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 2011  aprile 05 Martedì calendario

STATO VEGETATIVO, UN CASCO DIPINGE I LORO PENSIERI

U n caccia americano di ultima genera¬zione sfreccia nel cielo. All’improvvi¬so ’sente’ che il suo pilota è svenuto e inizia ad autoguidarsi. Come sa l’apparec¬chio che l’uomo ha perso i sensi? Sul casco del pilota, nella tuta e nell’impugnatura dei co¬mandi ci sono sensori in grado di captare la coscienza... Solo fantascienza? No, una tec¬nologia già in uso da tempo, basata sul fatto che il nostro cervello quando pensa, cioè quando appunto ha coscienza, emette un se¬gnale elettrico con delle frequenze, e i mo¬derni sensori sanno leggere tali impulsi neu¬ronali, in pratica ’vedono’ il pensiero prima che si traduca in azione. Quali enormi sor¬prese si potrebbero avere, allora, se un ana¬logo caschetto venisse posto sulla testa delle persone in ’stato vegetativo’, cioè - secondo la diagnosi - del tutto ’prive di coscienza e in¬capaci di qualsiasi relazione col mondo e¬sterno’?

«Lo abbiamo chiamato ’Elu1’ (pronuncia¬to all’inglese, eluàn ,) perché è un software ideato proprio nei giorni del caso Englaro ¬spiega l’ingegnere Daniele Salpietro, da me¬si impegnato tra i 24 stati vegetativi ricove¬rati al Centro don Orione di Bergamo, pro¬prio per provare a ricostruire un ’dialogo’ tra i pazienti e i loro cari - . Ai caschetti or¬mai in uso nei videogiochi dei ragazzi ho ap¬plicato un amplificatore cerebrale che mol¬tiplica di un milione di volte gli impulsi neu¬ronali, in modo da poter captare anche i mi¬nimi ’spifferi’ di volontà, e ho collegato il tutto al monitor di un computer...». Gli e¬sperimenti che conduce davanti a noi par¬lano più di mille parole.

«Dite ad Aldo che io sono felice»

«Cristina, se mi senti muovi gli occhi», ordi¬nava in passato l’ingegnere alla donna, che secondo la diagnosi era in uno ’stato vegeta¬tivo irreversibile’. E Cristina infatti non face¬va nulla: non un battito di ciglia, non un’e¬spressione diversa, nemmeno un lamento. «Ma con il caschetto che misura la volontà, o¬gni volta che le davo questo ordine vedevo schizzare a mille il segnale sul monitor. In pra¬tica sentiva e desiderava pure obbedire, il pro¬blema quindi non era la coscienza, ma solo la possibilità di tradurla in movimento». Una situazione già raccontata da tanti ’risveglia¬ti’ (il caso più noto quello di Max Tresoldi, u¬scito da 10 anni di ’sonno’ e testimone oggi del fatto che «coglievo tutto ma non riuscivo a dirvelo»), e una scoperta che apre nuove vo¬ragini nella conoscenza del cervello e degli stati vegetativi. «Il fatto di sentirsi capìta ha cambiato la vita di Cristina, che ha preso a reagire, e quella di suo marito Aldo, perché il parente è affranto quando per anni non sa se la persona amata coglie qualcosa o è del tut¬to inerte». Così Cristina ha cominciato a ’u¬scire’ ed è passata a quello che la medicina chiama ’stato di minima coscienza’, fino ad¬dirittura a riuscire a parlare: «Dite ad Aldo che sono felice», sono le prime parole che ha det¬to. «Nessun miracolo e nessuna falsa speran¬za - chiarisce Salpietro - l’Elu1 misura la vo¬lontà, non guarisce nulla, ma in questo mo¬do abbiamo potuto rilevare con grande anti¬cipo che lei ’c’era’ e la paziente ha avuto la spinta per dare il tutto per tutto».

