Giornali vari, 31 gennaio 2011
Anno VIII – Trecentocinquantaottesima settimana Dal 24 al 31 gennaio 2011Egitto L’Egitto è in fiamme e, a quanto pare, il regime di Mubarak ha i giorni contati
Anno VIII – Trecentocinquantaottesima settimana Dal 24 al 31 gennaio 2011
Egitto L’Egitto è in fiamme e, a quanto pare, il regime di Mubarak ha i giorni contati. Il popolo è in piazza da una settimana, la polizia ha tentato di fermarlo sparando, i morti sono fino a questo momento 150, ma la rivoluzione non si ferma, folle che gridano «Vattene, vattene» hanno invaso le strade del Cairo, di Alessandria, di Suez, di Porto Said, di Mansura, tenute a bada da ultimo dall’esercito, che per il momento ha rinunciato all’uso delle armi. Ma domenica la piazza Tahrir era presidiata da sedici carri armati e altri tank percorrevano lenti le vie della città, mentre caccia militari sorvolavano a bassa quota i luoghi dei comizi e delle manifestazioni. Mancando anche una guida alla rivolta, sciacalli e banditi hanno devastato e saccheggiato case e musei, due mummie sono state fatte a pezzi, una quantità impressionante di reperti è stata ridotta in frantumi, memorie millenarie sono adesso polvere. Essendo sparita la polizia, i cittadini si sono necessariamente organizzati in comitati di auto-difesa e questo ha ulteriormente aumentato, se possibile, il caos. A lunedì mattina si contavano migliaia di evasi, andati a ingrossare in gran parte la turba dei razziatori. L’aeroporto è paralizzato e invano masse di stranieri hanno tentato di tornare a casa: lo scalo del Cairo è pieno di famiglie con i bambini in lacrime, madri e padri si aggirano disperati in quegli spazi inutilmente moderni alla ricerca di un volo qualsiasi che li porti altrove. Il governo americano ha ridotto il personale e invitato i suoi a rientrare, l’Arabia Saudita è riuscita a mandare otto aerei di soccorso, ponti che rendano possibile il rientro in patria sono stati organizzati – non si sa ancora con quale esito - da Libia, Turchia, Emirati, Libano, Giordania, Qatar, Kuwait. Non ci sono vittime tra gli italiani, che hanno in Egitto una forte presenza. Escluso che chi ha prenotato qualche vacanza, per esempio a Sharm-el-Sheik, possa effettivamente partire. Il nostro ministero consiglia caldamente di rinunciare.
Mubarak La rivoluzione è nata spontaneamente, per imitazione di quella tunisina e quasi con lo stesso innesco: tre o quattro infelici, afflitti dalla miseria e senza speranze per il futuro, che si sono dati pubblicamente fuoco. Mubarak ha risposto all’impressionante crescendo della protesta mandando in piazza la polizia, ma poi ritirandola su pressione degli americani. La situazione è al momento in mano all’esercito e sarà l’esercito –d’accordo con Obama - a governare il passaggio. Con o senza il rais? Molto probabilmente senza: al Jazeera ha fatto sapere che la moglie Suzanne e i due figli Alaa e Gamal sono fuggiti a Londra, circostanza smentita dalla tv egiziana. Il pomeriggio di domenica Mubarak, per far sapere di essere rimasto al suo posto, s’è fatto vedere in tv, senza pronunciare discorsi. Ma il suo vecchio progetto, restare presidente nelle elezioni di settembre oppure portare a quella carica il figlio Gamal (47 anni), deve ritenenrsi tramontato per sempre.
