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 2011  aprile 06 Mercoledì calendario

«Lo Strega? Troppi esordienti allo sbaraglio» - «Giallista disil­luso si inna­mora di un’esordien­te della sua scuola di scrittura che però non stima co­me autrice e si mette pure in mente di vincere un premio let­terario così non lo considerano più un giallista

«Lo Strega? Troppi esordienti allo sbaraglio» - «Giallista disil­luso si inna­mora di un’esordien­te della sua scuola di scrittura che però non stima co­me autrice e si mette pure in mente di vincere un premio let­terario così non lo considerano più un giallista. Uno dice: uh, sai che tramone. E invece poi...». E invece poi il lettore si diverte. S’appassiona.Sorride.A trattiri­de, perfino. Forse perché l’ulti­mo romanzo di Raul Montana­ri, L’esordiente (Dalai, pagg. 318, euro 18), è stato scritto toc­cando legno per la sua carriera di scrittore e della sua scuola di scrittura: l’ambiente editoriale viene sputtanato una riga sì e una riga no e l’ambiente edito­riale non perdona. Prendi lo Strega, ad esempio. Fulvio, protagonista del roman­zo, ci si prepara come ai cento metri piani: «Chiamalo come vuoi, il Toblerone, il Vicariato, la Potta d’Oro. Oppure fa’ come noi e chiamalo semplicemente il Premio. Il Premio con la p ma­iuscola. Anche perché lo è». «È l’unico che può cambiare il de­stino di un libro e del suo auto­re », dico io. «Ho il soggetto e il titolo. Ma lo sai che non ne parlo mai, prima». «Fa’ un’eccezione, stavolta. Stiamo parlando del li­bro che deve vincere il Premio nel 2010. Deve vincerlo, capi­sci? ». Montanari,ma voi scrittori ci te­nete così tanto allo Strega? «Gli scrittori tengono molto ai premi. Per un motivo banale e che le sembrerà pure volgare, ma non lo è per niente: sono sol­di in più. Si guadagna con i dirit­ti all’estero, con quelli cinemato­grafici e con i premi». Per denaro, dunque? «Anche perché il Premio sta a metà strada tra il consenso di pubblico e di critica, i due poli in cui si cerca di legittimazione.Al­l’editore, che vuole che tu ven­da, non frega nulla che ci siano cinque critici che ti considerano il più grande scrittore italiano vi­vente ». Allora è per questo che Aurelio Picca se l’è presa tanto con Riz­zoli per l’esclusione. «Se è per questo Rizzoli ha toc­cato il fondo l’anno scorso: esclusione di Matteucci a favore di Avallone, che evidentemente aveva migliori rapporti con la di­rigenza ». A questo son ridotti gli editori? Ma Picca dice che glielo aveva­no promesso... «Nelle scuderie degli editori si scatena sempre la bagarre su chi partecipa a quale premio. Uno degli aspetti più sporchi del rapporto tra editore e autore è che spessissimo promettono. Tu, autore, per smuovere la si­tuazione, dovesti farti avanti di continuo. O fare il leccaculo. O ricattare: “Garzanti ha promes­so che mi manderebbero...”. Se dici solo: “Scusate, mi piacereb­be partecipare al Viareggio”, ti ri­spondono: “Pensiamo che non sia adatto a te”. Perché lo hanno già promesso a qualcun altro». Una consacrazione falsa, allo­ra. «Una consacrazione di vendi­te, quindi una consacrazione ve­ra. Prenda Scarpa: lo Strega per lui è stato un sigillo che gli ha da­to una tranquillità inimmagina­bile. E duratura: quando lo vin­se, negli ipermercati stava ac­canto a Giordano, che ancora portava la fascetta dell’anno pri­ma. Lo Strega dovrebbe tornare alle origini». Cioè? «Dentro Eco e Arbasino, fuori gli esordienti. L’ammiraglia dei premi, come era con la Bellonci. Non come oggi, che uno imbroc­ca il terno al lotto». Ma proprio lei, che nel roman­zo non parla che di esordienti! «Ma oggi non si cercano esor­dienti per farli crescere. Si cerca­no casi letterari, roba preconfe­zionata in cui ci sia la ragazza ca­rina che si è vista (Avallone) e il belloccio (Giordano) con cui cerchi di piazzare la botta». Anche lei contro il marketing? «La competenza specifica nel­le case editrici si è abbassata do­p­o l’ingresso di uomini di marke­ting. Ma è anche vero che a fare troppo i letterati, come faceva Ei­naudi, si rischiava ogni anno il fallimento. La verità è che ci so­no editor che fanno accappona­re la pelle, e spesso sono proprio i giovani rampanti di cui molto si parla. Ignoranti che investo­no sulla narrativa di genere o sul campione straniero come nel calciomercato». Fatto sta che lei e Faletti scrivete thriller per lo stesso editore Fa­letti stravende e lei no. Qual è la differenza? «Ho difficoltà a dire: non è giu­sto. So che tipo di discorso lette­rario faccio io e che tipo di di­scorso fa Faletti: la scacchiera è lastessa, ma c’è chi gioca a scac­chi e chi a dama. Un editore tede­sco mi disse: “Una volta si face­va un libro buono e si sperava che vendesse. Ora si pubblica un libro che vende e si spera che sia un libro buono”. E sa invece che mi disse una volta Aldo Bu­si, uno dei miei maestri?». A proposito di Faletti? «No, di De Carlo. “Fa librini per ragazze e incula il pubblico, quindi lo ammiro” mi disse. “Mentre non c’è essere umano che disprezzi di più di uno che ci ha provato e non è riuscito”».