Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 23/03/2011, 23 marzo 2011
STORIE DI UNA ROMA SEGRETA
Ogni mattina all’ alba, l’ architetto Piero Sartogo infila la tuta e va a correre alla Stadio dei Marmi. «Ho scoperto per caso che era sempre aperto. Ci sono certi vecchietti che saltano arzilli su e giù per la gradinate; io corro sulle piste, guardo le statue in alto e sogno di essere un grande atleta». Per Sartogo (autore tra l’ altro della chiesa alla Magliana), lo stadio al Foro Italico è diventato così il luogo del cuore. Lo ha rivelato alla presentazione del libro di Costantino D’ Orazio, «99luoghi segreti di Roma», (ed. Palombi), oltre ottomila copie vendute in due mesi. «Tutti luoghi chiusi al pubblico. Io ho trovato la chiave per aprirli, da qui il successo», commenta D’ Orazio, il quale una volta al mese accompagna, gratis, i visitatori che hanno acquistato il libro dentro uno dei luoghi raccontati nelle pagine (info al sito www.99luoghisegreti.it). Alla presentazione ha invitato invece una ventina di personaggi noti a raccontare i loro luoghi segreti. Pio Baldi, presidente del Maxxi, confessa di avere avuto l’ adolescenza segnata da Santa Teresa, la statua in estasi del Bernini, conservata nella chiesa di Santa Susanna: «Un concentrato di emozioni, di carnalità ed erotismo; l’ essenza del barocco». Quando ha tempo non rinuncia alla sua passeggiata preferita. Salendo per via Garibaldi raggiunge la terrazza del Gianicolo, dove si ferma ad ammirare il panorama. «Nelle giornate di tramontana la visione è talmente nitida che si possono contare una ad una tutte le finestre, perfino le tegole dei tetti. Con lo scirocco invece le linee si disfanno, i colori si mescolano e appare una città pastellata». L’ economista Mario Sarcinelli ricorda il suo primo impiego, negli anni Cinquanta, a Palazzo Kock, sede della Banca d’ Italia. «Avevo l’ ufficio nel salone da ballo, che era stato suddiviso in quattro cubicoli. Nel pomeriggio, finito l’ orario di lavoro, spesso mi sdraiavo sul pavimento a leggere un libro, nel riquadro dell’ ultimo sole che entrava dalla finestra. Un giorno mi sorprese così il governatore Donato Menichella. Invidiavo il gatto del portiere, che aveva il privilegio di godersi il giardino». Marino Sinibaldi direttore di RadioTre, è affezionato al palazzo della Rai a Via Asiago: non solo perché è la sede dove oggi lavora, ma perché è sempre vissuto alla sua ombra: «A cinquecento metri c’ è la clinica dove sono nato, a trecento la mia casa, poco più in là il deposito Atac dove lavorava mio padre». L’ artista concettuale Alfredo Pirri è incantato dalla città sotto la neve, spettacolo raro. «E qualche volta crudele. Ricordo la grande nevicata del 1956, quando a via del Mandrione morirono assiderati tre bambini. Fu in quell’ occasione che gli intellettuali scoprirono ufficialmente le borgate. Poi arrivarono i libri di Pasolini e le riprese audio di Ernesto De Martino e Diego Carpitella, oggi conservate al Moma di New York». Un altro artista, Daniele Puppi, da sempre affascinato da Palazzo Spada, soffre nel vederlo deturpato dalle auto parcheggiate nel cortile del Borromini: «È come se qualcuno decidesse di parcheggiare dentro la basilica di San Pietro. Inoltre hanno collocato un vetro, che separa il cortile dal giardino segreto, e appeso una catena, che ha l’ unico scopo di non far passare le persone dentro la galleria». Valentino Zeichen, che vive al Borghetto Flaminio, ricorda con nostalgia i tempi mitici della vicina Villa Strohl Fern, quando era rifugio di artisti. Il poeta ne è diventato quasi la memoria storica: «Il signor Strohl Fern era alsaziano e si portava dietro, nel nome, la lontananza (fern). Abitava in via Margutta e acquistò quel fazzoletto di terra a ridosso di Villa Borghese con l’ intenzione di allevarci le vacche da latte. Poi cambiò idea e decise di dare una casa agli artisti. C’ è passato anche Lucio Fontana, insieme al suo coccodrillo, che ogni tanto si faceva una passeggiatina sconfinando nei prati di Villa Borghese. Fontana gli dava le opere che gli venivano male e il coccodrillo se le mangiava. Ma vorrei citare anche il cielo di Roma, meravigliosamente bianco-azzurro; e io sono laziale».
Lauretta Colonnelli