Matteo Bosco Bertolaso, il Fatto Quotidiano 9/4/2011, 9 aprile 2011
AVVOCATI E PROFESSORI CHI DA’ I SOLDI A OBAMA
Quando il presidente degli Stati Uniti ha annunciato ufficialmente la nuova discesa in campo per le elezioni del 2012, la sua squadra aveva appena compilato i moduli della Federal Election Commission, creando l’Obama Victory Fund. I possibili avversari del presidente – Donald Trump, Sarah Palin, John Bolton – non hanno ancora dichiarato guerra aperta alla Casa Bianca. Per quella c’è tempo. Adesso bisogna concentrarsi sui regolamenti della commissione elettorale e sulla raccolta dei fondi necessari a combattere la battaglia.
NEI GIORNI SCORSI Jim Messina, responsabile della campagna di Obama, ha illustrato la sua strategia a Washington e Chicago, di fronte ai simpatizzanti più influenti. Messina ha detto: “Dovremo superare i 750 milioni di dollari”, la cifra raccolta durante la corsa presidenziale del 2008. Gli strateghi della Casa Bianca guardano certamente a quell’anno come un modello, tentando di non ripetere gli insuccessi del 2010, quando i Repubblicani hanno riconquistato la Camera. Difficile prevedere chi investirà ora nella campagna di Obama, anche perché l’anno scorso la Corte Suprema degli Stato Uniti ha cambiato le regole del gioco, abolendo i limiti ai finanziamenti che possono arrivare dalle aziende. Nel 2008, Obama ha generalmente snobbato i finanziamenti di aziende e miliardari, per rafforzare l’idea di un candidato fuori dai giochi. Dei 745 milioni di dollari raccolti dalla sua squadra, il 60% è arrivato da donatori che hanno dato meno di mille dollari. Con un’aura da rockstar, l’allora senatore dell’Illinois riuscì a diventare un magnete per migliaia di persone che versarono pochi dollari attraverso il suo sito Internet, o su Face-book. Gli strumenti telematici sono molto amati dal “team Obama”: il presidente tornerà nell’agorà telematica di Face-book tra qualche giorno, lanciando un appello per la rielezione e rispondendo alle domande degli utenti.
NEGLI STATI UNITI quando si decide di donare, bisogna dichiarare le proprie generalità. Il Center for Responsive Politics, un istituto imparziale che cerca di tracciare gli itinerari che portano i soldi nelle tasche dei politici, ha studiato le finanze del presidente prima che fosse eletto. La fetta più consistente delle donazioni era arrivata dagli avvocati (43 milioni di dollari). Poco distante si piazzarono i pensionati (42,9 milioni di dollari), seguiti dal mondo della finanza (39,7) e da quello dell’istruzione (23). Tutte le categorie potrebbero confermare la loro fiducia ad Obama, anche se qualche pensionato potrebbe avere da ridire per la riforma dell’assistenza sanitaria. Nel 2008 Obama ha rifiutato i soldi dei cosiddetti comitati d’azione politca (chiamati Pac) o dei lobbisti. Due anni dopo, con la decisione della Corte Suprema e il rafforzarsi di movimenti conservatori come il Tea Party, il gioco si è fatto più sporco. Anche a sinistra c’è chi pensa che, pur di fronteggiare l’assalto repubblicano, bisognerà accettare più soldi, superare quota 750 milioni e magari arrivare pure il miliardo. A dire il vero, incrociando i dati come ha fatto il Center for Reponsive Politics, si scopre che grandi aziende ed istituzioni hanno finanziato Obama già nel 2008. Non lo hanno fatto direttamente , con un assegno per l’aspirante presidente. I singoli individui delle varie aziende – dalla Microsoft a Citigroup – hanno fatto piccoli contributi che, se conteggiati nella loro totalità, rappresentano importanti contributi. Con questo conteggio, l’University of California si piazza al primo posto con oltre un milione e mezzo di dollari donati, seguita da Harvard, ateneo frequentato da Obama, e dalla Columbia University, altra università dove il giovane Barack studiò. Non è l’ateneo a stanziare i soldi, ma i suoi dipendenti, magari professori che poi vengono chiamati al governo (vedi Larry Summers, già consigliere economico del presidente, ora tornato ad Harvard).
CONTINUANDO su questa pista – aggregando cioé le donazioni dei singoli impiegati di potenti aziende – si ottiene una classifica in cima alla quale c’è l’onnipresente Goldman Sachs, oltre che banche come Citigroup e Jp Morgan Chase. Nonostante la crisi, gli istituti di credito sono riusciti a cavarsela, perché Obama ha confermato gli aiuti voluti da George W. Bush e ha varato una riforma di Wall Street che, secondo alcuni, non è troppo severa. Nella classifica delle aziende con dipendenti obamiani ci sono pure Microsoft, Google e Time Warner, che controlla il canale CNN. Ci sono poi casi più eclatanti dei donatori che, grazie a cospicue iniezioni di liquidità agli aspiranti presidenti, riescono ad assicurarsi un posto da ambasciatore in giro per il mondo. È una vecchia tradizione statunitense, che Obama non ha tradito. Louis B. Susman, che gli aveva regalato 100 mila dollari durante la campagna elettorale e 300 mila per le feste dell’inaugurazione, è ora l’ambasciatore americano in Gran Bretagna. Daniel Rooney, proprietario della squadra di football degli Steeler, a Pittsburgh, rappresenta Washingotn a Dublino. Charles Rivkin, dopo aver sborsato mezzo milione per far eleggere Obama e 300 mila dollari per l’inaugurazione, viene chiamato “sua eccellenza” a Parigi. E mezzo milione ha versato pure John V. Roos, ora ambasciatore a Tokyo.