Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 24/03/2011, 24 marzo 2011
TAMARA
Per visitare Roma la prima volta, Tamara de Lempicka finse una malattia alla gola. A quel tempo, 1907, doveva avere all’ incirca nove anni (lei dichiarava di essere nata nel 1902 a Varsavia, ma il certificato di morte stilato nel 1980 la dice «di anni 81», e la sorella minore era nata nel 1899, quindi Tamara doveva essere del 1898 o poco prima). Di quel primo viaggio si sa che si finse malata per seguire la nonna a Firenze, Venezia, Roma e infine a Mentone, da dove l’ anziana signora raggiungeva ogni giorno Montecarlo per giocare al casinò. Il secondo viaggio è datato 1925. A quel tempo era già in crisi il matrimonio con Tadeusz Lempicki, nobile avvocato polacco, sposato a diciassette anni. Abitavano a Parigi. Lei aveva da poco conquistato con i suoi dipinti la fama mondiale, grazie a una recensione di Alden Jewell sul New York Times che la definiva «artista di livello internazionale». Lui non sopportava più le sue lunghe sedute al cavalletto con Wagner a tutto volume, le sue relazioni lesbiche, l’ uso di cocaina, le notti passate tra locali e bordelli. In questo secondo viaggio a Roma Tamara è accompagnata dalla madre Malvina e dalla figlia di nove anni, Kizette. Alloggiano all’ Hotel Excelsior. Lei gira per i musei. «Vidi i dipinti italiani del Rinascimento e li amai subito. Pensai: perché mi piacevano? Perché erano così ariosi, così puliti. Un quadro deve essere arioso, pulito». Maurizio Calvesi ha notato che proprio in questo periodo l’ ideale di pulizia e chiarezza comincia a trovare un reale riscontro nella sua produzione: «Le forme diventano più cristalline, all’ interno dei volumi i segni appaiono meno marcati, per non disturbare la compattezza luminosa della massa». Non a caso, subito dopo, Lempicka prosegue per Firenze, decisa a studiare Pontormo. I riflessi di questi viaggi si riconoscono nei quadri della mostra aperta fino al 10 luglio al Vittoriano, curata da Gioia Mori, che tra l’ altro ha rintracciato molti documenti inediti e una mezza dozzina di dipinti dati per dispersi, ma testimoniati da vecchie foto in bianco e nero. L’ influenza dei maestri italiani si può vedere mettendo a confronto i quadri che si incontrano all’ inizio del percorso espositivo, risalenti al ’ 20, ’ 21 e ’ 22, con quelli successivi. Nei primi si notano le regole costruttive di ascendenza cubista apprese dalle lezioni di Lohte, la pennellata ampia e grezza, i colori violenti e contrastanti, la materia pittorica spessa. Nei quadri successivi, la pittrice lentamente esce dal bozzolo per trasformarsi in elegante farfalla: propone volti intensi e straniati che trasmettono un carattere vigoroso, accarezzati però dalla raffinatezza dei giochi cromatici. Il passaggio si nota nel «Portrait de Madame P.» (Ira Perrot, una delle prime amanti di Lempicka) che risale al 1923 ed è uno dei sei quadri dati per dispersi da circa un secolo e rintracciati da Mori presso collezionisti americani. Il terzo e ultimo viaggio a Roma avviene nel 1957. Lempicka è tornata in Europa dopo il periodo della guerra trascorso negli Stati Uniti. Il 14 maggio di quell’ anno inaugura alla Galleria Sagittarius, in via Lazio, una personale organizzata dalla principessa Stefanella Barberini Colonna di Sciarra. Si tratta di un tentativo di rilancio. La pittrice aveva vissuto i suoi anni ruggenti in America come una star hollywoodiana, ma il suo mito di artista era tramontato nel ’ 42, con l’ ultima piccola personale a Milwaukee. Esempi di questo periodo si trovano nella galleria al secondo piano del Vittoriano e danno l’ impressione di un talento che all’ improvviso si è spento. «Estranea al dibattito artistico statunitense - racconta Mori - negli anni Quaranta aveva trovato rifugio di nuovo tra i libri di storia dell’ arte, questa volta indirizzando i propri interessi verso i fiamminghi, o aveva tentato qualche incursione in una poetica, quella surrealista, che le era estranea. La sua modernità, legata alle novità esplosive degli anni folli parigini, era finita con la sua fuga verso gli Stati Uniti nel ’ 39». Neppure l’ esposizione di Roma riuscì a rinverdire il successo. Per la «riscoperta» bisognerà aspettare la mostra del 1972 alla Galerie du Luxembourg a Parigi. Oggi i quadri di Lempicka hanno di nuovo valutazioni da milioni di euro.
Lauretta Colonnelli