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 2011  aprile 10 Domenica calendario

NOVARA

Federica torna a casa. Si rituffa in Italia. Non potrebbe mai cantare da sirenetta «J´ai deux amours». Addio Paris, la seduzione non è riuscita, niente più Francia. «Non per lunghi periodi. Questi due mesi sono stati interminabili. Ho provato e sofferto la nostalgia per il mio Paese. È un fatto di atmosfera, di cibo, di ritmi e di equilibri che cambiano. Un conto è avere la piscina a tre minuti, un conto a mezz´ora. Ti adatti, ma uno sportivo ha un suo ritmo, una sua metodicità calcolata. A me poi non piacciono le grandi metropoli, troppo dispersive».
Non un pesce fuor d´acqua, ma in cerca delle onde del suo destino. Il tradimento obbligato la restituisce alla sua fedeltà. «A Parigi mi allenavo all´aperto alle sei di mattina. Nel buio più totale. Nuotare quasi di notte, anche se l´acqua è calda, mi dà strane sensazioni, quasi di non essere lucida, non è piacevole. È una prova mentale. Mi ha ricordato di quando ero piccola e mi allenavo prima di andare scuola con mia mamma che si svegliava alle cinque per prepararmi la colazione e darmi dieci minuti di sonno in più, e io che alla sera mi chiudevo in bagno e piangevo perché non ne potevo più. Ho patito la lontananza con la mia famiglia, che abita fuori Venezia, mia madre è venuta a trovarmi solo un volta, noi siamo molto legate, abbiamo bisogno di stare insieme e vicine». Già, anche il piercing al capezzolo è stato fatto tenendo per mano Cinzia. Trasgressione, ma casalinga. Come tante ragazze che fanno le ribelli, che sono ribelli, ma che vogliono anche dolcezza. «Papà forse potrebbe accettare un anno di lontananza, se ne farebbe una ragione, mia madre no. Ferma in un posto non potrei mai stare. Ma più di un mese fuori non resisto. Anche con la lingua è stato difficile, ho paura di sbagliare, non mi butto, mi vergogno. Ma pane e croissant sono favolosi. E anche nei supermercati la scelta e l´offerta biologica è vasta e a buon prezzo, introvabile in Italia. Questa sì che è stata una bella sorpresa».
Scelte, cambiamenti, trasferimenti. Di Federica Pellegrini, anzi Pellegrinissima, con il superlativo, come la chiamano i francesi. O di Miss Pellegrini che ci ha abituati al world record, ai tacchi a spillo, alle unghie smaltate. Di un´azzurra che ha già vinto e che è pronta a rivincere. Della donna che si allena come un uomo. Costretta ad essere sola, perché le altre non reggono il suo ritmo. Ad un esilio tecnico, certo non in periferia. Nuovo allenatore, nuova città, in cerca di una cuccia. Da Verona a Parigi, dal tecnico Morini, dopo la morte del ct Castagnetti, al francese Philippe Lucas, sempre con Luca Marin, suo fidanzato e anche lui nuotatore, con prove di convivenza. «I cambiamenti fanno bene, ma un po´ di paura l´avevo. Anche quello di non riuscire a condividere gli spazi con Luca, di sentirmi soffocata, invece è stato molto rispettoso, dà sempre un mano, io cucinavo i primi, lui la carne, per i piatti c´era la lavastoviglie. Abbiamo pranzato e cenato quasi sempre in casa. Se ti alleni di mattina e pomeriggio poi non ne hai più. Le pulizie di casa invece toccano a me, per scelta. Non trovo ci sia nulla di disdicevole. Occuparsi del proprio spazio non è abbassarsi. Pulire mi distende, mi rilasso a vedere la lavatrice che gira, stendere i panni dà belle sensazioni, ma ormai è una pratica proibita e dovrò comprarmi un´asciugatrice. Con Lucas ho ricominciato da zero, ho lavorato come mai prima, venti chilometri al giorno di nuoto, è un allenatore con una metodologia classica, sa quando massacrarti e quando darti sollievo, e sa gestire le pressioni, Castagnetti sui programmi era più moderno. Cercavo un allenatore che fosse già stato in situazioni importanti, capace di proteggerti dall´esterno. A me interessava il tecnico, non la persona: Lucas è venuto a casa mia, si è seduto al nostro tavolo quadrato, ha guardato negli occhi me i miei genitori, e mi ha detto che sarebbe venuto a Verona a seguirmi. Sono cose che contano. Io sono stata ai patti: sono andata a Parigi ad allenarmi in attesa del rifacimento del centro sportivo di Verona, ora tocca a lui spostarsi, da qui ai Mondiali di Shanghai. E dopo i Mondiali vedremo i risultati, non so se continuerò con Lucas».
