Mario Ajello, Il Messaggero 5/4/2011, 5 aprile 2011
A LATINA CON I FASCIOCOMUNISTI
Latina –
Inno della lista fascio-comunista, che Antonio Pennacchi vuole allestire nella sua città unendo Fli e Pd contro i berluscones locali e nazionali, sarà forse una delle canzoncine predilette dal romanziere che ha vinto lo Strega: «Noi semo de Latina / E ce sapemo fà / Se nun ce conoscete / Guardatece nell’occhi / Noi semo de Latina / E ve spaccamo l’occhi / Zumpappà / Pesce fritto e baccalà». Intanto, Pennacchi s’è appena svegliato dalla pennica.
Chissà da quanto tempo - dall’epoca di Socrate? da quando recentemente il critico letterario Angelo Guglielmi s’era messo in testa di diventare sindaco di Pomezia al grido: «Abbattiamola!» - uno scrittore non mandava in subbuglio una città, come adesso sta accadendo quaggiù. Pennacchi rilascia l’ultimo sbadiglio, e annuncia: «Sto a parti’ per Roma». Per incontrare Fini? «Non c’ho mica bisogno della sua benedizione!». Il liberare Latina per liberare l’Italia, come slogan, non è male. Ma è immaginabile vedere Gianfranco Fini, nell’ex Littoria dove ormai lo considerano in molti un badogliano mentre prima era un idolo, che sale sul palco di Piazza del Popolo e tira la volata al candidato sindaco del Pd sponsorizzato da Pennacchi fra i mal di pancia e i niet di Fli che dovrebbe sostenerlo?
Il sogno pennacchista probabilmente è già affondato nelle paludi della politica pontina. Di sicuro, però, Latina come laboratorio del fascio-comunismo starebbe a perfezione in una scena da teatro situazionista. Si diverte Aimone Finestra, mitico ex sindaco e senatore, novantenne molto in palla, con passato da repubblichino e da sempre gran tessitore di accordi: «Antonio? Un grande, un genio della provocazione. Lo conosco da sempre a Pennacchi. Quando io ero federale, lui era il segretario dei giovani fascisti. Ma nel ’67 o ’68, lo cacciai. Doveva venire da Gaeta la banda dell’esercito americano a suonare qui, e Antonio la sera prima aveva ricoperto la città di manifesti che dicevano: Americani uguale SS tedesche. Chiamai Almirante e gli chiesi: che devo fare? E lui: caccialo!». E ora? «Qualche giorno fa mi chiama un mio ex consigliere comunale dei tempi del Msi, e mi dice: facciamo un’alleanza destra-sinistra, c’è dentro Fini, c’è il Pd... Io rispondo: Ma siete matti!». Il finiano Urso è drastico: «Latina è un simbolo della destra italiana. No alla lista col Pd». Il finiano Antonio Bonfiglio, ex sottosegretario all’Agricoltura, è assai più sfumato: «Se si tratta solo di una provocazione intellettuale, non c’interessa. Se invece si può innescare un processo politico reale, e legato al territorio, allora è un altro discorso. La disponibilità di un personaggio come Pennacchi va accolta con attenzione». Non s’è svolta nessuna rissa fra Bonfiglio e Claudio Barbaro, che per Fli si occupa degli enti locali, sul Laboratorio-Latina. Ma il movimento è spaccatissimo. L’intellettuale d’area Umberto Croppi è super-pennacchista. Il sito «Il futurista», e i suoi utenti, pure. Andrea Ronchi invece ha già minacciato un Aventino personale, qualora si faccia coppia col Pd. E Fini? Tace. Mentre il candidato sindaco dei democrat, l’ex democristiano Claudio Moscardelli, non brama affatto l’aiuto dei futur-libertari. Si sente più libero di andare a pescare voti di destra, che sono quasi il 65 per cento dell’intero elettorato ma c’è mota delusione, presentandosi come uomo fuori dai partiti. «Mi fa piacere l’appoggio di Pennacchi - dice - ma penso che Fli avrà un suo candidato o si arriverà a un nome comune di tutto il Terzo Polo». Potrebbe essere Marco Gatto.
In città, c’è ancora chi ricorda, al Mokacafè o al Bar Poeta, che sono Parlamento o Sparlamento della vita politica locale, la canzoncina post Marcia su Roma: «Fascisti e comunisti / giocavano a scopone / e vinsero i fascisti / con l’asso di bastone». «Io i comunisti - incalza Aimone Finestra, che dai partigiani fu messo quasi al muro ma si salvò - li ho combattuti fino al 2 maggio del ’45. Il Duce era già morto da giorni, e io ancora stavo col mitra in mano. Quando mi arresi agli americani, consegnai loro anche un gruppetto di comunisti che avevo fatto prigionieri».
Intanto a Pennacchi in giro sotto i portici di Littoria (lui così ancora la chiama) lo salutano tutti. «Anto’, dobbiamo fare con la destra il saluto romano e con la sinistra il pugno chiuso?». E lui, autore di «Canale Mussolini» ma soprattutto di «Palude» in cui immagina il Duce che torna nelle zone della bonifica a cavallo della sua moto (che a questo punto potrebbe essere tappezzata con i vessilli del Pd), va dicendo che «non serve più la destra nè la sinistra. Siamo all’emergenza democratica e tutti insieme dobbiamo battere l’Anti-Stato», cioè il berlusconismo. Però, come se si votasse oggi e non fra quaranta giorni, il volto del candidato della destra, Giovanni Di Giorgi, «un politico del fare» che piace molto a Berlusconi, s’affaccia da tutti i poster sui muri cittadini. La sua scelta, in un Pdl spaccatissimo ma fragilmente ricomposto anche grazie alle tessiture dell’anziano saggio Finestra e su cui pesa a livello provinciale il potere di Fazzone, il ras di Fondi, sembra tranquillizzare il fronte berlusconiano. Ma l’incursione di Pennacchi è spiazzante; il candidato del Pd ha un buon appeal; i terzopolisti si stanno organizzando; e in Italia nessun muro ideologico ormai resiste per sempre.
Mario Ajello