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 2011  aprile 05 Martedì calendario

LUSSO ACCESSIBILE, PER VOCE ARANCIO

Da un po’ di tempo si sta assistendo a un fenomeno nuovo: il lusso si sforza di essere alla portata di un numero maggiore di tasche. È il caso, per esempio, di Bulgari, che ha da poco rinnovato la storica collezione B.zero1 con modelli dagli inserti in ceramica, caratterizzati da prezzi più contenuti: si parte da 800 euro. Certamente non è poco, ma per una firma della gioielleria è un prezzo da low cost.
«Avete niente da dieci dollari?». «Eh, francamente signora per questa cifra direi che la scelta è piuttosto ristretta. Però qualcosa dovrebbe esserci, vediamo... Un oggettino di puro capriccio, per chi ormai abbia tutto il resto: un formanumero telefonico in argento a sei e 75, tassa federale compresa...» (Holly-Audrey Hepburn e il commesso di Tiffany in Colazione da Tiffany).
Grazie alla democratizzazione del lusso, dal 2000 al 2008 Tiffany in Italia ha quasi quadruplicato le proprie vendite, crescendo al ritmo del 22 per cento annuo. Il segreto? Risponde Cesare Settepassi, presidente di Tiffany Italia: «Siamo riusciti a far capire a un’ampia fascia di potenziale clientela che da noi possono comperare un gioiello della massima qualità partendo da 200 euro». Navigando sul sito, infatti, si può scegliere tra vari livelli di prezzi, addirittura inferiori a 100 euro.
La causa di questa nuova tendenza è nella crisi, che ha costretto anche le grandi firme a rivedere le proprie strategie di vendita. Come è ovvio, si tratta pur sempre di marchi del lusso e quindi è impossibile trovare prezzi stracciati. Spiega Italo Piccoli, professore di Sociologia dei consumi all’Università Cattolica di Milano: «Nella moda la crisi ha amplificato la frattura tra la gamma alta e bassa. E se prima il target delle grandi catene erano soprattutto i giovani, meno attenti alla qualità del prodotto, ora la situazione è cambiata».
Per superare la crisi è meglio mantenere l’esclusività per i pochi che possono permettersela o diventare più “democratici”? Alcuni grandi marchi cominciano a preferire la seconda opzione. Stefano Sassi, ad di Valentino Fashion Group: «Il nostro modello di business è cambiato, ora lavoriamo in modo più contemporaneo, proponendo prezzi non “più bassi” ma “più intelligenti”. Il nostro nuovo target sono i giovani, vogliamo “svecchiare” la clientela, quindi oggi i nostri abiti da cocktail possono partire da 1.500 euro e le creazioni prêt-à-porter da mille. Questo però accanto alla salvaguardia della couture, nostro elemento fondamentale».
Non tutti la pensano allo stesso modo. Al Luxury Summit del Sole 24 Ore dello scorso anno, Antonio De Matteis, ad di Kiton, diceva: «È difficile produrre un abito “entry price” a mano, con quello che costa la manodopera in Italia». Ciò vale anche per altri grandi marchi non necessariamente dell’abbigliamento: Peter Gladel, general manager di La Prairie Italia (che produce cosmetici a base di oro e caviale), preferisce «migliorare quello che già facciamo. Il lancio della nostra crema da 870 euro a gennaio 2009, nel pieno della crisi, ha superato ogni aspettativa. Se i consumatori investono meno per un orologio o un vestito, non rinunciano a investire su un bene ancora più unico, la loro pelle». Idea condivisa anche da Davide Traxler, ad di Chopard Italia, che guarda con scetticismo «le estensioni del marchio, negli orologi e nei gioielli. È importante mantenere il top di gamma anche nelle altre merceologie: i nostri occhiali hanno uno scontrino medio di 470 euro, ma certo ci può essere pure il ciondolo a mille».
Elisabetta Tangorra, esperta di comunicazione nella moda: «I marchi del lusso stanno lavorando sui prodotti entry price, facendo in modo che le collezioni diventino più accessibili. È la risposta tattica per mantenere numeri importanti. La sfida è bilanciare accessibilità e aspirazionalità senza intaccare il sogno»
Ecco alcuni esempi di grandi griffe che hanno adottato già da un po’ di tempo una politica di accessibilità dei prezzi (sempre tenendo presente che stiamo parlando di firme altrimenti inavvicinabili ai più).
Valentino propone la collezione Red Valentino (acquistabile anche online): nella collezione primavera-estate 2011 il costo per una giacca va da meno di 300 euro fino a 1.000; un trench da 470 euro a 620; un pantalone da 175 euro a 220, ecc.
