Valerio Castronovo, Il Sole 24 Ore 5/4/2011, 5 aprile 2011
NIENTE DI NUOVO RISPETTO AL 1881
Da più di vent’anni è cominciata la conquista, da parte di grandi multinazionali, di numerose aziende italiane agro-alimentari. Eppure mai come oggi, in occasione della scalata della francese Lactalis alla Parmalat, si era assistito a una levata di scudi delle nostre autorità di governo e, tantomeno, alla mobilitazione di alcune banche, per impedire che un ennesimo pezzo del "made in Italy" finisca sotto altre bandiere. Come se soltanto ora scoprissimo il valore strategico di un comparto produttivo come quello alimentare che da sempre è stato fra quelli di testa dell’industria italiana e che oggi occupa il secondo posto, per fatturato, subito dopo quello metalmeccanico.
C’è dunque da chiedersi perché proprio adesso si stia manifestando un’ondata di reazioni pressoché unanime contro l’acquisizione dell’impresa di Collecchio da parte di Lactalis, dopo che per tanto tempo alcuni rinomati brand italiani sono passati sotto le insegne di vari big stranieri, senza che la classe politica e gli ambienti finanziari abbiano mai mosso un dito. E tanto più c’è da chiederselo quando ben sappiamo come quello della Ue sia un mercato unico ed esista quindi la liberalizzazione dei movimenti di merci e capitali. Senonché, sembra esser ricomparsa di scena una vecchia sindrome che ha a che fare non solo con le controversie economiche ma con i dissidi politici che da sempre hanno caratterizzato, a corrente alternata, i nostri rapporti con i cugini d’Oltralpe. S’è messa di mezzo, infatti, anche una questione spinosa come la sorte di quei profughi tunisini, che, appena tentano di varcare la frontiera con la Francia, vengono bloccati e rispediti indietro in Italia senza neppure interpellarci.
È così riemerso il ricordo del comportamento altrettanto sbrigativo che arrogante con cui il governo di Parigi procedette nel 1881 all’occupazione della Tunisia, liquidando la possibilità di un’intesa con quello di Roma per la creazione sulle coste del Nordafrica di una zona aperta ai nostri emigranti. Per non parlare della "guerra commerciale" con cui la Francia sbarrò nel 1889, per quasi una decina d’anni, le proprie porte all’importazione dall’Italia di manufatti serici nonché di vari prodotti agro-alimentari, e la Borsa di Parigi smise di costituire la principale piazza finanziaria per il collocamento dei nostri titoli del debito pubblico.
Non è qui, certo, il caso di rivangare quanti e quali motivi, anche nel secolo scorso, abbiano reso in certi frangenti altrettanto complesse che accidentate le relazioni economiche fra le cosiddette "sorelle latine". Basterà citare due vicende a loro modo esemplari che hanno avuto per protagonista il generale de Gaulle: l’estrema durezza con cui egli reagì alla decisione della Fiat di cedere alla Chrysler la maggioranza azionaria della Simca; e il veto da lui opposto nel 1968 (dopo aver tentato invano di dirottare il progetto di Mosca per una "quattro ruote" sovietica da Torino a Parigi) a una fusione, sotto la regia di Agnelli, tra la Citroën di François Michelin e la casa automobilistica torinese. Sta di fatto che oggi, a parti inverse, è un gruppo francese a trovarsi sotto tiro. Da noi si teme infatti che la Lactalis, dopo aver già acquisito fra il 2003 e il 2006 Invernizzi, Locatelli e Galbani, venga ora in possesso di un’altra illustre firma casearia come la Parmalat. Senza contare il fatto che un’altra società transalpina detiene posizioni eminenti anche nel settore della grande distribuzione.
Sarebbe naturalmente un grave errore ricorrere a qualche pur larvata forma di protezionismo: anche perché esporrebbe così lo nostre aziende alla minaccia di analoghe ritorsioni nelle loro attività nell’agone economico internazionale. In pratica, solo una cordata di imprenditori italiani potrebbe evitare che alla lunga lista delle incursioni straniere andate a segno in passato (nell’elettronica, nella chimica fine, nell’acciaio, nonché nel settore alimentare) se ne aggiunga adesso un’altra. Anche perché non vorremmo che la disputa sulla Parmalat gettasse benzina sul fuoco del contenzioso politico-diplomatico in atto fra Roma e Parigi sulle modalità operative della missione dell’Onu in Libia contro il regime di Gheddafi.