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 2011  aprile 07 Giovedì calendario

Capita sempre più spesso d’incrociarle, soprattutto per le strade romane. Misteriose entità attraversate da un sondino che parte da chissà dove, spiove dal naso e sparisce in uno zainetto tenuto a spalla

Capita sempre più spesso d’incrociarle, soprattutto per le strade romane. Misteriose entità attraversate da un sondino che parte da chissà dove, spiove dal naso e sparisce in uno zainetto tenuto a spalla. Altri segni caratteristici. Una mestizia di fondo e l’ostentata dignità di chi deve dissimulare un imbarazzo profondo. Una sottile, crescente invasione? Ultracorpi venuti dallo spazio, versione aggiornata dei baccelloni cinematografici? No. Uomini e donne a dieta. Allacciati a una pompa che li nutre artificialmente. Non sono pericolosi. Anche se il loro alito in quei dieci giorni potrebbe stendere un cavallo. Avete presente l’acetone dei pargoli? Ecco, quello, senza nemmeno l’alibi di essere dei pargoli. Si chiama Nec, nutrizione enterale chetogena, la dieta inventata da Gianfranco Cappello, uno dei primi in Italia a praticare la nutrizione artificiale. La pompa elettrica inietta ventiquattro ore su ventiquattro proteine liquide liberando i chetoni, sostanze che inibiscono la fame. Quello che segue è il diario di un uomo chetonico. Confidenze raccolte di un anonimo molto intimo a chi scrive, che per dieci giorni ha scelto di vivere con un sondino infilato giorno e notte nel naso. Il fenomeno avanza. Cappello e il suo staff inseriscono di media cento sondini ogni giorno. Il pianeta è più leggero, non so se più sano, grazie a loro. «Ho in cura 27 mila pazienti, tutti insieme abbiamo perso 310 tonnellate». Antefatto. Si parte con la conferenza informativa in un’aula del policlinico Umberto I a Roma. L’insieme ricorda qualcosa a metà tra Lourdes e le adunate di una chiesa pentecostale. Stessa attesa messianica. Stessa atmosfera da terra promessa. Cerco invano nella folla un sosia di Elvis Presley, una rockstar decaduta, un volto noto. Vedo solo poveri cristi. Un centinaio di grandi e piccoli obesi, tra peccatori di gola, depravati dell’abbacchio, compulsivi dell’amatriciana, ma anche malati con disfunzioni ormonali. Donne, nella stragrande maggioranza. Tutti oltre il quintale, crocefissi a tutte le diete possibili e che, al fatidico dilemma, si mangia per vivere o si vive per mangiare, hanno scelto la seconda. Parte un film di mezz’ora in cui l’obeso di turno perde anche quella briciola di stima residua per se stesso. Appare Cappello, il messia, che a titolo dimostrativo si fa infilare il . sondino con la leggerezza di un ballerino di tip tap. Eccolo ora, che si materializza. Il professor Cappello sa come parlare alle masse. Divulgazione scientifica mista a battutacce da caserma. «Chiamatemi giorno e notte, ma siate rapidi e mi scuso fin da ora se in certi casi il rischio è che vi mando a fanculo». Ho un paio di domande da fare. Impossibile. Le donne sono delle tigri. Si avventano sul microfono. "Posso usare l’anticoncezionale?", "e se ho il ciclo mestruale?", "e se il bebè mi strappa il sondino?". Esco da lì tre ore dopo, stremato e deciso a lasciar perdere. E so anche perché. «Se siete qui è perché da soli non ce la fate», ha detto Cappello. Vero, ma sprezzante. È un guanto di sfida. Dimostrerò a Cappello che posso farcela. Ascolto il mio ansimare mentre cerco di allacciarmi le scarpe. Mi arrendo. Primo giorno. Tutti in fila per il sondino. Una catena di montaggio. Cappello si è dissolto, da oggi in poi sarà solo una voce al telefono. Siamo il paese di Totò, le gag si sprecano, Carmela Trippa, si chiama così, giuro, è quella che mi precede. «Sono a dieta da tutta la vita». Donne di ogni età. C’è anche un’egiziana col velo. Un solo uomo, oltre a me. Tremebondo. Pavido. Ci prova, rinuncia, scappa. Come sempre, il vigliacco altrui potenzia l’eroe che è in te. È il mio turno, vado temerario. Una tipa sul quintale mi misura la ciccia. Laconica. Risponde solo, di malavoglia, a eventuali domande. Le ragazze dello staff hanno un’aria infastidita, non ce la fanno proprio a mascherare il fastidio per questi ingombranti casi umani che siamo