Gianni Clerici, la Repubblica 11/4/2011, 11 aprile 2011
ROSSO TENNIS
Terra Rossa. E´ ormai, da noi, sinonimo di campo da tennis. L´aggettivo rossa la distingue ormai dalle altre terre, e si spinge a indicare, secondo il mio amico Carlo, geologo, alcuni «residuali, con presenza accentuata di frazioni argillose o calcaree». Vennero di moda, i campi rossi, dopo che gli inglesi ebbero riscoperto, e codificato nel 1874 , il lawn tennis, e cioè il tennis da prato, reso possibile dall´introduzione della palline in gomma. Fin lì, a partire dal quattordicesimo secolo – oh yes – il tennis si era giocato al coperto, su pavimenti in pietra, i soli che lasciassero rimbalzare palle di cuoio o cartone ripiene di capelli.
Dalla Gran Bretagna il gioco si spostò sulle spiagge della Manica , là dove le testimonianze iconografiche ci mostrano reti analoghe a quelle inglesi, e campi destinati a giochi infantili. Dalla Manica tracce britanniche emergono al Beau Site di Cannes già nel 1875, su una Costa Azzurra feudo invernale delle vacanze dei ricchi inglesi. Anche lì, come a Bordighera, propaggine rivierasca, (1878) i fondi in arena iniziano a colorarsi di rosso, il rosso del mattone. Il fondo che oggi ci sembra ovvio, composto, come mi ricorda Cristina Cremonini, della ben nota ditta, da cinque strati. Il più profondo costituito da un vespaio di 20-30 centimetri di ghiaione, che si innestano a 5 di pietrisco, a 4 di macinato drenante, a un sottomanto di altri 4, e alla cipria , la spolverata finale, il make up.
La terra – e poi smetto – è ottenuta da residui di fornaci, di mattoni o argilla cotta, di granuli di varia dimensione, spesso più corposi nel Nord Europa che sui rossi mediterranei, storicamente più lenti. E quindi atti a costituire la nascita di tennisti che fanno della regolarità la loro arma principale, affermo, nella certezza che non mi legga Borg, il prototipo di difensore mai nato: e guarda caso, in Svezia, patria di campi coperti dai fondi veloci.
L´associazione con i campi, ovvi per noi quanto il parquet o le piastrelle per le colf, mi è stata suggerita dall´inizio della stagione sul rosso, le mie vacanze dacchè, da tennista fallito, il destino mi trasformò amabilmente in scriba .
Inizia, tradizionalmente, la corsa rossa, da Montecarlo (fondato, guarda caso, da un americano e ora principesco) continua traverso Barcellona (era natalizio e reale), Roma (era milanese, dal 1923 , poi ci pensò Musslusconi) e infine Roland Garros (un aeropilota): sono, in tutto, due mesi, ma non mi sono mai trattenuto, dopo aver seguito un Giro di Francia, dal paragonare gli otto tornei al Tour de France con Racchetta, tanto dura è la sequenza, che induce spesso le vittime di sponsor o di agenti scervellati all´incidente muscolare o al crollo.
Nel tempo, il mio amico Marianantoni che si diletta di statistiche, ha trovato alcuni serial winners capaci di incredibili catene di vittorie consecutive, quali Guillermo Vilas con 45 tornei rossi successivi, Muster con 40, Borg con 30 e, udite, Nadal che ne ha già 29, e si appresta quindi a superare quel mostro dello svedese. Da notare, senza che io abbia lo spazio per un approfondimento tecnico, che quelli che saranno presto i tre leaders della classifica serial winners sono tutti mancini. Chissà perché. Ma non si è limitato, il mio consulente, alle vittorie nei tornei, bensì alla serie di partite vinte che vede Nadal in testa, con 81 match filati, seguito da Vilas con 53. Ma qui non ci sta il mio amico Guillermo, ancor furioso per essersi ritirato nel torneo di Aix en Provence 1977 contro quel birbo di Nastase che impugnava la subdola racchetta-spaghetti, dalle corde aggrovigliate, poi divenuta illegale grazie agli studi del torinese Altissimo.
Da queste note non approfondite si desume che, sulla terra, il tennis abbia connotazioni diverse che sulle altre superfici, per il maggior attrito della palla che, se vedete un´immagine di un macrofilm, si scava addirittura una buchetta nel morbido terreno. Si spiegano così i fallimenti di tanti grandi, di un Sampras , un Connors e un Becker che mai raggiunsero la finale a Parigi, e di un McEnroe che, dopo essersi fatto riacciuffare e battere da Ivan Lendl esclamò disgustato «the clay is a shit», la terra è una cacca .
Almeno per lui. Mentre, al contrario, Nadal mi ha appena garantito, tramite il suo agente Di Palermo, che «la tierra es mi habitat» , mentre il nostro Nicola Pietrangeli la definisce, più che una mamma «la vecchia zia che ha assistito al mio parto». Ricordo, al lettore inesperto, che Nicola fu capace di vincerne due di Roland Garros, più due Internazionali d´Italia. In testa a Parigi troviamo Borg (poker ‘78-‘81 più due che fan sei ) Nadal (poker 2005-‘08 più uno, per ora = a 5) e, dal 1926 al ‘32 altri quattro successi di Henri Cochet, a torneo appena iniziato nel ‘25.
Ha un solo difetto, il circuito rosso. Dura soltanto due mesi, mentre, con ben nove degli attuali primi del mondo – il decimo è inglese – gli europei avrebbero diritto a ben più tornei. Che non massacrano quanto i campi duri, e, credo, offrono un migliore spettacolo. A presto, amici.