Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 6/4/2011, 6 aprile 2011
IN PARTENZA IL GREGGIO DEI RIBELLI
La petroliera liberiana Equatore è attraccata al porto di Tobruk per esportare il primo milione di barili di petrolio dell’Arabian Gulf Oil Company, l’Agco. Con la vendita il Governo provvisorio di Bengasi incasserà oltre 120 milioni di dollari: da chi è difficile dirlo, anche se il Qatar, l’Emirato del gas e di Al-Jazeera, nei giorni scorsi ha dichiarato di essere disposto a commercializzare l’oro nero dei ribelli.
La Gulf Oil, Khalij in arabo, è stata una dei protagonisti della liberazione della Cirenaica che possiede l’80 delle riserve di oro nero di tutta la Libia. L’atto più eroico della rivolta contro Gheddafi è venuto proprio da un manager della compagnia, Mahdi Ziu, che si è fatto saltare in aria lanciandosi in auto contro la Katiba, la caserma dei miliziani che stavano massacrando a raffiche di mitragliatrice i civili di Bengasi. «Mahdi lo conoscevo bene, era una persona tranquilla, mai avrei immaginato che potesse fare un gesto così straordinario: ma non dimentichiamo che altri due ingegneri della società, Ronsegh Ahmeida e Rafallah Hassadi, sono stati uccisi dai cecchini», dice Ali El-Mehadawi, direttore del reparto di prospezioni geologiche, in posa sotto i ritratti dei colleghi «martiri del petrolio».
La mattina del 20 febbraio, dopo tre giorni di violenti scontri tra ribelli e miliziani, Mahdi Ziu decise di farla finita con gli uomini del Colonnello. La sua abitazione, vicino alla sede alla Gulf Oil, è a 400 metri dalla Katiba, il fortino dei gheddafiani. Ali al-Mehadawi racconta: «Quella mattina trovai un foglio sotto la porta di casa: era il testamento di Mahdi. Poco dopo sentii dei rumori in cortile: Ziu trascinava sull’auto delle bombole del gas mentre sua figlia lo guardava dalla finestra, poi ho saputo da suo fratello Salem che aveva preparato dell’esplosivo come detonatore, lo stesso che usano i pescatori».
Alle due del pomeriggio Mahdi Ziu accese il motore e si avviò verso la Katiba mentre ribelli e i miliziani si scambiavano raffiche dai tetti. Le guardie sulla torretta reagirono troppo tardi, a tutta velocità l’auto di Ziu esplose con una vampata contro il cancello abbattendo il muro di cinta: fu così che venne sbriciolato il fortino della Katiba, il carcere dove si torturavano da decenni gli oppositori.
Le lamiere accartocciate dell’auto di Mahdi sono ancora lì, davanti alle rovine, con grandi scritte che inneggiano all’eroe della rivolta e le foto del martire incollate allo chassis. «Amava leggere, navigare in internet, era una buon padre», mormora Zuhour la figlia ventenne. «Il giorno prima aveva visto cadere fulminato uno degli shebab, abbattuto nella piazza della Katiba. «Basta - disse - è tempo di andare a combattere contro Gheddafi: non possiamo restare a guardare, siamo tutti coinvolti».
Prima della guerra la Gulf Company, che ha uno stand fisso al Tribunale, sede del Governo provvisorio di Bengasi, produceva 500mila barili al giorno. Ahmed Al-Farsi, ingegnere, sottolinea con orgoglio «Questa è stata la rivolta dei giovani ma anche nostra. Mahdi aveva 47 anni, Rafallah, ucciso dagli sniper, 48: era direttore del campo petrolifero di Sarir, il più grande della Sirte. La Gulf Oil con 5mila dipendenti è la maggiore azienda di questa parte del Nordafrica, spina dorsale della nostra economia».
"Russia, China, Forget the Oil", avverte un cartello vicino alla tenda dell’Agco: un monito per le due potenze contrarie all’intervento in Libia che di malavoglia si sono astenute al Consiglio di sicurezza Onu. Ma ora anche la Nato è nel mirino: gli oppositori di Gheddafi pensano che gli aerei dell’Alleanza non facciano abbastanza per distruggere le forze di Tripoli. «È evidente che in questa guerra c’è un’agenda nascosta sul petrolio della Cirenaica - dice El-Mehadawi - perché abbiamo 45 miliardi di barili di riserve in una posizione strategica per l’Europa. Dobbiamo però guardare al nostro obiettivo principale: abbattere Gheddafi, poi vedremo quali saranno i nostri partner ma è abbastanza logico che le compagnie italiane come l’Eni o la francese Total saranno sempre in primo piano».
Al Consiglio transitorio di Bengasi si fanno calcoli più immediati. «Gli introiti del petrolio - produciamo ancora 100mila barili al giorno - potrebbero servirci per amministrare la Cirenaica, portare soccorso alle popolazioni assediate come quelle di Misurata e, perché no, anche a procurarci le armi», sostiene il responsabile dell’economia Ali Tahroni. Gli Shaid, i martiri del petrolio del Gulf Oil, forse sognavano, liberandosi del Colonnello, che un giorno la Cirenaica avrebbe rimesso le mani sul petrolio dei Senussi.