ai loro occhi. L’unica con un minimo di grazia è una romena, la ragazza del sondino. Devi bere a piccoli sorsi un bicchiere d’acqua mentre il sondino passa dal naso e va a collocarsi nello stomaco, passando per l’esofago. Trenta secondi in tutto. Me lo fissano alla guancia con lo scotch. Solo un piccolo fastidio alla gola, qualche lacrima, più irritazione che commozione. Consegno via bancomat 308 euro per la visita e gli alimenti, ne lascio altri 300 di caparra. Ora sono uno di loro. Un essere chetonico. La prima notte è dura. La pompa che t’inietta la bistecca liquida emette un ronzio molesto. Sembra un moscone che sbatte contro un doppio vetro. I gastroprotettori, le vitamine e la purga sul comodino. La grande comunità dei ciccioni si è dissolta e tu resti solo con il tuo sondino, la tua pompa e il moscone dentro. Soluzione estrema, ricorro alle cuffie che usano i carpentieri quando lavorano con il martello pneumatico. Secondo giorno. Ore 10. Salgo sulla bilancia in un tripudio di ansie, speranze, timori. 108,1 chili. Responso crudele. Solo tre etti. Voglia di buttare la pompa dalla finestra, di sfilarmi il sondino a morsi. Ora chiamo Cappello e lo insulto. No, resisto. Mi punisco con la purga pestilenziale. Sa di olio di ricino. Terzo giorno. Nottata difficile. L’allergia al polline, il sondino che sfrega la mucosa infiammata, sternutisco dieci, venti volte. Terrore che mi si sfili il sondino. Sogno Mangiafuoco. Mi viene anche un fischio al naso. La pompa ogni tanto si blocca. Salgo sulla bilancia. 105,7. Un trionfo. Cappello, chapeau, dove sei, voglio baciarti sulle gote. Quasi due chili e mezzo spariti. Grasso che cola, so cosa vuol dire. Tengo a distanza moglie e figlio, ma loro mi assicurano che il mio alito ancora non li uccide. Quarto giorno. 105,1. Speravo meglio. Ingurgito la seconda purga. Non esco da casa. Non tanto per la vergogna. Sono le spiegazioni che mi ammazzano. E devo fare pipì ogni dieci minuti. Mi stacco dalla pompa solo per fare la doccia, ma sono troppo debole per fare la doccia. Sono lo Psycho di me stesso. Quinto giorno. Domenica. 104,3. Lo zainetto è ormai una protesi. Il moscone, uno di famiglia. Mi collego via Skype con un’amica di Milano. «Cos’è, hai il cancro?». Sesto giorno. 103,4. Emergenza. Il sondino si è scollato, è sceso, mi arriva al torace. Devo reinserirlo da solo. Disastro, sono un uomo infelice, un asociale definitivo. La domanda: era proprio necessario sottoporsi a questa tortura? Settimo giorno. 102,7. Non ce la farò a scendere a due cifre mi dico, mentre gli acidi mi gorgogliano nella pancia e la lingua è diventata un lurido pezzo di carne biancastro e secco. Pressione bassa. Sogno di svenire e forse svengo davvero. Sogno anche di mangiare una caprese e di essere severamente punito per questo da un monaco benedettino che mi lega a un palo e mi percuote con un punteruolo. Terza purga. Mi sento un marine in missione dentro un mare putrido. Ottavo giorno. Perdo solo quattro etti. Conto. I chili che mancano, le ore che mancano. La famiglia si è abituata a me con il sondino e la pompa. Ci si abitua a tutto. Non giorno. 102,0. Mani caritatevoli mi cospargono di essenze aromatiche all’arancio e alla vaniglia, come si fa con i cadaveri incipienti. Il mastice m’impiastra la guancia e un’amica quasi mi resta incollata nello slancio di baciarmi. Decimo giorno. Colpo di coda. 100,9. Vale la pena di metterlo questo sondino solo per gustare la felicità di toglierselo. Me lo sfilo da solo. Chiudo gli occhi per non vedere. Un affare rimasto dieci giorni prigioniero nelle viscere di un uomo può portarsi dietro cose insostenibili alla vista. Il giorno dopo. Una mela, due fette di crudo, un morso di crescenza. Estasi pura, che pago a caro prezzo. Ho già ripreso due dei miei chili. Vado a restituire la pompa. Stesso sotterraneo. Stesse facce torve. Nessun saluto. Nessun medico. Nessuno che ti chiede, anche solo per finta cortesia, «com’è andata?». L’unica domanda: «La caparra la vuole ritirare?». «Certo che la voglio ritirare». Grazie dei chili, che alla fine sono sei, ma non ci sarà un secondo ciclo. Dal Sondino passo a Spadino. Chi è Spadino? Il mio chef preferito a Trastevere. Giancarlo Dotto