Nella costruzione di una campionessa olimpica e mondiale non ci sono solo sveglie, lavoro, fatica, disagio adolescenziale, acne, bulimia e miopia. C´è la sua famiglia, papà Roberto, mamma Cinzia, il fratello Alessandro. E la capacità e la difficoltà di conoscersi, di scegliersi una via, di saper ubbidire nell´indipendenza. Anche se si è una ragazza di ventitré anni, padrona del mondo e della storia, che ha affrontato il suo buio. «Dopo la morte di Castagnetti, che per me è sempre Alberto, sono passata a Morini. È stato un anno difficile, ho sopportato cose intollerabili, io devo nuotare, non mi posso caricare di tensione, di pressioni di altri. Se ho un rammarico è quello di non aver interrotto prima il rapporto, però pensavo che a tutti va data una seconda possibilità. Riuscire a capire quello di cui si ha bisogno è anche assumersi la responsabilità di dire no. E da mercoledì sono in acqua a Riccione, ai campionati italiani, dove nuoterò dai 100 agli 800. Ci tengo ad essere veloce, a rituffarmi nel mio nuoto, mi dispiace che non ci sia Alessia Filippi, sono rimasta molto sorpresa dalla sua scelta di ritirarsi per un po´, di non gareggiare più, di mettersi in stand-by. Capisco che è difficile nel nostro sport farsi una famiglia, o almeno provarci, ed essere competitive. E capisco anche la difficoltà di stare a galla quando si sta male, è capitato anche a me. Ma Alessia era un grande punto di riferimento in un nuoto azzurro che ha piccole dimensioni, noi non siamo né l´America né l´Australia, non abbiamo quei ricambi veloci, né tutta quella possibilità di scelta fatta di grandi numeri, di nuovi serbatoi, infatti aspettiamo le nuove generazioni, sempre sperando che si punti sui giovani. Da noi fare il tecnico di nuoto significa fare un secondo lavoro, non pagato. Ho iniziato ad andare in piscina che ero piccinina, a quattro anni, e le sveglie all´alba quando sei ragazza pesano, perché ti ritrovi sola, in un ambiente quasi ostile, in molti paesi invece lo sport è una pratica di vita frequente e quotidiana. In Australia, in America, le sei di mattina sono come mezzogiorno, trovi impianti funzionali e funzionanti, persone con cui condividere un´esperienza»..
Lo sport ha allungato le carriere, anche in acqua. A Londra vuole tornare Thorpe, ventotto anni. «Con tutto il rispetto per il signor Thorpe, che non è uno qualunque ma un campione immenso, io ci vedo un´operazione pubblicitaria. Tanti soldi per un ritorno, nulla di male, ma lo sport non è un prodotto a lunga scadenza. Dovrebbe essere un momento, non un´eternità. Invece ora si gestiscono ritorni e passato come fossero presente. E allora io lì ci vedo una malattia, una dipendenza, quella che non puoi vivere senza successo, quella che se non vinci perdi sicurezza, non sai chi sei. Come se la gara fosse la tua sola identità, la tua unica possibilità di esistere. Capisco quando sei giovane, ma dopo non va più bene. E so che un grande campione nasce anche dai buchi che si porta dentro, dai disagi, dalle fragilità, della insicurezze che cerca di colmare, facendosi molto strapazzare. Quello squilibrio, quella disarmonia servono all´inizio, ma poi non vai avanti solo con quelle, hai bisogno di fare pace con te stesso. E non capisco uno come Alain Bernard, campione olimpico dei 100 stile libero, che agli Assoluti di Francia parla ai microfoni di radio e tv, disprezzando gli avversari, anzi sbeffeggiandoli. Lo dico perché c´ero. E alla fine cosa fa? Nemmeno si qualifica per i Mondiali, affonda miseramente. Dico: allora perché prendere a schiaffi il mondo, perché mettersi addosso altre pressioni, quando hai ventotto anni e dovresti essere un po´ esperto? Questa è una cosa che non farò mai. Non vado a dire che ammazzo tutte le avversarie per poi suicidarmi con le mie parole».
Com´è l´Italia vista da lontano? «Fuori di testa, assurda e medioevale. Piena di delitti e di aggressioni difficili da immaginare. La ragazzina tredicenne che viene presa a sassate dal fidanzatino, la morte di Yara senza un colpevole, nessuno ha visto, né sentito, eppure parliamo di un paesino, fatto da vicini di casa. Siamo indietro nella mentalità e nella cultura. Il maschio non accetta il no, non ammette che la donna possa avere una vita propria, anzi deve stare zitta e obbedire. Se gratti sotto i jeans, sotto l´abbigliamento moderno, trovi ragazzini antichi come i loro bisnonni. E da chi imparano, qual è il loro specchio? Credo, senza voler giudicare, dagli esempi che hanno in famiglia. Se guardi la data del calendario siamo nel 2011, se guardi la cronaca siamo mille anni indietro. Però penso che l´Italia ha nella sua storia delle sportive che possono dare l´esempio. Campionesse che hanno deciso da sole cosa diventare. Capaci di gestirsi, di migliorarsi, di tenere a bada il mondo. Senza fare le vittime, anzi scrollandosi il ruolo delle vittime, di quelle che io sono piccola e le altre sono più forti e oddio che paura, e questo è importante. Io ho dovuto mettere via presto le bambole Barbie in cantina».
Federica ha uno sponsor giapponese (Mizuno). «Li ringrazio perché nonostante il terremoto e quello che stanno vivendo non mi fanno mancare il loro appoggio, sono attenti, e puntano molto al mondiale, che a luglio si svolge a Shanghai, in Cina, non troppo distante da loro. E anche per me il Mondiale è importante, per valutare se certe scelte che ho fatto in vista dei Giochi di Londra dell´anno prossimo sono giuste. Poi dopo Londra mi prenderò un lungo periodo di riposo, forse uno stacco. Lo sport t´invecchia in fretta, dà e toglie, ho voglia di tutte quelle cose che adesso sono costretta a fare in fretta. Voglio avere tempo, quello giusto, per la curiosità e il piacere. Non solo il cronometro a giudicare la mia vita. E no, non per fare altri tatuaggi. I miei hanno detto basta, siamo quasi alla proibizione. Ne ho già sette. Forse farò un´eccezione, dovesse succedere qualcosa di strepitoso, magari alle Olimpiadi». Quello dell´Araba Fenice, che le esce dal collo, si vede bene. Federica cambia, risorge, si tuffa. Bentornata chez nous, a casa.