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 2011  aprile 07 Giovedì calendario

SPERANZE E CAUTELE PER L’OCCHIO IN PROVETTA


Costruire occhi. Questa volta anche «Nature» si è lasciata tentare dal titolo sensazionale. «Costruire occhi» si legge a caratteri cubitali sulla copertina del numero oggi in edicola della più prestigiosa rivista scientifica. Accanto c’è la foto di un sacchetto verde ripiegato su se stesso. Quel sacchetto è una retina, la parte dell’occhio sensibile alla luce. Non ancora la retina di un occhio umano, ma quella di un topo. Dal punto di vista scientifico però il risultato è clamoroso. Il gruppo di biologi dell’Istituto giapponese Riken guidato da Yoshiki Sasai partendo da cellule staminali di un embrione di topo è riuscito a farle specializzare in cellule della retina, e, cosa ancora più straordinaria (tanto che lo stesso Sasai ne è sorpreso), queste cellule si sono autoorganizzate e hanno formato il sacchetto retinico come sotto la guida di una misteriosa ma perfetta regia biologica.

Le cellule staminali embrionali sono totipotenti: cioè capaci di trasformarsi in qualsiasi tipo di tessuto: pelle, ossa, cellule nervose o muscolari, del fegato, del pancreas e di qualsiasi altro organo. Il problema è avviare in esse il processo di specializzazione in un tessuto o nell’altro, cosa che i biologi fanno stimolandole con speciali fattori biologici che inducono nei loro geni le trasformazioni desiderate. E’ ciò che il gruppo giapponese è riuscito a fare. Non solo: sono anche riusciti a ottenere, nel caso specifico, un tessuto che ha assunto la struttura dell’organo che nell’individuo sviluppato quelle cellule vanno a formare: in questo caso la retina. È la promessa della «medicina rigenerativa», il sogno alla Blade Runner degli «organi in provetta» che si realizza.

La retina è in pratica una parte del cervello che si è adattata per trasformare le onde luminose in segnali elettrici. Le sue cellule nell’occhio umano sono di due tipi: i bastoncelli, molto sensibili e numerosi (100 milioni) ma capaci solo di vedere in bianco e nero, e i coni, poco sensibili e in numero ridotto (7 milioni) ma in grado di darci la visione a colori. I segnali elettrici generati da queste cellule come reazione alla luce vengono poi convogliati nel milione di fibre del nervo ottico fino alla zona occipitale del cervello, dove l’immagine viene ricostruita. La retina è dunque la parte più delicata e importante dell’occhio: corrisponde alla pellicola fotografica o, nelle camere attuali, al sensore elettronico.

Bisogna però aggiungere due precisazioni. La prima è che ciò che funziona su topi di laboratorio è lontano dal funzionare nell’uomo: il progresso annunciato da «Nature» è scientificamente di prim’ordine, ma non deve illudere i non vedenti: la soluzione del loro problema non è affatto a portata di mano. Dalle staminali dell’embrione di topo non si ricava una retina umana. Ci vorranno anni, forse alcuni decenni, perché un processo del genere si possa realizzare nell’uomo.

La seconda precisazione riguarda in particolare il nostro paese. In Italia, diversamente da quanto accade in quasi tutti i paesi avanzati del mondo, dal Giappone agli Stati Uniti al Regno Unito fino alla Corea, se anche si riuscisse tecnicamente a fare ciò che per ora è di là da venire, dal punto di vista legale sarebbe impossibile perché la legge italiana impedisce la ricerca sulle cellule staminali umane, e ciò in quanto il ricorso a queste cellule comporterebbe la distruzione dell’embrione, cioè di una creatura umana potenziale. Cosa che il cardinale Elio Sgreccia, bioeticista del Vaticano, ha subito ricordato commentando la notizia di «Nature» in contrapposizione con l’entusiasmo del premio Nobel per la medicina Renato Dulbecco e dell’on. Ignazio Marino. In Italia si incoraggia invece la ricerca sulle cellule staminali adulte, che in questo caso dovrebbero essere estratte dalla retina dello stesso paziente. Per la cornea lo si fa già con successo, ma nel caso della retina si aggiungerebbe difficoltà a difficoltà. Il messaggio che viene dal Giappone è comunque chiaro e importante: le cellule staminali embrionali aprono opportunità eccezionali e non comparabili con le opportunità delle staminali adulte.