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 2011  aprile 07 Giovedì calendario

La caduta dell’intoccabile «svezzato» da Bankitalia - C’è stato un periodo in cui nel sistema finanziario italiano, i «gi­ganti » erano quasi intoccabili

La caduta dell’intoccabile «svezzato» da Bankitalia - C’è stato un periodo in cui nel sistema finanziario italiano, i «gi­ganti » erano quasi intoccabili. Pur ormai in rottura con ambienti rile­vanti del capitalismo italiano, nes­suno osò contestare la guida di Enri­co Cuccia fino alla morte. Gli uomi­ni di Bankitalia come Carlo Azeglio Ciampi, forse non il più dinamico dei governatori, «uscivano» circon­dati dagli onori. Anche quelli un po’ contestati come Lamberto Dini era­no opportunamente considerati ri­serve della Repubblica. Intanto, pe­rò, la «buona» apertura dei mercati e la brutta stagione post ’92,introdu­ceva sistemi di governance più bru­tali. Vincenzo Maranghi, l’erede di Cuccia, veniva «dimesso». Antonio Fazio «fatto fuori» coi metodi giudi­ziari dell’Italia di oggi. La star Ales­sandro Profumo pagava la non bril­lantissima gestione di Unicredit e la scarsa sintonia con parte dei soci. Oggi un trattamento sbrigativo è riservato a un uomo della finanza dalla particolare statura di sistema, Cesare Geronzi. Banchiere «di pote­re » si scrive in qualche resa dei conti come se esistessero uomini delle grandi istituzioni di credito privi di visione di potere, come se l’esem­pio che qualche allegro detrattore di Geronzi gli contrappone, Giovan­ni Bazoli, fosse disattento al control­lo dei principali media nazionali e indifferente al potere politico. Geronzi è stato integralmente un «grande banchiere» dunque un uo­mo di potere, considerato un inter­locutore di peso di uomo centrale dell’Italia come Giulio Andreotti, politico che segna diverse stagioni della nostra Repubblica, compresa quella co-gestita con Enrico Berlin­guer dal 1976 al 1979. Uomo di potere, ma anche di rile­vante profilo tecnico e istituzionale che avvia la sua carriera in via Nazio­nale sotto l’affettuosa attenzione di uno dei più importanti governatori di Bankitalia (nonché della scena economico-finanziaria italiana), Guido Carli. La sua carriera prose­gue sotto l’ala di un’altra figura di qualità della squadra bankitaliana, Rinaldo Ossola. E da qui arriva nel 1982 a dirigere la piccola Cassa di Risparmio di Roma, 140 sportelli, presente in 3 delle 4 province del La­zio che trasforma man mano nel Gruppo Bancario Capitalia, metten­do insieme realtà spesso minori (Banco di Santo Spirito, Banco di Ro­ma, Banca dell’Agricoltura, Banca Mediterranea, Banco di Sicilia, Me­diocredito Centrale, Bipop-Carire). Sono note le critiche sull’eccesso di ricerca del consenso politico da par­te di Geronzi, con tutto l’arco politi­co, e le considerazioni su quanto questa ricerca di consenso abbia in parte pesato sui conti della stessa Capitalia. Chi però esamina la real­tà industriale cresciuta a Roma e dintorni, non può non riflettere quanto abbia contato avere nel cen­tro della sua economia un banchie­re con una visione di sistema. Personalmente nel 2005 ho scrit­to un libro, «Guerra per banche», in cui sostenevo le ragioni di Giulio Tremonti nel volere modificare radi­calmente il sistema delle Fondazio­ni bancarie, in cui mostravo tutto il mio apprezzamento per un Maran­ghi che voleva costruire una nuova Mediobanca che superasse gli anti­chi consociativismi. Pur, quindi, cri­ticando in questo senso le posizioni di Geronzi, Bazoli, Fazio, in parte non piccola orientate a difendere la Fiat «protetta» dei Paolo Fresco e dei Luca Cordero di Montezemolo, anche in quel libro «critico» mi po­nevo il problema di un’Italia senza più personalità di grande rilevanza, capaci di pensare anche agli equili­bri di sistema. Uno obiettivo che mi è parso di co­gl­iere nell’ultimo Geronzi presiden­te di Mediobanca e poi di Generali. É evidente che ogni condottiero ol­tre che sulle sue abilità, poggia sulla forza delle proprie truppe e che le rivolte nordafricane, i rapporti più tesi con la Francia e i travagli del si­stema ligrestiano hanno seriamen­te indebolito alcune basi dell’in­fluenza geronziana. Che come tutte le esperienze umane può natural­mente essere criticata. Spero che chi ha deciso di chiudere brusca­mente una certa fase, abbia un’idea di quale fase si possa aprire, di quale equilibrio si possa definire nel me­dio periodo. Se sarà più aperto di quello garantito nell’ultima stagio­ne innanzitutto dall’asse Bazoli- Ge­ronzi, bene. Ma se non ci sarà o se sarà fragile, se invece che respinge­re l’eccesso d’influenza «francese» al nostro sistema industrial-finan­ziario, lo si aprirà anche a sistemi pu­re meno articolati (vedi Praga e din­torni), forse ci toccherà rimpiange­re la frettolosa uscita di Geronzi dal­la presidenza delle Generali.