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 2011  aprile 09 Sabato calendario

GERONZI LASCIA GENERALI. PER IL FOGLIO

Cesare Geronzi non è più presidente di Generali. Si è dimesso mercoledì 6 aprile, prima del consiglio di amministrazione straordinario richiesto da 8 consiglieri per risolvere i dissidi interni. L’azienda l’ha spiegata così: «Il presidente, a seguito della situazione venutasi a creare per contrasti che non lo vedono partecipe nelle Generali, ha ritenuto, dopo pacata riflessione, nel superiore interesse della compagnia, di rassegnare, oggi, le dimissioni dalla carica ricoperta. Il cda ha preso atto con rammarico della sua decisione e lo ringrazia per l’opera svolta, con dedizione e senso di istituto, sin dall’assunzione dell’incarico e apprezza la particolare sensibilità e l’alto senso di responsabilità dimostrati nel compiere questo gesto che mira a incidere favorevolmente sul clima aziendale». Andrea Greco: «Il comunicato ufficiale del Leone è un piccolo capolavoro di reticenza». [1]

In realtà le dimissioni arrivano alla fine di un anno alla presidenza in cui Geronzi è stato al centro di scontri durissimi. «In un anno trascorso alla presidenza del Leone, non c’è stata pace. Dalle voci sulla fusione Mediobanca-Generali, all’ipotesi contraria di divorzio, ai rumor su presunti bracci di ferro sulle deleghe, alle polemiche sull’influenza in Rcs, all’intervista rilasciata al Financial Times che contrastava con le strategie di investimento della compagnia, allo scontro sulla joint assicurativa nell’Est europeo con Petr Kellner, alle discussioni sull’acquisto di una quota nella banca russa Vtb, agli interventi mirati dell’Isvap, tutto è finito sulle colonne dei giornali, rompendo la secolare tradizione di riservatezza del Leone triestino». [2] Le liti sono arrivate «fino alle minutaglie, come un iPad richiesto dal presidente e negatogli dagli uffici perché “non rientra nelle sue prerogative”» [3]. Ma «il momento più drammatico dello scontro è avvenuto il 16 marzo, nel cda in cui Bollorè si è presentato chiedendo di sfiduciare Perissinotto: “Il Ceo se ne deve andare, per me il bilancio è falso”. […] Geronzi ha tentato solo una timida mediazione, ma nulla di più. E quello è stato l’inizio della fine». [4]

Lo hanno mandato via con un blitz. «Ufficio di Cesare Geronzi al terzo piano di piazza Venezia, le nove e trenta di mattina. Di fronte al presidente delle Generali ci sono l’ad di Mediobanca Alberto Nagel, che della compagnia è vicepresidente e primo azionista con il 13,5%, e il consigliere Lorenzo Pellicioli che rappresenta il socio De Agostini. Hanno in mano una mozione di sfiducia al presidente con almeno 10 firme sui 17 consiglieri, ma non avranno nemmeno bisogno di tirarla fuori. La resa, come sempre nelle grandi battaglie, è un affare di silenzi più che di parole». [5] Al centro della strategia c’è Mediobanca, quella che ha portato Geronzi al comando. «Metaforicamente i figli hanno fatto fuori il padre» [2].

Geronzi non si aspettava l’improvviso benservito, anche se «l’ex-banchiere di Marino aveva sentito puzza di bruciato fin dal giorno prima quando il tandem Perssinotto-Agrusti aveva declinato l’invito di Geronzi per un colloquio preliminare alla seduta del Consiglio». [6] La strategia era stata definita tra lunedì e martedì, «con incontri che hanno visto protagonisti “fissi” Nagel, Pellicioli e il direttore generale di Piazzetta Cuccia Francesco Saverio Vinci. In particolare martedì sera, quando tutti i protagonisti si sono trasferiti a Roma, all’ora di cena Nagel, Pellicioli e Vinci si sono incontrati con il vicepresidente del Leone Francesco Gaetano Caltagirone. E in seguito sono stati raggiunti dal segretario della Fondazione Crt Angelo Miglietta (Effeti), dall’imprenditore di Tod’s Diego Della Valle e così, con appuntamenti “circolari” che sono proseguiti fino a tarda notte». [7]. La decisione è arrivata a tarda ora: «A mezzanotte i “congiurati” si ritrovano, tutti o quasi sono nel palazzone di via Bissolati 23, cuore di Roma, dove c’è la sede di Ina-Assitalia, controllata del Leone. Con loro anche i tre uomini al vertice operativo delle Generali: Perissinotto, Balbinot e Agrusti. Si smorzano gli ardori di chi vorrebbe una punizione esemplare per Bolloré. Si spara è la linea del cacciatore Nagel − al “bersaglio grosso” − […] perché che un Geronzi ferito è più pericoloso di un Geronzi tranquillo o definitivamente neutralizzato». [5]

I difensori del vecchio banchiere erano pochi e deboli. «I vicepresidenti Vincent Bolloré e Francesco Gaetano Caltagirone hanno tentato fino all’ultimo una ricomposizione. Ma il tentativo del finanziere bretone di spostare il mirino sul ceo della compagnia, Giovanni Perissinotto, e sui rapporti tra le Generali e il socio Petr Kellner per rispondere alle accuse di Della Valle, ha finito per esasperare ancora di più il clima». [8] Freddi l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni e il giurista Alessandro Pedersoli, originariamente indicato per il board di Trieste da Intesa. «Il primo si è limitato a prendere atto della situazione, il secondo avrebbe invece preferito una ricucitura in extremis, che però è stata giudicata ormai impossibile». [7]

