Vari, Corriere della Sera 6/4/2011, 6 aprile 2011
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI TUNISI —
Circa ottocento rimpatri in otto giorni, con due voli ogni ventiquattrore, ciascuno con 50 immigrati a bordo. Ma senza dettagli operativi. Il risultato più atteso, quello sul numero dei rimpatri, c’è nell’accordo sull’immigrazione clandestina firmato ieri sera a Tunisi del ministro dell’interno Roberto Maroni e dalla sua controparte, Habib Essid. Tuttavia va ancora confermato alla prova dei fatti. Forse anche per questo nella conferenza stampa convocata alle 19 (ore 20 italiane) Maroni si è limitato a leggere in maniera molto sommaria i punti chiave dell’intesa: rafforzamento della sorveglianza delle coste, fornitura di mezzi tecnici alla Tunisia, interventi di prevenzione. «Abbiamo cominciato a chiudere il rubinetto» , ha commentato il ministro, senza aggiungere altro: «Voglio prima presentare il protocollo a Berlusconi e ai colleghi dell’unità di crisi» . Il passaggio più difficile, che ha tenuto a lungo in bilico il negoziato, è stato proprio quello delle «riconsegne» . Il governo italiano ha dovuto accantonare l’idea di procedere al rimpatrio di massa (almeno 1.000 immigrati in una volta sola) e ha ripiegato su rientri graduali. In parallelo il ministro Essid ha accettato di accelerare almeno un po’ sulla «cadenza» dei rimpatri, spostandosi dalla soglia di 50-100 a circa 800 in otto giorni. L’operazione sarà concordata nei dettagli tra le due parti. L’Italia ci mette gli aerei e, entro due giorni, il governo tunisino farà sapere quando e in quale scalo potranno atterrare. Solo allora si potrà dire che cominceranno i rimpatri. Oggi, invece, Berlusconi firmerà il decreto che accorda un permesso provvisorio di 6 mesi a favore degli altri 20 mila tunisini sbarcati dall’inizio dell’anno. Ma, particolare importante, il protocollo concordato ieri prevede il "rimpatrio diretto"per i clandestini che arriveranno in Italia dopo l’entrata in vigore del provvedimento. Certo, questa mossa non piacerà alla Francia, poiché in qualche modo concede libertà di movimento ai giovani tunisini, molti dei quali vogliono raggiungere Parigi. La posizione italiana è rafforzata però dalla risoluzione approvata ieri dall’Europarlamento riunito a Strasburgo, presentata dal leghista Fiorello Provera, che sollecita il Consiglio europeo «a predisporre un piano di azione per il reinsediamento dei rifugiati e ad applicare la clausola di solidarietà tra gli Stati membri» . Infine la sorveglianza. Non ci saranno pattugliamenti congiunti italo-tunisini al largo delle coste nordafricane. Maroni, però, ha ottenuto un rafforzamento della collaborazione anche in mare. Un esempio: se una motovedetta italiana avvista barconi di immigrati in navigazione nelle acque territoriali tunisine, potrà avvisare la guardia costiera locale, che andrà a recuperarli. Sempre che arrivino presto i motoscafi veloci promessi nel nuovo accordo di Tunisi. Giuseppe Sarcina
SEGUE DALLA PRIMA «Non c’erano altre alternative» , ripete il ministro dell’Interno Roberto Maroni al termine di una giornata trascorsa a tentare di convincere il collega tunisino Habib Essid a collaborare per fermare il flusso dei migranti. E in questo modo spera di indurre anche la Lega ad allentare quella presa che sta mettendo in seria difficoltà la tenuta dell’esecutivo. Lo sa bene Maroni che entro qualche ora la Tunisia potrebbe fare marcia indietro pure rispetto a quel poco che è stato concesso. Anche perché la firma non è stata messa in calce a un «bilaterale» , ma a un «processo verbale» e basta questo a comprendere che è la stessa natura del patto a renderlo soggetto a possibili e numerose modifiche. Ma soprattutto perché nel testo non c’è alcun piano concreto che riguardi quegli 800 rimpatri promessi. Se ne parla, però le date e lemodalità dei voli che dall’Italia dovranno riportare a casa chi è arrivato a Lampedusa non sono state ancora fissate. E dunque è possibile che le autorità locali comunichino di aver bisogno di altro tempo per pianificare quanto hanno assicurato di voler fare. Nulla è stato definito neppure sui rimpatri di chi arriverà nel nostro Paese a partire da oggi, sebbene se ne faccia riferimento in uno degli articoli dell’intesa. Ed è proprio per questi motivi che il titolare del Viminale ha preteso il via libera del premier Silvio Berlusconi prima della sigla. Del resto, già pochi minuti dopo l’arrivo a Tunisi e nonostante una base di mediazione ottenuta dal prefetto Rodolfo Ronconi, si era capito che da parte del governo tunisino non c’era alcuna volontà di fornire certezze sulla riammissione di chi è fuggito e sul pattugliamento delle coste dove gli scafisti