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 2011  aprile 07 Giovedì calendario

Se l’ex colonia salva i padroni - Era il 22 aprile 1500. Una flottiglia com­posta di tredici va­scelli comandati da un nobiluomo por­toghese, Pedro Álva­res Cabral, giunse in vista di una terra sconosciuta e gettò l’ancora in un fondale a poca di­stan­za dalla foce di un fiume co­steggiato da boschi

Se l’ex colonia salva i padroni - Era il 22 aprile 1500. Una flottiglia com­posta di tredici va­scelli comandati da un nobiluomo por­toghese, Pedro Álva­res Cabral, giunse in vista di una terra sconosciuta e gettò l’ancora in un fondale a poca di­stan­za dalla foce di un fiume co­steggiato da boschi. Gli uomini mandati in esplorazione dalla nave ammiraglia su una scia­luppa, scesi a terra, si trovaro­no circondati da una ventina di individui di colorito scuro, com­pletamente nudi, e armati di ar­chi e frecce, che li accolsero con curiosità mista a diffidenza, mentre piantavano sulla terra la bandiera portoghese una roz­za grande croce. L’incontro fra gli indigeni che popolavano quella terra sconosciuta e i por­toghesi cominciò così, quasi per caso, senza particolari ma­nifestazioni di ostilità e con uno scambio di doni di scarso valore. Quell’incontro rappresentò l’antefatto di una singolare av­ventura coloniale destinata a svilupparsi in uno scenario lus­sureggiante e pieno di fascino, tra foreste gigantesche e corsi fluviali imponenti:un’avventu­ra che sarebbe durata, con alter­ne vicende, tre secoli almeno. Era l’epoca delle grandi scoper­te e della nascita dei grandi im­peri, della ricerca delle miniere d’oro, d’argento e di diamanti. L’avventura coloniale porto­ghese in Brasile apparve, agli inizi, deludente. Di metalli pre­ziosi non sembrava ce ne fosse­ro molti. Ci si dovette acconten­tare di piantagioni di canna da zucchero e caffè oltre che della raccolta, di un legno particola­re dal quale si ricavava un colo­rante rosso. Questa avventura ebbe pagi­ne oscure e dolorose popolate di coloni senza scrupoli, avidi di terra e di forza-lavoro. Non a caso si parlò di «oro rosso» con riferimento al sangue che scor­reva nelle vene degli indigeni catturati come schiavi. Ma fu anche, questa avventura, ricca di pagine più nobili legate alla attività dei gesuiti per l’evange­li­zzazione delle popolazioni au­toctone e per la lotta contro la schiavitù e contro le ricorrenti epidemie. Nel complesso, tutta­via, la colonizzazione portoghe­se fu molto diversa da quella che, in altri territori, attuavano, per esempio, gli inglesi. Uno studioso americano specialista di storia dell’America Latina, Hubert Herring, per stabilire un paragone fra queste due po­tenze colonizzatrici, ha osserva­to che la formula inglese poteva essere compendiata nella paro­la «liquidazione», mentre quel­la portoghese nella parola «assi­milazione ». Gli inglesi facendo appello al nome di Dio e al «far­dello dell’uomo bianco» di ki­plinghiana memoria, fucilava­no gli indiani mentre i porto­ghesi, pure inchinandosi a Dio, andavano a letto con le india­ne. Non era una differenza da poco. Specifica Herring: «I pian­tatori inglesi della Virginia si comportarono come i piantato­ri portoghesi a Pernambuco: scelsero per sé le più belle ragaz­ze negre. Ma gli inglesi, senza nessun senso di colpa, si rifiuta­rono di riconoscere la prole ge­nerata da tali connubi irregola­ri. I portoghesi, con atteggia­mento affettuoso, s’inorgogliro­no dei loro bimbi bruni, spesso li educarono, e li inviarono a scuola in Portogallo». Il rapporto fra Portogallo e Brasile, insomma, fu forte dav­vero. Quando, all’inizio degli anni venti del secolo XIX, il Bra­sile divenne indipendente, non seguì il percorso di altre realtà ispano-americane che si orga­nizzarono in repubbliche più o meno ricalcate su quella statu­nitense, ma scelse il modello imperiale e affidò il trono a un membro della famiglia reale portoghese Braganza. Questa scelta si rivelò felice per preser­vare l’unità della nazione con­tro i movimenti e le pulsioni se­cessionistiche e per garantire quella compattezza nazionale che avrebbe caratterizzato an­che la storia successiva del Bra­sile repubblicano divenuto col tempo una grande potenza eco­nomica a livello mondiale. Questi legami storici con il Portogallo spiegano anche il senso più riposto delle dichiara­zioni rilasciate qualche tempo fa dal presidente brasiliano Dil­ma Roussef sulla disponibilità del suo paese a prendere parte alle iniziative per agevolare una ripresa dell’economia por­toghese, magari attraverso l’ac­quisto di una parte del «debito sovrano» del Portogallo. Al di là delle motivazioni della propo­sta del presidente brasiliano, colpisce soprattutto la circo­stanza, inedita nella storia, di un paese colonizzatore che ver­rebbe salvato dal baratro pro­prio dalla sua ex colonia. La conquista di segmenti del­l­’economia nazionale di un pae­se colonizzatore da parte di sue ex colonie non è una novità. Ba­sterebbe pensare, a titolo esem­plificativo, agli investimenti, al­le partecipazioni azionarie, agli acquisti di società o impre­se italiane da parte dei libici. Ma in questo caso la storia è di­versa. L’indipendenza del Bra­sile non ha nulla a che fare, in verità, con il grande fenomeno della «decolonizzazione». Un fenomeno tanto importante ed epocale da determinare in po­co più di due decenni la disgre­gazione di imperi costruiti in qualche centinaio di anni e la nascita di nuove realtà naziona­li che hanno riscoperto il loro passato e le loro tradizioni op­pure che si sono “costruite” un passato e una storia in funzione antieuropea anche in quei casi nei quali le loro classi dirigenti si erano, per così dire, abbevera­te alla fonte della cultura euro­pea. La conquista dell’indipen­denza da parte del Brasile rien­tra nel quadro di un altro feno­meno, quello della costruzione degli Stati nazionali nel XIX se­colo, ed è pertanto, sotto que­sto profilo, inassimilabile alla decolonizzazione. Un eventua­le intervento del Brasile a favo­re del Portogallo non è quindi, in alcun modo, paragonabile a una operazione di conquista, quasi una sorta di revanche , da parte di una ex colonia, del pae­se conquistatore. Questa imma­gine è suggestiva ed è stata evo­cata, ma non è corretta. Il pro­blema vero è, piuttosto, un al­tro. E non riguarda il Portogal­lo, ma,semmai, l’Europa:quel­lo dell’impatto della forza espansiva di un regime forte e ricco sul corpo indebolito di una civiltà che sembra non cre­dere più in se stessa.