Un’iniziativa simile è quella di Ferragamo, con la linea My Ferragamo lanciata in autunno: una collezione di ballerine e stivali colorati. I prezzi si aggirano da un minimo di 195 euro a un massimo di 350. Obiettivo: rendere disponibile l’alta qualità di Ferragamo anche a chi ha a disposizione un budget più limitato.
Lo scorso anno Versace ha proposto per l’autunno-inverno la linea di “lusso accessibile” Collection Donna, con la speranza di ampliare la distribuzione e il fatturato, dato che il 2009 si era chiuso con perdite per circa 30 milioni. La collezione, composta da 240 pezzi, arrivava fino alla taglia 50.
Anche lo stilista Antonio Marras ha una linea più economica: I’M Isola Marras. Alcuni esempi di prezzi: un cardigan a 175 euro, un abito 248 euro, un pantalone 218.
Una delle ultime griffe ad applicare questa politica è Jil Sander con la linea Jil Sander Navy: abiti che vanno da 170 a 500 euro, magliette a 100 euro, pantaloni a partire da 160 euro, borse da 200 a 500 euro. La nuova linea è disponibile alla vendita per la stagione estiva 2011 sul web.
Tra gli articoli Louis Vuitton convivono il bauletto Speedy Bag da 425 euro e la borsa Cartoon in edizione limitata, realizzata con l’artista Richard Prince, da 5mila euro.
Solo negli Stati Uniti, Giorgio Armani ha lanciato la linea Exchange, pensata per i più giovani, con prezzi alla portata di molti: un abito da donna, per esempio, costa 125 dollari, una camicia 78, un paio di jeans al massimo 125.
Una mano verso il lusso più accessibile la sta dando anche Internet. Elisabetta Tangorra: «In questo momento c’è molta attenzione nei confronti del web. Fino a tre anni fa molti marchi non avevano nemmeno un sito internet e oggi quasi tutti si sono dati all’e-commerce». Mentre nei negozi tradizionali, infatti, le vendite sono un po’ rallentate, la compravendita in rete resiste perché accorcia la filiera e taglia i costi e il prodotto arriva più “leggero” alle tasche del consumatore.
Dati 2009 elaborati da Bain & Co.: nel segmento dei beni di lusso si è registrata una crescita del 20% su scala mondiale, per un fatturato complessivo che è arrivato a 3,6 miliardi di euro (il 2,35% del totale). L’importanza del canale web si percepisce chiaramente anche nelle dichiarazioni rilasciate da Louis Vuitton a Il Sole 24 Ore: la griffe in passato ha scelto di distribuire i propri prodotti esclusivamente negli store di proprietà. Oggi considera il sito web come «un negozio aggiuntivo».
Milton Pedraza, amministratore delegato del Luxury Institute, che conduce indagini e ricerche sul mercato delle marche di lusso, intervistato da Lux Revolution: « Per i brand del lusso e per i negozi che vendono su internet, l’e-commerce dovrebbe diventare il loro store più importante a lungo andare. E dovrebbe continuare a portare margini alti, soprattutto se saranno capaci di lavorando bene sul riapprovvigionamento dei prodotti». Gli acquirenti dei beni di lusso online hanno meno di 55 anni e preferiscono rivolgersi a marchi di cui si fidano. I beni di lusso più comprati su Internet: abbigliamento e accessori, ma anche viaggi.
Per rendersi conto di questo nuovo atteggiamento delle griffe, basta fare un giro sui vari siti: tutti hanno una pagina per gli acquisti dal web, o si appoggiano a siti come Yoox e Vente-privèe.
Giorgio Armani ha lanciato la piattaforma mobile per l’e-commerce tramite iPhone, Android e Blackberry. «Una naturale evoluzione del negozio online Emporio Armani nato nel settembre 2007 negli Usa e ora ampliato a 15 paesi», dice lo stilista, che è stato uno dei primi a sbarcare sul web. Conclude: «Ora il fatturato online è assimilabile a quello di alcuni negozi tradizionali».
Un altro fenomeno al quale si assiste sempre più spesso è quello degli stilisti che firmano collezioni per marchi popolari: Zara, H&M, Ovs, Gap e simili. Queste aziende vengono definite «fast fashion». Sono quelle che, prendendo spunto dalle tendenze moda di stagione, rielaborano capi e accessori con velocità di produzione e distribuzione e li mettono sul mercato a prezzi accessibili.