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 2011  aprile 05 Martedì calendario

Sorensen Ted

• Lincoln (Stati Uniti) 8 maggio 1928, New York (Stati Uniti) 31 ottobre 2010 • «[...] consigliere storico di J.F. Kennedy del quale curava discorsi e interventi pubblici tanto da guadagnare l’appellativo di “alter ego” dell’ex presidente americano. [...]» (Francesco Semprini, “La Stampa” 21/2/2008) • «[...] il “ghost writer” di JFK [...] un cristiano protestante figlio di padre danese luterano e di madre ebrea russa - “come protestante russo ebreo danese devo essere parte della più minuscola minoranza del mondo”, scherzava - ed era colui che aveva inventato e cantato, con la propria retorica, la leggenda di Camelot, la corte magica del kennedysmo. [...] Se furono gli obbiettivi dei fotografi, e la magia della luce in bianco e nero, e creare le immagini incancellabili di quel castello incantato dove non tutto era fiaba, fu la macchina per scrivere di Ted Sorensen, con quella l’aria blanda da avvocato di provincia qual era dietro gli immancabili grossi occhiali di tartaruga, a creare il sonoro di quel film. Nelle sue memorie non volle mai ammettere esplicitamente, ma neppure negare da bravo custode della leggenda, di essere stato lui a scrivere quel discorso inaugurale del 20 gennaio 1961 che avrebbe segnato per decenni e secoli di storia americana futura l’avvento della “nuova generazione” al potere, l’indimenticabile, e mai davvero ascoltato: “Non chiedete che cosa il vostro Paese possa fare per voi, ma che cosa voi possiate fare per il vostro Paese”. Il salto di generazione che la piccola corte dei Kennedy portò al potere, dopo il dignitoso tramonto del settuagenario Ike Esinhower e l’addio dei “grandi vecchi” come Marshall, MacArthur, Patton, Nimitz, che avevano guidato la nazione alla vittoria nella Seconda Guerra, trovò nella arte retorica del “ghost writer” kennedyano la propria espressione più coerente. Ogni capo di stato o di governo ha frotte di scriba stipendiati che compongono i loro discorsi, ma solo i grandi, come Soerensen, o come sarebbe stata più tardi una donna, Peggy Noonan, per Reagan, sanno trovare il libretto che corrisponda alla musica, la parole che traducano la personalità di chi le pronuncerà. Era forse più facile, per Soerensen come per Schlesinger, o per Salinger, essere i librettisti di quello stupendo melodramma, perché erano davvero la “nuova generazione” che entrava nel castello del potere. Ted non aveva ancora 25 anni, fresco di laurea in legge e paracadutato dalle praterie e dai campi di mais del Nabraska dove era nato, quando il senatore Kennedy lo chiamò a Washington nel 1953, ed era poco più che trentenne quando lo seguì alla Casa Bianca per scrivere i discorsi, per comporre quel libro “Profili del Coraggio” che valse a JFK un Premio Pulitzer, pur avendolo notoriamente scritto un altro. Sorensen sarebbe stato richiamato poi dal successore di John F. Kennedy dopo l’assassinio, da Lyndon Johnson, ma non avrebbe mai più ritrovato quelle “ali” che aveva messo alle parole del suo primo sponsor. Prova che non basta l’artigianato della retorica per dare credibilità alle formule, se, come disse, “il cuore non ci batte dentro”. L’avrebbe ritrovato lavorando per Bob Kennedy, soltanto per sentirselo strappare un’altra volta. “Quando scrivevo per JFK o per Robert, mi sentivo un po’ come il Cyrano di Rostand, quando suggeriva a un altro le parole per la sua amata Rossana, ma il vero innamorato era lui”. In un sondaggio fra professionisti dei discorsi altrui, fra “ghost writer”, pubblicato dall’organizzazione Common Dreams, Ted Sorensen è stato definito “il più grande del XX secolo”, e se queste graduatorie sono sempre arbitrarie, è impossibile immaginare John F. Kennedy senza quel discorso inaugurale del 1961, senza l’“Ich bin ein Berliner”, o senza il meno famoso, ma assai più importante monito contro l’intolleranza e il pregiudizio religioso, a sostegno della separazione fra Stato e chiese: “Credo in una nazione nella quale nessun presidente può imporre la propria religione né può essere accettato o escluso a causa della sua fede religiosa”. Soltanto un protestante nato da un ebrea russa e da un luterano olandese, al servizio di un cattolico irlandese, avrebbe potuto scrivere parole come queste, con l’inchiostro della propria esperienza. [...]» (Vittorio Zucconi, “la Repubblica” 1/11/2010) • «[...] Come ricorda nel libro Il consigliere: vita ai confini della storia, Sorensen fu più che lo scrittore dei grandi discorsi di Kennedy, da quello inaugurale del ’61 (“Non chiedetevi cosa l’America possa fare per voi, ma cosa voi potete fare per l’America”) a quello di Berlino del ’63 (“Io sono un berlinese”). Fu uno dei cervelli del presidente in politica estera, l’uomo che ne stilò le lettere al leader sovietico Nikita Kruscev nella crisi missilistica di Cuba. [...]» (Ennio Caretto, “Corriere della Sera” 26/7/2008).