Glauco Maggi, Libero 6/4/2011, 6 aprile 2011
I KENNEDY DI DESTRA
Si sa come è andata a finire la storia del Kennedy, ma il bello della miniserie “The Kennedys”, iniziata domenica sera sul canale semiclandestino Reelz Channel, è che fa vedere come è cominciata. Non da John Fidzgerald, che ha il suo posto di mito nella storia americana, ma dal babbo. Si dirà: ma non era già noto che il patriarca Joe, amico di FDR (Franklyn Delano Roosevelt, il presidente della Grande Recessione), era stato il vero deus ex machina delle fortune della famiglia? Lo era sì, ma agli storici e ad una minoranza di curiosi. Non al grande pubblico popolare che aveva assorbito la leggenda tragica dei Kennedy, in America e soprattutto in Europa, attraverso la lente d’ingrandimento, e insieme deformante, dell’agiografia iperprotetta dalla politica.
Kennedy, campione dei Democratici, è statala bandiera della sinistra nel Dopoguerra fino a quando ha passato il testimone a Obama, che ha esplicitamente perseguito la sua eredità, e l’ha simbolicamente incassata quando il vecchio senatore Ted Kennedy, il superstite “fratellino” di John e di Robert, l’ha appoggiato alle primarie contro la Hillary Clinton. Mostrare oggi che Jack era un burattino dell’avido pater familias Joe, e per di più portatore di vizi e difetti umani oltre la decenza, è mettere le cose al loro posto nella ricostruzione delle carriere dei Kennedy. Essendo una martellata al monumento, il brivido per il pubblico è però inevitabilmente politico, di compiacimento o di rigetto secondo le preferenze ideologiche. La differenza, e il maggiore appeal rispetto ai “documentari” di Micheal Moore sui Bush, è la componente di sorpresa e novità della trama. Diciamo che è il pendolo della manipolazione artistica in pieno movimento, e la rivincita dell’esiguo drappello conservatore di Hollywood (Joel Surnow, il cervello dello show, è lo stesso di «24Hour» e ha note simpatie conservatrici).
La “vendetta” è un piatto che la critica di destra “deve” servire freddo, poiché, a caldo, la potenza mediatica del fronte della sinistra è tale che riesce a tamponare ogni fuga sconveniente di notizie. Con Jack, la sudditanza al padre padrone, la vita da assuefatto alle pillole antidolore, le tresche misere e “nobili”, dalle segretarie a Marylin Monroe, non hanno mai trovato uno spazietto nelle colonne del New York Times o negli “speciali” dei network televisivi (non c’era Fox Channel...) quando lui era in vita. Ciò ha permesso, come contrappasso, di poter offrire una lettura ancora sorprendente dell’ascesa di John, oltre mezzo secolo dopo la sua elezione del 1960.
Naturalmente, la tesi dei critici di sinistra allo spettacolo (per esempio, scrive il Guardian inglese: “Non dice assolutamente nulla che non sia già parte della leggenda dei Kennedy”) è che è tutto un deja vu. Ma allora bisogna spiegare perché Caroline Kennedy abbia “convinto” History Channel a rinunciare a trasmettere la serie dopo averne acquistati i diritti. Il fatto è che, quando è scomodissima, non piace a nessuno vedere esposta la verità. E se si tratta della famiglia di Joe, l’irlandese cattolico che trattava come una pezza da piedi la piissima moglie Rose, anche i nipoti dei nipoti si ergono a protettori della memoria adulterata, invece di arrendersi alla realtà. Grazie alla cortina che ha cercato di preservare sotto teca una saga irripetibile nei suoi picchi e nei suoi abissi, la trama docu-fiction dei Kennedy è sicuramente godibile, un riassunto irriverente e credibile.
L’“oscar” della recitazione nella miniserie lo riserviamo a Tom Wilkinson (nominato all’Oscar per “In The Bedroom” e per “Michael Clayton”), impareggiabile nella parte del patriarca senza vergogna della propria prepotenza. Sorprendente è anche Greg Kinnear, un Jack naturale che riporta la mente ai filmati di repertorio del JFK vero, mentre più sciatta appare Katie Holmes nelle vesti di Jackie. Ma forse l’impressione è anche qui il frutto della passata adorazione artefatta: era una diva per il pubblico adorante, ma in casa soffriva i tradimenti e le umiliazioni di Jack e del suocero, intrappolata nello schema della casa. E Katie ci propone un inedito “dietro le quinte”.
Glauco Maggi