continuano a farla da padroni. «È come se stessimo in un suk» , ripetono i tecnici quando si tratta di spiegare come mai una missione che doveva concludersi in poche ore vada avanti per tutto il giorno. E soltanto alla fine si scopre che in almeno due momenti c’è stato il rischio che saltasse tutto e si sfiorasse la rottura delle relazioni diplomatiche. Accade a metà pomeriggio, quando il ministro dell’Interno Habib Essid chiede che venga inserita una clausola che condiziona i rimpatri «alla volontà dello straniero» . Maroni spiega che si tratta di una condizione inaccettabile. Il collega insiste. A questo punto Maroni contatta Berlusconi: «O convinci il premier tunisino a togliere questa limitazione o io lascio» . Berlusconi parla con Beji Caid Essebsi, lo convince. Richiama il ministro e assicura che tutto è a posto. Ma si sbaglia. Essid ribadisce che i rimpatri devono essere volontari. «Allora non se ne fa niente» , conclude Maroni. L’ambasciatore Piero Benassi lo convince ad andare avanti, pur sapendo che alla fine il risultato sarà molto modesto. «Ho firmato perché questa carta serve comunque a impegnare il governo tunisino» , afferma il ministro sull’aereo che lo riporta a Roma senza nascondere il suo disappunto. Sa che la strada per risolvere l’emergenza continua ad essere in salita, soprattutto alla luce dell’incontro che avrà oggi con i presidenti delle Regioni per convincerli a garantire l’accoglienza ai nuovi arrivati. Il permesso temporaneo potrà infatti essere rilasciato soltanto a chi è già in Italia. Il beneficio durerà sei mesi, ma sarà rinnovabile. Il limite di tempo servirà ad impedire che gli stranieri godano automaticamente della copertura sanitaria. Resteranno esclusi tutti coloro che hanno precedenti penali o che risultano aver ricevuto un precedente provvedimento di espulsione. La partita per sistemare chi approderà nei prossimi giorni a Lampedusa e sulle altre coste italiane è ancora tutta da giocare. Fiorenza Sarzanini
ROMA— Sarà firmato oggi il decreto del presidente del Consiglio per il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo di sei mesi ai circa 20 mila tunisini arrivati quest’anno in Italia. Chi sbarcherà successivamente alla sua entrata in vigore, invece, sarà rimpatriato con procedura semplificata. La soluzione, prevista dall’accordo siglato ieri a Tunisi dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, è giunta al termine di un’altra giornata ad alta tensione. Dopo giorni di contrasti tra Lega e Pdl, la linea l’aveva data in mattinata Umberto Bossi: «Dobbiamo chiudere i rubinetti e cominciare a svuotare la vasca» . Via libera quindi ai permessi di soggiorno temporanei per i clandestini per motivi umanitari, contro cui il Carroccio aveva minacciato la crisi di governo. «L’importante è che Silvio Berlusconi si sia mosso. Io faccio quello che posso» , si era giustificato il leader leghista. E, tanto per confermare la linea del «Fora di ball» , aveva aggiunto: «Così se ne vanno in Francia, in Germania, in Europa...» . «Mi spiace dargli un dolore» aveva replicato a Ballarò il presidente della Camera, Gianfranco Fini. «Ma il Commissario europeo Malstrom ha detto» che «non garantirà affatto in modo automatico a chi ne entrerà in possesso la possibilità di varcare la frontiera nell’area Schengen» , aveva evidenziato descrivendo Maroni «in conflitto di interessi politico» per i tentativi di «coinvolgere tutte le regioni comprese quelle del Nord» nell’accoglienza. In effetti dalla Lega si erano levate voci contro questa soluzione auspicata invece dal sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, prima di dare le dimissioni in polemica con la linea delle tendopoli solo al Sud (in particolare a Manduria). Ieri Mantovano, accompagnato dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, è stato di nuovo dal premier, Silvio Berlusconi, che gli ha chiesto di rientrare al governo. Lui chiede garanzie, a partire dai centri di accoglienza anche al Nord. Ma, soddisfatto per la posizione sui permessi, ci pensa. Ora non resta che attendere l’esito pratico dell’accordo. E di capire se davvero i tunisini andranno in Europa. Il Pd, rende note le resistenze della Malstrom e con il leader Pier Luigi Bersani accusa il governo di aver «toccato il punto più basso» : «Si possono tenere 3 mila persone con cinque bagni chimici? Ve li mandiamo noi dalle feste del Pd» . Ma Strasburgo ieri ha approvato la relazione del leghista Fiorello Provera che chiede alla Malstrom di attivare il meccanismo di solidarietà. Virginia Piccolillo
