Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 9/4/2011, 9 aprile 2011
PETROLIO ORO E ARGENTO TRAINANO LE MATERIE PRIME
Alle materie prime piace correre il venerdì. Quando c’è qualche tensione nell’aria, i traders non si fidano ad affrontare il week-end senza una copertura dal rischio di imprevisti. E poi il venerdì è giorno di preghiera per i musulmani e nel mondo arabo, di questi tempi, quando ci sono grandi folle riunite è facile che si verifichino scontri: chi opera sui mercati petroliferi ha imparato a tenerne conto. Quello di ieri, però, è stato davvero un venerdì da leoni per le commodities.
La corsa al rialzo, che per molti prodotti era già avviata da tempo, ha accelerato vistosamente, costellando la giornata di record. Investiti da un’ondata di acquisti, hanno raggiunto un picco storico l’oro (a 1.475,40 dollari l’oncia a Londra), il mais (768 cents/bushel a Chicago) e lo stagno (oltre 33mila $/tonnellata a Londra). L’argento ha aggiornato per l’ennesima volta il record da 31 anni, spingendosi ben oltre 40 $/oncia. Il petrolio Brent ha superato di slancio i 126 $/barile, per chiudere in rialzo del 3,2% a 126,65 $, il massimo da due anni e mezzo, seguito a ruota dal Wti (112,79 $/bbl, +2,3%). Anche alluminio e piombo sono saliti a livelli che non raggiungevano dal 2008, anno segnato da un memorabile rally delle materie prime, seguito da un altrettanto clamoroso crollo, quando la crisi finanziaria seguita al fallimento di Lehman Brothers ha travolto i mercati.
Difficile sfuggire alla tentazione di confronti con quel periodo, da cui l’economia globale non si è ancora completamente ripresa. Eppure, per le materie prime, non si tratta di una replica perfetta di un copione già visto. L’euforia per la crescita cinese e la fiducia cieca degli speculatori nei confronti delle possibilità di guadagno offerte dai mercati non sono più elementi di primo piano, benché forse non siano ancora del tutto usciti di scena.
Il rally, tra l’altro, non è più indifferenziato: segno che gli investitori forse hanno cominciato a capire qualcosa in più delle materie prime e dei fondamentali specifici di ciascuna di esse.
La forza dei rialzi è quasi certamente amplificata dalla persistente presenza di un’enorme massa di liquidità sui mercati. E in questi primi giorni del secondo trimestre è possibile che qualche fondo abbia deciso di accrescere le allocazioni in commodities. Inoltre, la debolezza del dollaro – che ieri l’ha spinto ai minimi da 15 mesi sull’euro – è senz’altro responsabile della recente accelerazione del rally delle materie prime. C’è poi il timore per l’inflazione, che invita a inserire nei portafogli un asset che storicamente ha svolto un’ottima funzione di scudo verso questo fenomeno (anche se, con un effetto perverso, comprando commodities per proteggersi dall’inflazione si finisce con l’alimentarla).
Ci sono però anche motivi solidi a sostegno del fatto che l’interesse degli investitori – a differenza che nel 2008 – si stia concentrando soprattutto su alcune materie prime, piuttosto che su altre. È i innegabile, ad esempio, che nel caso del petrolio vi siano rischi concreti sul fronte dell’offerta, legati a tensioni geopolitiche sempre più gravi e diffuse. Per limitarsi alle due novità più allarmanti: in Libia sembra che ialcuni giacimenti siano stati bomb ardati i, il che potrebbe far slittare addirittura di anni il ripristino della produzione, mentre in Nigeria – altro produttore da 1,9 milioni di barili al giorno – ci sono stati attentati in vista delle elezioni di domenica, che peraltro si terranno per ora solo in alcuni distretti perché il paese è nel caos i.
Per il mais c’è un crescente allarme sulle scorte, che negli Usa , maggior paese esportatore, sono crollate ai minimi da 15 anni per effetto di un boom nei consumi per etanolo e mangimi animali (si veda a pagina 48). Quanto ai metalli non ferrosi, proprio lunedì dovrebbero arrivare indicazioni importanti sui consumi cinesi, attraverso le statistiche sulle importazioni di marzo, che quasi tutti si aspettano in aumento. Anche i maggiori rialzi dell’argento nei confronti dell’oro trovano una giustificazione razionale: entrambi sono beni rifugio, ma il primo – oltre a godere di un ritorno della domanda industriale – appare decisamente sottovalutato rispetto al lingotto. Il rapporto di prezzo tra i due è infatti ai minimi da 28 anni.