Alberto Mattioli, La Stampa 10/4/2011, 10 aprile 2011
La Maison trasloca. La Comédie-Française, la più venerabile compagnia teatrale di Francia e forse del mondo, in scena ininterrottamente dal 1680, cambia teatro
La Maison trasloca. La Comédie-Française, la più venerabile compagnia teatrale di Francia e forse del mondo, in scena ininterrottamente dal 1680, cambia teatro. Pazienza: in 331 anni, non è la prima volta e non sarà neanche l’ultima. Bisogna mettere a norma la Salle Richelieu, la più importante delle tre che gestisce. Ma, invece di affittare un altro teatro, costa meno costruirne uno provvisorio nella Galleria d’Orléans del Palais Royal, qualche metro più in là. Tutto di legno, fatto di blocchi prefabbricati incastrati l’uno nell’altro: insomma, un Lego da 700 posti (quelli attuali sono 880), in servizio da metà della prossima stagione. Non esattamente a buon mercato: costerà 11 milioni di euro ma, una volta rientrati a casa, i «francesi» potranno smontarlo e affittarlo ad altri. Di chiudere, naturalmente, non passa per la testa a nessuno. La Comédie-Française è una gloria del Paese. E anche il suo specchio. Intanto perché è un’impresa privata di cui gli attori sono soci (522 dal 1680) ma che è sempre stata sotto tutela dello Stato: e questo è molto francese. E poi perché il Paese delle rivoluzioni è, in realtà, il più conservatore del mondo: anche in campo culturale, i regimi cambiano, le istituzioni no. E fra le più prestigiose ci sono appunto i «francesi», chiamati così in contrapposizione ai detestatissimi arlecchini italiani. Il 18 agosto 1680, da Charleville dove fa la guerra, Luigi XIV ordina agli attori dell’Hotel de Guénégaud, quelli di Molière, e ai loro rivali dell’Hotel de Bourgogne di fondersi. Molière non obietta: è morto da sette anni. Si era sentito male mentre recitava, ironia della sorte, il suo Malato immaginario . La poltrona in cui fingeva di essere malato essendo moribondo è ancora lì, alla Comédie, sotto vetro da quella reliquia che è. Da allora, è successo di tutto. Ma la continuità non si è mai interrotta, un filo che annoda le generazioni attraversando secoli, mode, regimi, guerre, autori, attori, amori, incendi di teatri e di passioni. I soci hanno recitato per i re, gli imperatori, i presidenti. E mai a nessun imbecille è venuto in mente di tagliare i fondi perché la cultura costa (è una delle ragioni per cui la Francia è una Nazione e l’Italia no). L’Opera di Pechino non si è mai ripresa dalla Rivoluzione culturale, quando gli attori più fortunati finirono nei campi e quelli meno al cimitero. La Comédie-Française si è sempre salvata. Con il Terrore, ci fu una scissione. I repubblicani seguirono Talma, il Gassman dell’epoca, giacobino scatenato (ma poi divo preferito di Napoleone e suo maestro di pose imperiali), i monarchici restarono e sei, compresa la divina mademoiselle Raucourt, furono condannati alla ghigliottina. Colpo di scena: li salva appena in tempo un modesto comprimario che ha fatto carriera al Comitato di salute pubblica. L’attività è ancora in gran parte regolata dal «décret de Moscou», che si chiama così perché Napoleone lo firmò nel 1812 al Cremlino, poco prima di prendere freddo. Anche il repertorio è quello. Molière, il padre fondatore, straccia tutti: più di 33 mila recite, mentre Racine è fermo a 9 mila e Corneille è sulle 7 mila. Dei dieci titoli più rappresentati, nove sono suoi, con in testa i soliti tre: Tartuffo (3.115 recite), Avaro (2.491) e Malato immaginario (2.408). Unica eccezione in hit parade, il Cid di Corneille, settimo a quota 1.732. Però si dà di tutto, anche Dario Fo. E l’ultimo debutto, pochi giorni fa, è stata una nuova discussa produzione dell’ Opera da tre soldi di Brecht. Il museo della Comédie è il suo stesso teatro: busti di autori, celebri attrici celebrate come incarnazioni della Tragedia, Cirani nasuti e Cinna in corazza, epitaffi di attori «morts aux champs d’honneur» (il ‘14-’18 fu un’ecatombe), Talma ritratto da Delacroix, Adrienne Lecouvreur da Coypel, Molière da Mignard mentre recita Cesare nella Mort de Pompée di Corneille con un assurdo fiocco rosso sulla parrucca. Nel bar, si beve e si spettegola sotto un celebre ritratto di Voltaire, il cui busto fu incoronato in scena nel 1778 dopo il trionfo della più brutta delle sue tragedie, Irène . Ma del resto nel 1830 la «prima» di Hernani di Victor Hugo scatenò la relativa celebre «battaglia» con schiaffi, insulti e sfide a duello fra classicisti e romantici. Insomma, fu vera gloria. Lo è ancora? Qualche regia sembra un po’ vecchiotta e anche alla Comédie non tutte le ciambelle riescono col buco. Ma se amate il francese, così bello lo sentirete solo qui. Da nessuna parte i versi rimbombano con tanta gloriosa maestà. Un eroe che declama alessandrini con le piume in testa potrà essere ridicolo altrove; qui, è commovente. Questione di tradizione. Com’è tradizione, dietro le quinte, gridare «Merde!» all’attore che sta entrando in scena. Porta bene, ma guai a rispondere «merci».