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 2011  aprile 11 Lunedì calendario

DAL NOSTRO INVIATO ZARZIS

(Tunisia) — Con i due-tre barconi di immigranti dati in partenza tra ieri e oggi i trafficanti di Zarzis incasseranno un po’meno del solito. Una cifra complessiva intorno ai 10 mila euro. Ma dal 14 gennaio a oggi, il giorno nello stesso tempo della rivoluzione dei ciclamini e della partenza del primo battello per Lampedusa, il fronte del porto tunisino ha messo le mani su almeno 18-20 milioni di euro. L’equivalente del fatturato bimestrale di una media impresa europea, ma da queste parti una somma in grado di scompaginare il fragile equilibrio socioeconomico, costruito su una trentina di grandi alberghi per il turismo «tutto compreso» , il traffico di benzina con la Libia (ora fermo), un po’di pesca, qualche spezzone di agricoltura e un pulviscolo di attività commerciali a basso rendimento. Il «business clandestino» è cominciato in modo artigianale: una decina di pescatori-scafisti pronti a ritornare al vecchio «mestiere» ; un po’di ragazzotti con precedenti penali per reati minori. Insomma un’organizzazione elementare che la polizia avrebbe potuto smantellare, se solo avesse esercitato un centesimo dell’ordinaria repressione sperimentata nei 23 anni del regime di Ben Alì. Forse è venuto il momento di chiedersi perché non lo ha fatto e non lo fa. Qualcuno assicura che i trafficanti abbiano messo a libro paga le pattuglie della guardia costiera. Altri ritengono che siamo già nella «fase due» : vecchi arnesi del regime, con o senza divisa, si starebbero riciclando nella mafia nascente di Zarzis. È chiaro che ai vertici e anche nei livelli intermedi della filiera si sono insediati personaggi di ben altra caratura, rispetto agli scafisti del debutto. C’è chi parla di criminali venuti dalle grandi città (Sfax, forse anche Tunisi), chi di vecchi immigrati rientrati per entrare nell’affare. Sta di fatto che solo un mese e mezzo dopo la «banda dei pescatori» è diventato un clan (o un cartello di cosche) che può contare almeno su 200-300 dipendenti fissi. La produttività e l’efficienza sono aumentate con tassi di crescita alla cinese. Dopo quel primo peschereccio del 14 gennaio sono salpate da qui, a voler stare bassi, almeno altre 100-150 imbarcazioni, con oltre 15-18 mila ragazzi, ciascuno dei quali ha pagato, in media, 1.300-1.500 euro. A queste cifre si arriva incrociando i dati ufficiali degli sbarchi tunisini a Lampedusa, le stime informali dei comandi militari e delle capitanerie di porto di Jerba e Medenine, e, infine, mescolando il tutto con il fiuto dei vecchi pescatori (neutrali) di Zarzis. Con venti milioni di euro nella Tunisia meridionale potrebbero campare (bene) per un anno intero 3.300 famiglie o 15 mila cittadini tunisini. Certo, «la linea di assemblaggio» si è allungata: intermediari, galoppini del servizio d’ordine, trasportatori, oltre ai marinai incaricati di procurarsi barche lungo tutta la costa della Tunisia, perché quelle di Zarzis stanno finendo. Ma le risorse raccolte dai trafficanti si stanno concentrando in pochi nuclei pericolosamente fuori controllo. La prova? I «soldati» dei clan per ora sono armati selvaggiamente alla buona: coltelli, bastoni, machete, qualche vecchio fucile Steyr sottratto all’esercito nei giorni della rivoluzione. Ma, come dimostra la storia di tutte le mafie, i criminali amano comprare armi con lo stesso gusto con cui le signore di ogni età acquistano un paio di scarpe. Giuseppe Sarcina