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 2011  aprile 09 Sabato calendario

L’anello al dito non fa la felicità (delle donne) - Le donne sposate, quan­to meno tra ventiduemila persone nel mondo intervi­state dai sociologi dell’uni­versità di Colonia, dichiara­no di essere più felici delle non sposate

L’anello al dito non fa la felicità (delle donne) - Le donne sposate, quan­to meno tra ventiduemila persone nel mondo intervi­state dai sociologi dell’uni­versità di Colonia, dichiara­no di essere più felici delle non sposate. Pare infatti che la loro autostima sia nutrita e gratificata dal fatto di «aver­lo convinto» al grande pas­so; cosa che, a loro parere, non sono riuscite a fare le non sposate, conviventi o single. La coppia coniugata, dun­que, sarebbe più felice, an­che per il maggior grado di soddisfazione della donna. Se confrontiamo questo dato con quello delle separa­zioni, dal quale apprendia­mo che la domanda è propo­sta nella percentuale del 76% dalle mogli, non possia­mo che concludere giudican­do la donna il motore di tut­to. Del fare e del disfare. Del cantare e del suonare. Tuttavia, voglio racconta­re di Renzo e Lidia, sposi da cinquantasei anni. Ieri era l’anniversario di nozze; a un’amica che faceva loro gli auguri e i complimenti per la resistenza della coppia, Li­dia ha risposto: «Certo, ci so­no i pro e i contro a restare insieme per tanto tempo. Ma il problema fondamenta­le è che “il contro” è lui, sem­pre quello, lo stesso per tutta la vita». Dunque, per ritornare allo studio dei sociologi di Colo­nia, e alle risposte, può sem­brare che alle donne piaccia più l’idea del matrimonio che non il partner di per sé. E che, quindi, sia altrettanto gratificante decidere di sepa­rarsi, quando del partner non se ne può più. Salvo che si tratti di un fantastico e ra­rissimo Renzo. E di un’ironi­ca, ma tenace, Lidia. È indubitabile che la consi­derazione del matrimonio sia significativamente cam­biata negli ultimi trent’anni. In proporzione, peraltro, ai mutamenti giuridici, sociali e personali della donna. Che non ha più come unico e fon­dame­ntale obiettivo il matri­monio, perché raggiungi­mento dello status sociale e della sicurezza economica. Anzi. Le donne oggi sono molto motivate all’affermazione dell’«io», più che del «noi». Alla strutturazione diversifi­cata della propria identità e dell’autonomia economica, più che all’idea della forma­zione di un presepe familia­re. Al punto che molte don­ne privilegiano, spesso in zo­na Cesarini, più la materni­tà, anche con mezzi autono­mi, che non la coppia. La coppia, invero, è il più serio problema dei nostri tempi. La famiglia ha dichia­rato lo stato di crisi, proprio quando il sentimento è di­ventato la variabile dell’unio­ne coniugale. I diritti, anche emotivi, del singolo ormai prevalgono sull’istituzione familiare e sui reciproci do­veri. Hanno poco da essere con­tente quelle signore che si sti­mano per «averlo convinto»: non è una garanzia di felici­tà, perché dietro l’angolo c’è sempre, appostata e determi­nata, una donna più giova­ne, e più spregiudicata, che lo può convincere a lasciare la strada vecchia per la nuo­va. In realtà, più delle donne sposate e più delle conviven­ti, sembrano molto rilassate ed entusiaste le «sole», sia per scelta sia per destino. Condividere è bello, dico­no, ma anche gravoso e con­dizionante. Se non sei in cop­pia non devi rendere conto; non è d’obbligo coinvolgere, chiedere e dare; non devi ne­goziare e non scendi a com­promessi; hai diritto di cam­biare programma, anche te­levisivo; puoi non parlare se non hai voglia e se hai voglia telefoni; non devi ridere alle barzellette patetiche; nessu­no ti occupa il bagno; puoi russare serena senza subire il russare e le rimostranze dell’altro.C’è la libertà di ave­re una o cento storie, a debi­ta distanza, e finché si è felici di coltivare quel sentimento. Non è vero che una scapo­la soffra la solitudine più di un’ammogliata: ci sono tan­te donne che aspettano il ma­rito tutto il giorno, per cena­re in silenzio e dormire da estranei. Ce ne sono altret­tante che vivono la cosciente mortificazione del tradimen­to quotidiano. Altre ancora, fanno finta di non accorgersi che il creduto principe azzur­ro è un emerito idiota. C’è dunque da domandar­si come possano affermare di essere più felici delle non sposate, quelle donne del sondaggio tedesco. Forse, con la tipica solidarietà fem­minile, volevano provare l’ebbrezza di essere invidia­te dalle loro simili «soltanto» conviventi. Forse erano da poco tornate dal viaggio di nozze; forse avevano ancora tra le mani la pistola fuman­te del convincimento; proba­bilmente l’idiota, il tradito­re, il depresso indossavano ancora l’abito azzurro del principe. Certamente erano in fase di rodaggio e non ave­vano fatto tutti i tagliandi del matrimonio, non potendosi così rendere conto dei costi gravosi dell’unione coniuga­le nel ventunesimo secolo. Un tempo nel quale uomini e donne, convinti di parlare la stessa lingua e di convive­re­sul medesimo piano di pa­rità sociale, sono invece sem­pre più sconosciuti gli uni al­le altre. Sempre più portati a coltivare obiettivi antitetici. Sempre meno disposti a me­diare i rispettivi egoismi. Più insofferenti e meno curiosi dell’altro. Senza dubbio c’è molta re­sponsabilità della donna, che ha rotto gli argini al fiu­me in piena del suo nuovo conquistato modo di essere. Ma, bisogna davvero dirlo, gli uomini non sono proprio capaci di nuotare.