STEFANO CHIODI, La Stampa 5/4/2011, 5 aprile 2011
Gli anni Ottanta parola per parola - Cosa sono stati gli anni 80? Questo dossier, che comparirà nei prossimi giorni su www
Gli anni Ottanta parola per parola - Cosa sono stati gli anni 80? Questo dossier, che comparirà nei prossimi giorni su www.doppiozero.com, prova a spiegarlo attraverso un lemmario in oltre 100 voci che saranno pubblicate nel corso di un anno; comprenderà parole chiave, autori, opere, episodi storici, documenti, un’enciclopedia collettiva con decine di autori, opera aperta, per cercare di definire l’epoca dell’edonismo, della politica-spettacolo, dei fasti di Wall Street, del mantra del successo. Sullo sfondo, il tramonto delle ideologie moderne e della fiducia nel percorso progressivo della storia. L’epoca postmoderna, in un parola, in cui la sfera della comunicazione ingloba ormai quella un tempo dominante della produzione, e nella quale il lavoro, la sfera politica, gli scambi simbolici, la produzione artistica, forse lo stesso inconscio, sono sottoposti a una radicale riconfigurazione. Durante il decennio, in Italia, i partiti di massa imboccano la curva discendente che li porterà a dissolversi dopo il crollo del Muro di Berlino; la marcia dei 40 mila dell’autunno 1980 marca la fine di un lungo ciclo di vittorie sindacali, mentre con la stagione del craxismo si affaccia il nuovo volto mediatico e spettacolare della politica. In campo internazionale, Ronald Reagan e Margaret Thatcher promuovono politiche neoliberiste incentrate sulla riduzione delle tasse, lo smantellamento del welfare, la deregulation finanziaria, diventate poi comuni a tutto il mondo industrializzato e i cui effetti sono diventati visibili con la crisi del 2008. Da qualunque angolatura li si osservi, gli anni 80 appaiono insomma l’incubatore del nostro presente, l’epoca in cui sono apparsi per la prima volta idee, oggetti, abitudini, difficoltà con i quali ci confrontiamo ancora quotidianamente. Qui riproduciamo brevi stralci di alcune delle voci che saranno consultabili nel sito-rivista-biblioteca-casa editrice doppiozero.com. Personal computer Nel 1980 l’informatica era questo: un monitor a fosfori verdi e una tastiera con la quale scrivere lunghe righe di codice. Sì, perché a quell’epoca non c’era solo un’altra idea di computer, ma anche un’altra idea di software. Office, Autocad, Photoshop e tutti gli altri cosiddetti applicativi non esistevano. A dirla tutta non esistevano neanche i sistemi operativi, ovvero quei software che oggi gestiscono tutte le graziose icone che vediamo sul monitor quando accendiamo il computer. Chi voleva far funzionare un computer, inserire dei dati al suo interno e chiedergli di analizzarli, doveva scriversi i programmi da sé. Fu allora che nacque l’equivalenza esperto di computer = programmatore che è poi rimasta a lungo nel linguaggio comune. Ripensare il computer in termini «personal», non significava soltanto immaginare che sulla scrivania di ognuno potesse esserci una macchina totalmente autosufficiente, né che fosse possibile utilizzarla senza l’intervento di squadre di programmatori; voleva dire soprattutto (ma questo lo si capì bene solo dopo) che quell’oggetto aveva a che fare con particolari emozioni e relazioni, come l’etimologia della parola suggerisce. [Dario Mangano] Look Non è raro sentir parlare di questa decade come dell’era o della rivoluzione del look, la "moda aperta" che coincide con l’avvento del prêt-à-porter: la serializzazione della creazione di moda e, di fatto, l’ingresso dello stile degli stilisti nella moda quotidiana, e anche l’inizio di una pluralizzazione delle proposte e dei modelli, che si adattano ora a un universo di consumatori sempre più variegato e desideroso di consumi personalizzati. Il look è legato all’idea della continua trasformazione, incarnando così, e portando ad estreme conseguenze, tratti fondamentali della moda moderna, tra cui, la valorizzazione delle differenze e la celebrazione del nuovo; al contrario che allo stile, si può essere perciò infedeli. Nel cambiamento e nella novità il look trova la sfumatura di senso più consona allo spirito del tempo. [Antonella Giannone] Neotelevisione Eroi della neotelevisione sono Enzo Tortora in Portobello, la Raffaella Carrà dei fagioli, Maurizio Costanzo in qualsiasi cosa fa e pensa, Antonio Ricci di Drive in, Renzo Arbore che sfotte tutto questo in Indietro tutta; le trasmissioni successive tolgono le virgolette alla loro caricatura e vanno avanti senza vergogna. Ma a spalmare la neo-tv su tutto il palinsesto, trasversalmente ai generi e ai programmi per farne la norma d’ogni produzione televisiva, è nel corso degli 80 proprio l’esigenza di porre la tv, come medium e come linguaggio, al centro di ogni espressione artistica o atto comunicativo, e dunque di ogni interesse culturale e sociale. Non solo si perde il confine, interno alla tv, fra finzione e realtà, ma si elide la separazione fra al di qua e al di là dello schermo. La gente fa quel che vede in televisione: applaude ai funerali, lava in panni sporchi fuori dalla famiglia, si esibisce in eroismi inutili. E vota per i personaggi tv, per i produttori dei programmi, per i proprietari delle emittenti. [Ginafranco Marrone] Immateriale Il decennio sembra dare corpo all’analisi già avanzata da Jean Baudrillard a proposito dell’evoluzione del capitalismo: dalla produzione di merci alla produzione di immagini, di segni e di sistemi di segni. Convergono in questa direzione sia l’Estetica della sparizione (1980) sia La società trasparente (1989) in cui Gianni Vattimo esplicita il nesso fra postmoderno ed egemonia dei mass media. Questi due testi, seppure in maniera differente, alludono fin dal titolo alla perdita di pesantezza materiale e, mentre celebrano la società dell’informazione, mettono in guardia contro il presunto alleggerimento degli apparati di potere, di controllo e di amministrazione. Proprio di tali fenomeni, paure e speranze, intende dare conto Les Immatériaux, la mostra curata da Jean-François Lyotard e Thierry Chaput, nel 1985 al Centre Georges Pompidou di Parigi. Il cuore concettuale della manifestazione, così come è messo a punto dall’autore della Condizione postmoderna (1979), risiede nell’abolizione della distinzione fra materia ed energia, a favore di entità ibride, potenzialmente sia l’una che l’altra, e pertanto destinate a modificare le stesse categorie fondanti del pensiero. Visitando questa insolita e affascinante esposizione si aveva un’idea vivida degli esiti delle trasformazioni avvenute e dei loro effetti a breve e a lungo termine: si pensi al senso di dematerializzazione suscitato dal denaro non più ancorato ai metalli preziosi, ma legato alla fluttuazione reciproca delle monete e al crescente peso, spesso speculativo, dell’economia finanziaria. [Francesca Gallo]