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 2011  aprile 06 Mercoledì calendario

COSI’ SI DIVENTA CITTADINI DEL MONDO

Si apre domani a Milano il convegno «Ricomporre Babele: educare al cosmopolitismo». Lo promuove la Fondazione Intercultura (www.intercultura.it), che da decenni organizza gli scambi giovanili internazionali permettendo ai ragazzi di frequentare un anno scolastico in un altro Paese. In un momento in cui, come ricorda il segretario generale della Fondazione Roberto Ruffino, «gli avvenimenti sociali, politici ed economici, fino agli sviluppi di queste ultime settimane in Nordafrica e in Giappone, ci fanno comprendere l’impossibilità di vivere nei confini politici e culturali del proprio Stato-Nazione», il rinnovamento può cominciare proprio dall’esperienza quotidiana di un teenager che fa «un corso accelerato di vita», costruendosi con un po’ di coraggio una rete sociale tutta nuova a migliaia di chilometri da casa.

Marco Balich, il produttore televisivo responsabile delle cerimonie di inaugurazione e di chiusura dell’Olimpiade invernale di Torino, nel remoto 1979 è stato uno dei ragazzi di Intercultura: «A Chicago, e per i Giochi il “Tribune” mi dedicò una pagina, come figlio adottivo della città». Imporrebbe «per legge» quest’esperienza a tutti, e il perché lo spiega con una metafora botanica: «Una pianticina sana si avvantaggia se è trapiantata in un terreno diverso: gode dei benefici dell’ambiente nuovo ed evita le malattie locali. Un diciassettenne è in un momento perfetto per provarci, perché ha radici già definite ma non troppo solide. Io ero arrivato in America con in mente la disco music, Al Pacino e Robert De Niro. Allora non c’erano né Skype né Internet, gli italiani erano visti un po’ come dei trogloditi, ti facevano vedere che loro avevano la lavatrice. All’inizio smaniavo per omologarmi, poi ho scoperto che quello che tendevo a disprezzare delle mie radici era tutt’altro che male, poi ho armonizzato i due atteggiamenti». Un perfetto esercizio per diventare cosmopolita, dunque.

Al convegno partecipano, tra gli altri, Giancarlo Bosetti, Francesco Cavalli Sforza, Ramin Jahanbegloo , John R. Lupien, Saskia Sassen , Gianni Vattimo e Salvatore Veca. La giornata di sabato è aperta al pubblico (per informazioni: www.ricomporrebabele.org).

I programmi

Le iniziative di Intercultura consentono agli studenti delle scuole superiori di frequentare un periodo di scuola in un altro Paese, vivendo con una famiglia del luogo.

Il prossimo bando

Sarà disponibile da metà luglio. Sarà rivolto indicativamente agli studenti nati tra il 1994 e il 1997. Le iscrizioni alle selezioni apriranno il primo settembre 2011 e i programmi riguarderanno l’anno scolastico 2012-13.

La selezione

Si tratta di circa 1.500 posti in oltre 50 Paesi in tutto il mondo e di 1000 borse di studio totali o parziali per coprire le spese. Si viene selezionati in base al profitto degli ultimi tre anni. Seguono una prova d’ammissione, un colloquio individuale e un incontro a casa dello studente con i genitori.

Il riconoscimento

L’intero anno scolastico all’estero viene riconosciuto dalla scuola italiana secondo le normative vigenti: il reinserimento all’anno successivo avviene, cioè, previa valutazione del Consiglio di classe che può disporre eventuali prove o corsi di recupero.


Le difficoltà linguistiche

Sono il primo scoglio, però i ragazzi che ci sono passati raccomandano di buttarsi: all’inizio sarete sgrammaticati, ma è l’unico modo per imparare. E non vergognatevi di farvi ripetere le frasi: i vostri interlocutori sanno che siete stranieri.

La nostalgia

Gli esperti di Intercultura evidenziano una tipica curva emotiva: si parte gasati, si ha un immediato choc culturale, ci si rasserena quando è evidente che si riesce a stare a galla, poi arriva una fase di down che in genere culmina col Natale. Non bisogna lasciarsi abbattere: passa anche quella, e in genere poi non si vuole più partire.

L’integrazione

E’ fondamentale partecipare a gruppi sportivi, alle attività comunitarie, a corsi musicali e culturali.

