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 2011  aprile 06 Mercoledì calendario

La seconda vita delle vedove: allegra, invisibile e guerriera - Latricia ha avuto un bambi­no l’ultima domenica di aprile

La seconda vita delle vedove: allegra, invisibile e guerriera - Latricia ha avuto un bambi­no l’ultima domenica di aprile. Lo ha chiamato Wilfred, come il papà. Jill invece ha battezza­to il suo Nathaniel, il nome che lei e il marito avevano scelto prima che lui partisse per l’Irak.E a settembre Shauna ha dato alla luce Kylee: «Io volevo chiamarla Michaela ma Patri­ck odiava quel nome». Sono centinaia, tutte giovani, alcu­ne ancora ragazzine. Ma già ve­dove, vedove di guerra. Vanno agli appuntamenti dal medico accompagnati solo dalla ma­dre o tornano da scuola mano nella mano di un bambino che non troverà più l’abbraccio di un papà. Il governo americano assegna loro un sussidio imme­diato di 6mila dollari, poi 948 dollari al mese più 237 per ogni figlio minorenne «ma io vorrei solo riavere indietro la mia vi­ta » dice Shauna con un sorriso a metà, triste triste. Anche Natasha Loginova era incinta quando il suo Seriozha partì per quella missione segre­ta. Prima di imbarcarsi volle concedersi un’oretta di riposo, a casa sua, con la sua donna. Ma si svegliò di colpo, tutto su­dato: «Aveva avuto un incubo terribile: mi aveva vista correre e piangere, lo stavo cercando al porto, ma lui non c’era più». Poi Seriozha, con i suoi 117 compagni d’avventura, salì a bordo di un meraviglioso sotto­marino nucleare, il fiore all’oc­chiello della marina sovietica: il Kursk, direzione mare di Ba­rents, a 150 metri di profondi­tà. Natasha non era sposata con Seriozha, non ha diritto al sussidio statale né per sé né per la piccola Vadya. Ha cercato, come tutte, la verità su quelle morti ma alla fine non ha trova­to neppure di che vivere. Quando nell’altrà metà del cielo si fa buio ci sono orizzonti che scompaiono all’improvvi­so e cose che si vedono sotto tutta un’altra luce: in Cecenia le vedove diventano kamikaze, in Congo bottino di guerra, in Colombia mogli coraggio, in In­dia fuoco che arde sopra una pi­ra. Le vedove hanno tutte la stesso viso un po’ perduto, ma è la rabbia nello sguardo che le fa diverse. Sharna per esempio ha la testa rasata perché le è vie­tato pettinarsi e gli occhi sem­pre bassi. Da quando lui non c’è più vivesola,di elemosina e preghiere. Ce ne sono diecimi­la come lei a Vrindavan, la città delle vedove, 150 chilometri da New Delhi, ripudiate dalla famiglia, fuorilegge, in balia dei lupi. Colpevoli di essere so­pravvissute al marito e condan­nate a una vita senza vita, fer­me per sempre in un altro mon­do senza tempo. Perché chi perde il marito non ha più il di­ritto di considerarsi un essere umano. Suraya invece ha appe­na fatto vent’anni ma nascon­de lo sguardo dietro gli occhia­li a specchio. Ha il velo islami­co e le unghie laccate. Da quan­do lui non c’è più si è rifugiata nella giungla, con una mimeti­ca addosso e un kalashnikov a tracolla, ce n’erano sono quasi duemila nelle foreste a nord dell’isola di Sumatra, prima che il terremoto capovolgesse il mondo, addestrate ad ogni tecnica di assalto e assetate di vendetta. Si chiamavano Inong Balee,l’esercito delle ve­dove, combattevano per l’indi­pendenza di Aceh, la porta del­­l’Islam, che lotta per staccarsi da Giakarta, alla macchia per vendicare un decennio di mas­­sacri, stupri e torture compiuti dall’esercito di Suharto. Espe­rante ha una bambina in brac­cio, Agata, sua figlia, e gli incu­bi la notte. Da quando lui non c’è più sogna ancora bande di miliziani che fanno irruzione in casa sua, come quella notte, la notte del machete che le por­tò via il marito. Un milione di morti ha lasciato il Ruanda in mano alle donne che sono il 60 per cento della popolazione e il 25 per cento dei seggi parla­mentari. Sono le più istruite di tutta l’Africa, hanno perso l’amore, la casa, i figli, ma non la voglia di un futuro migliore. Le vedove della Storia non hanno mai una storia qualun­que. In Afghanistan dopo una decina di anni nascoste dietro un burqa le prime donne a scendere in piazza, anni fa, co­me femministe qualsiasi sono state proprio le vedove, undici­mila, per chiedere la liberazio­ne di Clementina Cantoni. «Il minimo che potevamo fare per ricambiare tutto il bene che ci ha fatto» ha detto Karina, due figli, inserita come le altre in un progetto di microcredito finan­ziato da Care per avviare picco­li esercizi commerciali. Molte vedove dei 347 pompieri del Fire Department di New York che si immolarono al World Trade Center si sono risposate o fidanzate con colleghi del ma­rito. Quelli per esempio che il Dipartimento aveva assegnato loro per aiutarle, confortarle, farle sentire meno sole dopo la tragedia. E alcuni di quei vigili del fuoco hanno lasciato le pro­prie mogli per mettersi con quelle dei colleghi uccisi, gli uni dicono per espiare così, prendendosi cura delle fami­glie di chi non c’è più, il senso di colpa di essersi salvati, le al­tre per sostituire il papà dei lo­ro figli con un uomo non molto diverso da lui. Perché per quan­to buio ci possa essere nell’al­tra metà del cielo c’è sempre bi­sogno di un po’ di fuoco. An­che solo per illuminare il doma­ni.