«Dietro le quinte ha avuto un peso importante la giravolta di Tremonti, che un anno fa aveva sostenuto il passaggio di Geronzi sullo scranno di Generali mentre ora gli ha voltato le spalle. Ma altrettanto importanti sono stati il sostegno della Fondazione Crt e del suo dominus Fabrizio Palenzona, manager e banchiere cresciuto a dismisura con l´uscita di Alessandro Profumo da Unicredit. E poi i tre consiglieri indipendenti abilmente indirizzati da Domenico Siniscalco». [9]

Piazza Affari ha gradito. «Pochi minuti dopo la notizia il titolo assicurativo scatta di oltre il 5%, Mediobanca segue dappresso. Finiranno, rispettivamente, a +2,97% e +4,78%. Dal Salone del Risparmio gli uomini dei fondi non nascondono soddisfazione: “Chiunque sia parte del mercato non può che recepire positivamente questa decisione”, commenta Guido Giubergia, presidente del comitato governance di Assogestioni. [10]«È saltato il tappo, i mercati plaudono». [17]

Certo non è stato un addio come un altro. Giannini: «Il ribaltone al vertice delle Generali, senza enfasi, è davvero una “svolta epocale”». [4] Ferruccio de Bortoli: «La sconfitta di Cesare Geronzi segna una data storica, diremmo epocale se l’aggettivo non fosse abusato, nelle vicende del malcerto capitalismo di relazioni di questo paese». [12] È la fine di un’epoca perché «dalla Cassa di risparmio alla Banca di Roma, dalla Banca di Roma a Capitalia, da Mediobanca alle Generali: nelle sue tante vite, Geronzi ha incarnato il “motore immobile”, il punto di equilibrio. Quando c’era la Dc garantiva Andreotti. Quando è nata Forza Italia ha garantito Berlusconi. Sempre all’insegna della contiguità, e della continuità. Ora tutto questo non c´è più. E questo è già un enorme passo avanti, per il piccolo mondo antico del capitalismo italiano. [4]

«Questa svolta ha le sue prime conseguenze dove l’economia incrocia la politica. L’ex presidente della Generali l’ha presidiata, questa terra di mezzo, con Gianni Letta, sapendo di poter contare sul rispetto e l’appoggio di Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema». [13] Giannini: «Sul piano politico, la fine del «geronzismo» coincide con il declino del berlusconismo». [4] Paolo Madron: Bisogna capire «in primis perché il Cavaliere non abbia aperto nessun ombrello a protezione di quello che una volta definì come “l’unico banchiere che non vota alle primarie dell’Ulivo”, l’unico insomma non di sinistra». C’è chi dice sia perché nemmeno Geronzi si aspettava il blitz e chi accusa «l’impotenza della filiera che lo ha sempre sostenuto, l’asse Berlusconi-Letta-Bisignani» che soffrirebbe le mosse di Tremonti. [14]

Il cambio di regime si sentirà anche in Mediobanca. «La base materiale della svolta risale alla caduta di Profumo, che riporta Unicredit nei giochi finanziari. Il primo passo pesante è stato il salvataggio del gruppo Ligresti, da sempre legato a Geronzi e potenzialmente alleato di Bolloré e Groupama, soci rilevanti di Mediobanca. Ora in piazzetta Cuccia si preparano a ridefinire i rapporti con i soci francesi. Se ci sarà accordo sul prezzo, qualche imprenditore italiano potrà comprare». [15]

Venerdì il cda di Generali ha messo alla guida Gabriele Galateri di Genola. Una figura istituzionale. «Suo malgrado, del blasonato Gabriele Galateri di Genola e Suniglia tanti scrivono che in Generali sarà un “presidente di campanello”. Uno che non decide, prende atto». [16] Geronzi resta presidente solo della Fondazione Generali e conserva il suo ufficio in Piazza Venezia, dove avrà tre segretarie. [10]. Se ne va con un incasso di 20 milioni di euro, ma ad attenderlo c’è la sentenza di primo grado nel processo per il crac Cirio, nel quale il pm ha chiesto per il banchiere otto anni di reclusione. [7] A De Bortoli, Geronzi ha detto, «con una punta di perfidia, che il nuovo che avanza è formato da una “gioventù anziana”, dalla quale non c’è da aspettarsi granché. Chi vivrà vedrà». [12]

[1] Andrea Greco, la Repubblica, 7/4/2011
[2] Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore, 7/4/2011
[3] Gianluca Paolucci, 7/4/2011
[4] Massimo Giannini, 7/4/2011
[5] Francesco Mancacorda, la Stampa, 7/4/2011
[6] Dagospia, 7/4/2011
[7] Sergio Bocconi, Corriere della Sera, 7/4/2011
[8] Federico De Rosa, Corriere della Sera, 7/4/2011
[9] Giovanni Pons, la Repubblica, 7/4/2011
[10] Francesco Spini, la Stampa, 7/4/2011
[11] Roberto Napoletano, il Sole 24 Ore, 7/4/2011
[12] f.d.b, Corriere della Sera 7/4/2011
[13] Massimo Mucchetti, 8/4/2011
[14] Paolo Madron, Corriere della Sera, 9/4/2011
[15] Massimo Mucchetti, Corriere della Sera, 7/4/2011
[16] Pietro Saccò, Avvenire, 9/4/2011