L’autonomia

Non eccedere con social network, skype e telefonate a casa: cercare la soluzione a eventuali problemi cercando il confronto con le persone del posto. Così si attiva un meccanismo di crescita, autostima e autonomia. E si sviluppano anche le competenze interculturali: insomma, insegna a diventare cittadini del mondo.

Gabriele e Lodovico Terzi, romani, sono fratelli e hanno fatto, a due anni di distanza, l’esperienza di un soggiorno all’estero. Per entrambi il quarto anno di liceo scientifico, ma Gabriele è andato negli Stati Uniti, a Charlotte nel North Carolina, e Lodovico in India, a New Delhi. «Per mio fratello minore credo sia stata davvero più dura, dice Gabriele. «Non tanto perché il Paese ha costumi più distanti dai nostri, ma perché lì il livello scolastico è molto elevato, e la pressione per i risultati infinitamente maggiore».

Lodovico, che adesso è in vacanza ma frequenterà anche un pezzetto di quinta in India, racconta: «I miei compagni di scuola non sono diciottenni come siamo abituati a vederne in Italia. Non fanno sport, escono poco: studiano e basta. Scuola tutte le mattine dal lunedì al sabato, più due ore di ripetizioni pomeridiane ogni giorno feriale e sei ore il sabato e la domenica. Un mese prima degli esami volevamo andare al cinema in gruppo, ma la mia host family mi ha scoraggiato: ma come, e i libri? Lavorano sodo perché sanno che è l’unico modo per qualificarsi a buone università, per trovare un impiego all’altezza e mettere su famiglia. Nella loro cultura è fondamentale». E così si sono conquistati il mondo. Ci sarà stato pure un po’ di relax… «Certo, la festa delle luci, per esempio, o uno stupefacente matrimonio indù. Ma tutta l’esperienza della vita a New Delhi è bellissima:una città così tradizionale che sta diventando la più moderna delle metropoli». Lodovico non ha ancora deciso che farà in futuro, ma lo tenta Medicina: in India, anche se il corso di studi è impervio. Gabriele, invece, è tornato a Roma ma è già ripartito: studia Matematica ed Economia all’Università di Warwick, a Coventry in Inghilterra. Mai pensato di fermarsi in Italia? «Sì, non ho prevenzioni. Anche se confesso che a casa mi sento un po’ stretto».
"DICIOTTENNI A NEW DELHI «Non fanno sport, escono poco, studiano e basta. Ma così stanno conquistando il globo»"


Per Emma Adami, milanese, la terza superiore frequentata ad Arlington in Virginia, corrispondente alla prima liceo classico, è stata un’occasione di «vivere una vita tutta nuova: lì nessuno sa chi sei e ti metti in gioco interamente. Certo, impari l’inglese a un ottimo livello. Ma non è quello il risultato più prezioso: cresci, eccome se cresci». Qualche momento di sconforto, una fase difficile? «Non a Natale, come mi avevano detto: l’abbiamo passato in montagna con i nonni della mia host family, e il Giorno del ringraziamento con gli zii: è stato tutto molto caldo e affettuoso. Invece ho vacillato quando mi è arrivata la lettera che avevo indirizzata a me stessa». E cioè? «Intercultura ci aveva invitato, prima della partenza, ad autospedirci una letterina con i propositi e le paure prima del grande tuffo. Be’: l’ho letta e non mi ci riconoscevo proprio, anzi, non mi ricordavo neanche di aver scritto quelle frasi». Un segnale che eri davvero cambiata, no? «Certo, però in un punto esprimevo l’angoscia di trascurare gli affetti italiani, una volta in America. E quello era un tasto delicato». Che consigli daresti, sotto questo profilo, a chi sta per partire? «Non rimanete attaccati all’Italia, non telefonate troppo a papà e mamma, non abbiate paura di perdere gli amici mentre siete via. Un anno passa più in fretta di quanto crediate, e alla fine saranno tutti di nuovo lì. I pochissimi che non troverete? Vorrà dire che alla fine nonerano poi così importanti. Il guaio vero è quando si parte. Quel giorno mi sono detta: anche se magari in America ci tornerò a vivere e a lavorare, un’esperienza così bella è unica nella vita».

Matematica ha deciso di frequentarla a Milano. Ma il suo futuro, dice, «è senza dubbio cosmopolita. L’idea dello spostamento, della ricerca di un orizzonte più aperto, ormai fa parte della mia personalità».
"GLI AFFETTI LASCIATI"

"«Alla fine li si ritrova tutti"

"o quasi. E chi non c’è forse non era amico vero»"