Giuseppe Berta, Il Sole 24 Ore 7/4/2011, 7 aprile 2011
UNITARIO E FORTE IN AZIENDA: È IL SINDACATO 2.0
Le cronache di questi giorni confermano l’immagine di stallo del sistema sindacale, con una contrapposizione crescente fra le sigle, come testimonia la decisione della Cgil di Bologna di celebrare in forma separata il Primo Maggio. Né si attenua il contrasto profondo che divide la Fiom dalla Fiat e dagli altri sindacati in merito al nuovo regime contrattuale delle fabbriche automobilistiche, come dimostra la stasi del confronto in atto a Torino sulla sorte dello stabilimento ex Bertone, confermata dalle notizie di ieri. E tuttavia qualche segnale contraddittorio viene dal nucleo di base delle relazioni industriali, dai fermenti che sembrano affiorare dalle rappresentanze dei lavoratori, rivelando un maggiore coinvolgimento delle Rsu. Un indicatore in questo senso è costituito dall’intesa raggiunta a Melfi sull’applicazione della nuova organizzazione produttiva, il metodo Ergo-Uas, prima sottoscritta anche dalla Fiom, sotto l’impulso - pare - dei suoi rappresentanti di fabbrica, e poi sottoposta dalla direzione nazionale dei metalmeccanici al vincolo di alcune condizioni preliminari.
In altre parti del sistema produttivo, invece, come all’Electrolux, si sono firmati accordi importanti, con l’adesione di tutti i sindacati, per operazioni di vasta riorganizzazione degli impianti. Sono sintomi che rivelano come operi, all’interno della fabbrica, una spinta perché non venga meno quella tessitura di rapporti indispensabile alla continuità sia della struttura produttiva sia dei rapporti sociali che fanno ad essa da involucro. È possibile che nel prossimo futuro proprio la dimensione della rappresentanza di base possa contare di più. Anzitutto perché, di fronte agli steccati sempre più netti che dividono le confederazioni sindacali, dovrà essere dato riconoscimento alle istanze di base, le quali avvertono la pressione del legame con i lavoratori.
Nelle circostanze presenti, il mestiere del rappresentante sindacale tende a diventare più difficile: il clima di conflitto acuto fra le organizzazioni conduce direttamente all’effetto di esasperare le tensioni, col risultato di complicare le procedure dell’attività sindacale. Accordi come quelli Fiat di Pomigliano e di Mirafiori, che distinguono fra i soggetti che li hanno sottoscritti e quelli che non l’hanno fatto, accentueranno inevitabilmente la competizione fra i sindacati, moltiplicando le occasioni di attrito.
Un quadro di competizione conflittuale come quello che si sta disegnando porta inevitabilmente verso l’indebolimento della mediazione sindacale. Riesce arduo non immaginare che, soprattutto in assenza di una cornice tale da far prevalere gli orientamenti di maggioranza, lo spazio dell’azione sindacale sia indotto a contrarsi, al pari del peso organizzativo delle confederazioni. Per i sindacati italiani, il rischio che s’intravede sullo sfondo è quello di un destino alla francese: Oltralpe gli iscritti delle due organizzazioni maggiori, Cgt e Cfdt, assommano ormai a circa 1,5 milioni, con un declino sempre più evidente del radicamento sindacale nell’industria. È certamente vero che la globalizzazione non reca con sé il tramonto del sindacato. Ma è indubitabile che il tipo di organizzazione sindacale che riesce a difendersi fa leva su due condizioni fondamentali: dall’avere carattere unitario e dal possedere una forte legittimazione aziendale. Il sindacato tedesco, che viene così sovente evocato di recente, costituisce di fatto un’istituzione della politica aziendale, in primo luogo all’interno delle grandi imprese. Ma, pure in forme diverse, l’istituzionalizzazione del sindacato e il coinvolgimento negli assetti e nelle politiche aziendali è quanto ne ha garantito la continuità entro l’industria giapponese come a Detroit. Anzi, proprio presso le case automobilistiche Usa ha affidato la propria sopravvivenza all’acquisizione di un ruolo istituzionale che, se è stato pagato al prezzo di pesanti sacrifici, gli ha assicurato una legittimità a cui altrimenti non avrebbe avuto accesso.
L’Italia è al momento lontanissima da queste tendenze e il nostro movimento sindacale farebbe bene a preoccuparsene. Ecco perché c’è da sperare che si rafforzino gli impulsi e le iniziative delle Rsu intenzionate a far valere il loro ruolo.