La transizione Il rais ha dovuto licenziare il governo in carica, affidare la formazione di un nuovo governo al responsabile dell’aviazione civile Ahmed Shafik e soprattutto nominare per la prima volta un vice presidente, il capo dei servizi segreti Omar Suleiman, 75 anni. Sarà Suleiman – ottimo amico degli americani – a gestire questo momento di passaggio? Non è detto: i vari gruppi dell’opposizione hanno chiesto a Muhammad El Baradei di farsi carico della transizione e domenica in piazza costui ha arringato la folla. Muhammad El Baradei è un diplomatico di 69 anni, rientrato in Egitto per l’occasione, già direttore per un decennio dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e ambasciatore dell’Onu per il suo paese (si oppose con forza all’intervento di Bush in Iraq sostenendo a ragione che in quel paese non v’erano armi di distruzione di massa). E un “americano” anche lui, dato che ha studiato e soggiornato a lungo negli Stati Uniti. Agli egiziani riuniti nella piazza Tahir ha detto: «Quel che abbiamo cominciato non può tornare indietro. Io mi inchino in segno di rispetto al popolo. E vi chiedo pazienza: il cambiamento arriverà a breve nei prossimi giorni». Questo cambiamento dovrebbe consistere nell’uscita di scena morbida di Mubarak e nella creazione di un governo o di una presidenza di transizione che porti il paese alle elezioni e a un inizio di vita effettivamente democratica. L’Egitto ha una costituzione, di fatto ignorata da sempre grazie alle norme speciali contenute nella cosiddetta Legge dell’Emergenza. Fino a oggi nessun partito politico poteva presentarsi senza l’approvazione del Parlamento, controllato al 95% dallo stesso Mubarak.
Fratelli musulmani Il terrore dell’Occidente è che il bandolo sfugga agli elementi moderati, finisca nelle mani dei Fratelli Musulmani e per questa via renda l’Egitto un altro stato dominato dall’ideologia islamista e in definitiva da al Qaeda. Il paese è decisivo nello scacchiere arabo-israeliano, si passa facilmente dall’Egitto in Palestina attraverso il valico di Rafah (adesso chiuso) e, insomma, il rischio è che la rivoluzione finisca per rafforzare gli estremisti di Hamas. Gli osservatori ritengono tuttavia questo sbocco meno probabile, specialmente per le divisioni interne ai Fratelli, che hanno infatti sottoscritto il mandato fiduciario a El Baradei. Un rischio più concreto riguarda il petrolio, il cui prezzo sta già a cento dollari. La chiusura prolungata del canale di Suez potrebbe avere sui traffici internazionali un effetto devastante.
Berlusconi In Italia si assiste ormai a una rischiosa guerra tra le istituzioni: il presidente del Consiglio vuole le dimissioni del presidente della Camera e si fa aiutare in questo dal presidente del Senato che autorizza un discorso in aula del ministro degli Esteri in cui si fa capire a tutto il mondo che la casa di Montecarlo è effettivamente del cognato di Fini. Questa mossa provoca la denuncia al tribunale dei ministri di Frattini e la richiesta di dimissioni dello stesso Schifani (il presidente del Senato), mentre pidiellini e leghisti disertano le riunione del Comitato di controllo parlamentare dei servizi di sicurezza e il presidente della Camera, teoricamente super partes, ribadisce pubblicamente che Berlusconi deve andarsene. Tutto questo condito dagli attacchi forsennati alla magistratura del premier, che ha anche preso l’abitudine di intervenire telefonicamente ai programmi tv insultando i conduttori ed essendone a sua volta insultato. Situazione talmente incancrenita che i costituzionalisti stanno dibattendo la questione se Napolitano abbia o no il potere di sciogliere le Camere senza aspettare che il governo vada in crisi, strada che sembra formalmente percorribile se si sta alla lettera della nostra Carta, ma naturalmente mai imboccata in passato. È probabile che il Presidente, intanto, pronunci un discorso forte, oppure convochi i protagonisti della rissa per invitarli alla calma. La data decisiva dovrebbe essere il 3 febbraio, giovedì, giorno in cui dovrebbe essere approvato, nell’ambito della riforma federalista, il decreto relativo al fisco dei comuni. Bossi, un altro che adesso invita tutti «a far meno casino», ha già detto che se il decreto non passa si va al voto.
Via Poma Vent’anni dopo, il fidanzato di allora di Simonetta Cesaroni, la ventunenne uccisa nel 1990 con 30 coltellate in via Poma a Roma, è stato condannato a 24 anni di carcere. L’uomo si chiama Raniero Busco, ha 45 anni, è sposato con due figli. I giudici popolari della corte d’Assise l’hanno ritenuto colpevole per via delle tracce di dna trovate sul reggiseno di Simonetta e “riconducibili” a lui. È stato giudicato decisivo anche un morso al seno sinistro della vittima, corrispondente all’arcata dentaria dell’imputato. Polemiche per il fatto che dopo 20 anni e con indizi tanto discutibili si mandi qualcuno in galera per il resto della vita. Gli avvocati ricorreranno in appello.