonostante le buone ragioni del direttore generale, si sono ribellati: «E’ una decisione che viola l’autonomia contrattuale dell’Istituto, che non rientra nel comparto del pubblico impiego», hanno tuonato i sindacati. Il 15 aprile è fissato uno sciopero.
Consob
E’ il caso più curioso. Qui comanda Giuseppe Vegas e in quanto ex braccio destro di Tremonti al ministero dell’Economia, avrebbe dovuto applicare il giro di vite con più rigore e più convinzione. Invece la Commissione di controllo sulla Borsa è andata a bussare all’Ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio dei ministri e ha ottenuto un parere morbido. Il 3 febbraio palazzo Chigi ha scritto alla Consob, spiegando che «in base la legge 216 del 1974 si applicano i criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d’Italia». E dunque la Commissione di controllo sulla Borsa dovrà adottare le «misure di contenimento della spesa che saranno adottate dalla Banca d’Italia». Al momento, però, nonostante l’intervento del 31 marzo deciso dall’Istituto di via Nazionale, in Consob non si ha notizia di alcun adeguamento. E dunque di alcun taglio.
Antitrust
L’Autorità garante per la concorrenza del mercato ha applicato alla lettera la legge Tremonti. E l’ha fatto dal 1 gennaio, in forza di un parere della Ragioneria generale dello Stato. Ciò ha portato al blocco totale degli stipendi fino al 2013, al taglio del 10% dell’indennità dei commissari e del presidente e alla riduzione per scaglioni di reddito per i dipendenti. Immediata la reazione: il presidente Antonio Catricalà si è ritrovato sommerso da ben 240 ricorsi al Tar su un totale di 240 dipendenti. Bingo. Spiegazione di Stella Branca, rappresentante sindacale Cisl: «Per legge il trattamento del personale deve seguire quello stabilito nel contratto collettivo di Bankitalia». Peccato che nel frattempo Bankitalia si sia mossa.
Agcom ed Aeg
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, sempre dal primo gennaio, hanno applicato il taglio a scaglioni per i dipendenti e il taglio del 10% per i commissari (ora guadagnano 396mila euro annui) e per il presidente (475mila). Ma al contrario dell’Antitrust, il blocco triennale delle retribuzioni è stato addolcito con un escamotage: fra tre anni i dipendenti si ritroveranno in busta paga i compensi derivanti dall’avanzamento di carriera maturato con l’anzianità del periodo 2011-2013. Anzianità che, secondo il giro di vite imposto da Tremonti, dovrebbe invece essere sterilizzata.