Marco Cremonesi, Corriere della Sera 10/4/2011, 10 aprile 2011
MILANO —
Tenere la barra ferma e il sangue freddo. Fare ciascuno la propria parte. Incluso, anzi: a partire da Silvio Berlusconi. La Lega fa i conti con il momento più complicato della sua storia recente. La mina degli immigrati va disinnescata, a tutti i costi, pena un tracollo di credibilità a cui persino il più fideistico dei partiti non è preparato. Di qui, la telefonata di Umberto Bossi a Silvio Berlusconi nel pomeriggio di venerdì scorso: «I pattugliamenti nel Mediterraneo devono iniziare. Subito. Di barconi non ne devono più arrivare» . Il tono non è ultimativo. Il messaggio, sì. Perché, come avrebbe detto il leader leghista al premier, «noi possiamo far fronte a tutto, persino gestire quelli che sono arrivati, e tu sai che per la Lega non è semplice. Ma se il rubinetto non si chiude, qui salta tutto» . Dove per «tutto» non si intende solo il piano di gestione dell’emergenza immigrati. E così, ieri mattina a Lampedusa il premier ha annunciato che due navi intercetteranno i barconi di profughi, aggiungendo che la trattativa con Tunisi riguarda la possibilità che le navi militari italiane possano addirittura intervenire direttamente, invece che limitarsi a segnalare i barconi ai tunisini. E addirittura, la frase di Silvio Berlusconi sulla necessità di un ruolo dell’Europa «non tanto per i 25mila migranti che abbiamo accolto, ma per quelli che arriveranno» , secondo parecchi leghisti echeggia quasi parola per parola le considerazioni fatte in questi giorni da Umberto Bossi. Di certo, Roberto Maroni ha sollevato con decisione il tema di una Lega che parli con una voce sola. Che non assecondi il ritornello di un governo che sembra procedere a tentoni. A irritare il ministro dell’Interno non sono tanto le voci dei militanti disorientati che, sui forum col Sole delle Alpi o sulla stessa Radio Padania si chiedono che cosa stia succedendo, se la Lega abbia davvero accettato la «sanatoria» sull’immigrazione e «l’amnistia» sulla prescrizione breve. Quel che urta è il sostegno a queste tesi che viene da coloro che i maroniani chiamano «gli avvelenatori di pozzi» . Esponenti del movimento che diffondono il malcontento, quasi mai a viso aperto, per ragioni di opportunità immediata: «C’è chi va sostenendo— racconta un deputato padano— che ai barconi bisognerebbe sparare, o giù di lì. Altri che pensano che dovremmo rimpatriare i tunisini con la forza facendoli scortare dalle navi da guerra. Robe da pazzi. Forse bisognerebbe ricordare che l’accordo con la Libia, un Paese dal governo allora più che solido, è stato firmato a fine 2007 e i primi risultati li ha dati a 2009 inoltrato. Con la Tunisia, i rimpatri sono incominciati giovedì scorso» . Insomma, qualche problema all’interno della Lega esiste. Al punto che lo ha ammesso persino Rosy Mauro, l’accigliata custode dell’ortodossia leghista che ai microfoni di TelePadania ha sospirato: «Un tempo eravamo più coesi» . Diverso è invece considerato l’atteggiamento dei governatori, le cui esternazioni sarebbero frutto di un copione. «La sostanza— spiegano gli amici del ministro— è che le destinazioni finali dei profughi si stabiliscono d’intesa con le Regioni. Quelle dei clandestini, le decide il governo. In modo che i presidenti possano chiamarsi fuori dalla decisione» . Tra l’altro, il ministro varesino sente di avere dalla sua parte l’opinione pubblica, e non soltanto quella leghista. Un fatto testimoniato dal sondaggio Ipr diffuso venerdì sera da L’ultima parola di Gianluigi Paragone su Raidue. Secondo l’indagine, il 64%degli italiani è a favore dei permessi temporanei e addirittura il 75%è per i rimpatri. Anche la polemica con la Francia vede il 65%degli intervistati schierati con l’uomo del Viminale, mentre la necessità di un intervento Ue accomuna l’ 80%del campione. Resta il fatto che, appunto, gli arrivi devono cessare. Ad aggiungere tensione, il moltiplicarsi dei segnali di insofferenza della base nei confronti della prescrizione breve: «Ma su quello— ironizza il solito deputato anonimo— c’è poco da fare, rappresenta uno degli asset della coalizione» . Certo, nessun leghista vuole sentir parlare di complotti, di intese con l’ala del Pdl che fa capo a Claudio Scajola, di colpi bassi durante la votazione sul processo breve. E tantomeno di governi tecnici. Scenari che nelle ultime ore si sono diffusi di orecchio in orecchio ma che nel Carroccio fan poca presa: «Al di là di qualsiasi altra considerazione, cosa ci guadagneremmo? Venerdì si devono depositare le liste per le amministrative, e mercoledì facciamo cadere il governo?» . Giusto ieri, Roberto Calderoli spiegava che «dopo la proroga di quattro mesi per la delega sul federalismo, ne servirà una di un anno per i decreti correttivi» . Come dire: scenario lungo. Quanto al premier, giura sull’alleato: «La Lega — ha detto scaramantico —, si è sempre adeguata alle proposte del presidente del Consiglio e della maggioranza» . Marco Cremonesi