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 2011  aprile 09 Sabato calendario

L RITORNO DEI SOCI FORTI

Un presidente cacciato dalla maggiore compagnia assicurativa del Paese. La più grande banca italiana che chiede ai soci cinque miliardi di fondi per continuare a crescere. Un grande gruppo alimentare che diventa oggetto di scontro italo-francese, attirando le tardive attenzioni della politica e della finanza di casa nostra.
C’ è un filo rosso che unisce le tre vicende più significative delle recenti cronache finanziarie? Se esiste si può identificare, sebbene con modalità diverse, nel ritorno degli azionisti a un ruolo centrale e in alcuni casi dalla spinta - espressa dalla politica, ma anche da quei particolari azionisti che sono le fondazioni bancarie - a una presenza rafforzata sui territori di riferimento.

Sull’asse Milano-Roma-Trieste si muovono i grandi soci per spingere fuori Cesare Geronzi, reo di essersi messo di traverso al manager - l’amministratore delegato Giovanni Perissinotto - cui meno di un anno fa gli stessi azionisti hanno deciso di dare pieni poteri. Nell’operazione si salda un’asse che vede, accanto al peso massimo Mediobanca, anche gruppi imprenditoriali e finanziari come i De Agostini, i veneti di Ferak, il ceco Petr Kellner - meno schierato il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone - non più disposti ad accettare che qualcun altro decida al posto loro, come evidenzia anche, parlando di Rcs, Diego Della Valle. Il contributo attivo dei consiglieri indipendenti, espressioni dell’azionariato di minoranza delle Generali, pare assicurare che non si tratti di un semplice regolamento di conti tra «poteri forti».

Paradossalmente un copione non troppo dissimile da quello andato in scena nel settembre scorso in Unicredit, quando per motivi mai del tutto chiariti - i soci della banca decisero che Alessandro Profumo era un ostacolo alle loro strategie. Accostare le figure di Profumo e Geronzi non è certo possibile e non farebbe piacere a nessuno dei due, eppure è un fatto che entrambi siano caduti per mano dei loro azionisti ed entrambi - ecco che spunta il territorio - abbiano subito critiche di carattere locale: il «romano» Geronzi che snatura la triestinità del Leone, il globalizzato Profumo che non apre abbastanza i rubinetti del credito delle microimprese del Nord-Est, care alla Lega.

Se Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa-Sanpaolo, può chiedere cinque miliardi al mercato senza suscitare reazioni isteriche, anzi incassando una sostanziale promozione, è anche perché i suoi grandi soci - in primis le Fondazioni azioniste di Milano e Torino - si sono già fatte carico di stendere una rete di sicurezza. Con il loro sostanziale assenso preventivo all’aumento assicurano la disponibilità a farsi carico del peso non lieve dell’operazione; in cambio hanno l’impegno della banca a restituire quei soldi nei prossimi tre anni sotto forma di dividendi, contando così di rispettare i loro impegni verso i territori di riferimento.

Anche il caso Parmalat offre una dimostrazione, sebbene «a contrario», del ritorno dei soci forti. Gestita in orgogliosa solitudine dal risanatore Enrico Bondi - e tornata appunto sotto i riflettori della finanza con quasi un miliardo e mezzo di cassa accumulata grazie alle transazioni con le banche che assistevano la società all’epoca del crac di Tanzi - Parmalat si è scoperta all’improvviso senza soci forti e stabili. Quelli che poi si sono materializzati si chiamano Lactalis, sono francesi e, sostiene il governo, sventolano la bandiera sbagliata. E il rimedio che adesso la politica e un gruppo di banche stanno studiando - anche qui in nome di un interesse al territorio che assume però questa volta i contorni del protezionismo economico - passa proprio per la creazione, in gran parte artificiale, di un nucleo di azionisti da contrapporre a quelli francesi.

In periodi di risorse - anche finanziarie scarse, come questo, i soci tornano insomma a pesare e a loro volta subiscono il peso del loro ruolo. Il caso delle fondazioni bancarie, che sui loro territori giocano sempre più spesso un ruolo non solo sussidiario ma di vera e propria surroga al settore pubblico in debito d’ossigeno, è esemplare. E così, nel grande gioco della finanza globale, dei capitali senza passaporto che si muovono da New York alla Cina, ci scopriamo anche un po’ più «locali».