90 euro e ti compri il futuro

Cosa che certo non avviene nei tanti reparti o nelle stanzette solitarie in cui migliaia di ’stati vegetativi’ in Italia attendono il nulla, mentre spesso anche i medici non si pongo¬no più domande, considerandoli persi in par¬tenza. Chissà quante volte sono invece per¬sone che pensano, e la nostra incomprensio¬ne del loro muto ’linguaggio’ dev’essere il più feroce dei tor¬menti. «Tantissimi di loro sono stati definiti ’vegetativi’ magari dieci anni fa e nessuno li ha più ri¬visitati - spiega l’ingegnere - . Non dico di fare a tutti una Risonanza magnetica funzionale, esame raf¬finatissimo e molto costoso che dal 2006 ’fotografa’ a colori le at¬tività del cervello, ma ormai con solo 90 euro si può costruire un casco come quello dei caccia a¬mericani o dei videogiochi più moderni», quelli con cui puoi fa¬re la partita a tennis o guidare le macchine da corsa senza muove¬re un dito né premere un pulsan¬te, solo con gli impulsi del cervel¬lo. «Nel 2008 chiesi al padre di E¬luana di poter fare l’esperimento sulla figlia, di valutare cioè il suo grado di coscienza, ma non mi ri¬spose. Certo che dagli indizi che abbiamo avrebbe dato risposte sorprendenti: una notte chiamò persino ’mamma’, mentre il suo respiro cambiava all’udire le di¬verse voci e davanti a più testi¬moni alcune volte ha sorriso».

L’effetto parente

Già da tempo a livello internazio¬nale si è accertato che per il 40% dei cosiddetti ’stati vegetativi’ la diagnosi è sbagliata. E il motivo è un errore di metodo: «In persone paralizzate o incapaci di inviare i comandi dal cervello agli arti, è assurdo usare come para¬metro il movimento - spiega l’esperto - . Invece è la loro volontà che va accertata. Ciò che con¬ta è se, al nostro comando, il loro cervello in¬via l’ordine di fare una cosa, indipendente¬mente dal fatto che poi la riescano a fare dav¬vero ». È importante inoltre sapere che in cia¬scuno di noi tra l’impulso cerebrale di volontà e il movimento passa sempre un tempo mi¬nimo, «dunque ancor più negli stati vegetati¬vi l’azione richiesta può avvenire minuti do¬po, o addirittura ore, quando ormai il medi¬co è uscito dalla stanza...». Ecco allora l’im¬portanza del parente, «l’unico che osserva per giorni e notti, per mesi e anni, e, nonostante il neurologo parli di ’coscienza zero’, rileva quei piccoli immensi segnali di vita lasciati i¬nascoltati dalla scienza».

La partita a ping pong

Segnali di vita come quelli che abbiamo visto al Don Orione di Bergamo, leggendo sul mo¬nitor le forti reazioni emotive mentre il volto dello stesso paziente resta immobile e ine¬spressivo. Così Domenico prende a ’obbedi¬re’ solo quando gli ordini partono dalla voce della sorella, in dialetto bergamasco: il segnale sul video schizza in alto e, dopo una settima¬na, l’uomo ha già imparato a chiudere gli oc¬chi su comando. E così Loredana (dimessa da un centro specialistico come ’priva di co¬scienza’) quando le si avvicina improvvisa¬mente la mano agli occhi non fa una piega, ma sul monitor rivela senza dubbio una ra¬pida ’risposta alla minaccia’: gli occhi non li chiude, ma ha la volontà di farlo. O così Mau¬ro - complice la moglie che gli legge Fantoz¬zi - si rilassa fino a sorridere. «Spesso i pazienti all’inizio non collaborano, perché non vo¬gliono - spiega Salpietro - , ma l’insistenza di un marito, di un genitore o di un figlio fanno miracoli». Molti poi ci prendono gusto e im¬parano rapidamente, qualcuno addirittura su quel monitor riesce a ’muovere’ col pensie¬ro le racchette e fare una partita a ping pong. Con viso inerte e sguardo fisso nel nulla. «Quando è così, riprendono in qualche mo¬do possesso di sé... Ma allora è chiaro che han¬no bisogno di una nuova riabilitazione mira¬ta, non più solo di essere lavati e girati in un letto... Ma quanto costa dar loro tutto questo? Più facile ed economico darli per persi e ma¬gari avviarli alla dolce morte, no?».