Antonio Cianciullo, la Repubblica 6/4/2011, 6 aprile 2011
BUCO NELL’OZONO, RECORD SULL’ARTICO
A 21 anni dall´accordo di Londra contro l´overdose di raggi ultravioletti, la rarefazione della fascia di ozono è tornata a raggiungere il picco sul Polo Nord. Secondo i dati dell´Organizzazione Meteorologica Mondiale (Omm), lo scudo che a 25 chilometri di altezza ci protegge dall´eccesso di radiazione solare è diminuito del 40 per cento: un fenomeno che è andato al di là della fluttuazione naturale arrivando a toccare i livelli record del 1997. E rischiando di moltiplicare i casi di cancro alla pelle, cataratta e danni agli ecosistemi marini in una zona che comprende l´Alaska, la Siberia e l´alta Scandinavia.
Sempre colpa dei cfc, i clorofluorocarburi utilizzati per decenni per far funzionare i frigoriferi, le bombolette spray e i sistemi di pulizia dei computer? Sono state concesse troppo proroghe al divieto di uso? «E´ stato un processo di dismissione graduale perché si è tenuto conto delle difficoltà dei paesi in via di sviluppo, ma dal protocollo del 1997, che ha perfezionato l´accordo, il passaggio ai sostituti dei cfc è stato massiccio», risponde Guido Visconti, docente di fisica dell´atmosfera a l´Aquila. «Il problema è che quando si parla del governo di sistemi complessi come l´atmosfera non si può pensare di seminari sconquassi per decenni e poi risolvere tutto con un colpo di bacchetta magica. Le molecole di cfc restano in atmosfera a lungo e per tornare ai livelli pre industriali di ozono bisognerà aspettare il 2050».
Dunque il processo di guarigione dell´atmosfera, almeno sotto questo profilo, è in corso. Perché allora il riacutizzarsi improvviso della malattia? Colpa, rispondono all´Omm, di una serie di circostanze meteorologiche, di venti insolitamente forti, il vortice polare, che «hanno isolato la massa stratosferica sul polo Nord impedendole di mischiarsi con l´aria delle medie latitudini e generando temperature molto basse». Creando cioè le condizioni che favoriscono la distruzione delle molecole di ozono.
Ma c´è anche un altro fattore che contribuisce a rallentare il risanamento del mantello di ozono che protegge la vita sulla Terra: il riscaldamento climatico. «Una delle conseguenze dell´aumento di emissioni di anidride carbonica», continua Visconti, «è che nella parte bassa dell´atmosfera il calore viene intrappolato, mentre in quella più alta, nella stratosfera, la CO2 favorisce la dispersione della radiazione infrarossa facendo diminuire la temperatura e contribuendo alla dissoluzione dell´ozono».
Al di là delle fluttuazioni determinate dal meteo, il processo che ci restituirà la piena funzionalità del filtro naturale anti ultravioletti è dunque ormai avviato. Ma per goderne pienamente gli effetti bisognerà aspettare ancora a lungo. Ed evitare di fare passi indietro continuando ad alterare con i gas serra la composizione dell´atmosfera.