DAL NOSTRO INVIATO MANDURIA (Taranto)— Tutte queste vite disposte in fila indiana potrebbero essere raccontate con le solite due righe, lacrimose oppure asciutte. Chokri, Amer, Walid, Aiman, giovani e stanchi, con le mani che stropicciano di continuo i grandi occhi neri. Sono scappati da posti senza niente, hanno lavorato mesi per pagarsi il passaggio clandestino, l’hanno sognato e poi intrapreso. E adesso sono qui davanti a un gabbiotto prefabbricato con la sigla della Polizia di Stato. La continuazione del loro viaggio dipende da quel che succede nella mezz’ora che devono trascorrere in questa specie di container di plastica ai bordi della tendopoli di Manduria, reso bollente dal sole. Uno alla volta. Quando sono dentro, devono raccontare la loro storia, dare generalità che non possono essere verificate, fare richiesta di permesso umanitario temporaneo, motivandolo con la necessità di essere protetti dal governo del proprio Paese. La coda è lunga un centinaio di metri. La ricompensa per un’attesa che dura almeno tre ore si chiama C3, la sigla del modulo che avvia la pratica per accedere allo status di rifugiato. Il lasciapassare per la Francia, il Belgio, per un’altra tappa del viaggio. «Grazie Italia, siete un grande Paese» . Chokri è a una decina di metri dal traguardo, e non sta più nella pelle. «State dimostrando che da voi esiste la libertà» . Il segreto della calma apparente del centro d’accoglienza di contrada Pajoni è dentro quella casetta. A nulla serve il fossato in via di costruzione intorno al campo, lo schieramento di Polizia, il permesso agli ospiti di entrare e uscire senza alcun problema, a piacimento. Sarebbe tutto inutile se non ci fosse il miraggio di quel pezzo di carta, a poco varrebbe anche la draconiana ordinanza del prefetto di Taranto, che vieta qualunque forma di manifestazione, picchetto, presidio e accesso degli estranei intorno all’area. «Gli agenti e i mediatori culturali ci dicono che avremo quel documento» dice Chokri esibendosi in un sospiro di desiderio. Le proteste finiscono inseguendo questo miraggio. Le notizie della nostra politica, come il possibilismo della Lega sul rilascio dei permessi temporanei, filtrano nella coda per bocca dei tunisini che parlano italiano, e sono la miglior panacea possibile per una situazione che fino a due giorni fa era una specie di delirio a cielo aperto. I divieti della prefettura riguardano anche la diffusione di volantini, ma in qualche modo quasi tutti i migranti sono in possesso del vademecum diffuso dalla Cgil, stampato in arabo e francese. «Se sei uscito dal campo con le tende è utile che tu sappia: se torni ed esprimi la volontà di chiedere asilo potrai automaticamente accedere alla procedura...» . Il consiglio per prepararsi all’intervista con l’agente che li attende nella casetta è di non arrivare impreparati. Meglio scrivere la propria storia personale su un foglio, «nella lingua che preferisci» . Le istruzioni per l’uso sono condite con alcuni moniti. «Se decidi di non tornare al campo sappi che al momento non esiste alcuna possibilità di stare in Italia per motivi di lavoro» . Tutto porta verso la coda davanti alla casetta di plastica, il vero punto di equilibrio della tendopoli. Le tensioni restano fuori, ai bordi della strada, dove i migranti passeggiano guardando la consueta sfilata di politici e sindacalisti italiani che contestano il prefetto. Viene respinta ai cancelli anche Betty Williams, premio Nobel per la pace nel 1976, che non la prende bene. «Questa gente scappa da una tirannia— ha commentato l’attivista irlandese — ed è arrivata in un’altra tirannia. È una situazione assurda» . Il sindaco di Manduria invece non protesta più. Paolo Tommasino, dimissionario dal giorno del primo invio di 1.700 immigrati, ha ritrovato il sorriso. Ieri gli ha telefonato Silvio Berlusconi, chiedendo scusa per il disturbo e promettendo che quota 1.500 non verrà più superata. I prefetti di tutte le provincie pugliesi hanno intanto deliberato un tetto massimo di 4.000 unità da accogliere in Puglia. I migranti verranno ospitati anche negli immobili sequestrati in questi anni alla criminalità organizzata. La parvenza d’ordine alla tendopoli si increspa solo verso le otto di sera. Dai cancelli arrivano urla e imprecazioni. La delegazione Cgil e i ragazzi delle organizzazioni umanitarie cercano di interpretare le ragioni di quella nuova dimostrazione di malcontento. Vista l’ora, qualcuno ipotizza che sia per la qualità scadente del cibo. Altri si dicono convinti che sia in programma un nuovo sciopero della notte, con gli immigrati che scelgono di dormire all’addiaccio nei campi. Chokri, in libera uscita dopo aver fatto la sua trafila nella casetta di plastica, rassicura tutti. Niente di irreparabile. Sono finiti i moduli C3, l’ufficio ha chiuso con un quarto d’ora di anticipo. Marco Imarisio