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 2011  gennaio 24 Lunedì calendario

Anno VIII – Trecentocinquantasettesima settimana Dal 17 al 24 gennaio 2011Per chi si fosse perso le puntate precedenti: la Procura di Milano ha messo sotto accusa Berlusconi imputandogli di aver fatto sesso con la minorenne Ruby, e di aver concusso la Questura di Milano facendo liberare la ragazza con la scusa che era nipote di Mubarak

Anno VIII – Trecentocinquantasettesima settimana Dal 17 al 24 gennaio 2011

Per chi si fosse perso le puntate precedenti: la Procura di Milano ha messo sotto accusa Berlusconi imputandogli di aver fatto sesso con la minorenne Ruby, e di aver concusso la Questura di Milano facendo liberare la ragazza con la scusa che era nipote di Mubarak. I giornali si sono riempiti di rivelazioni e intercettazioni: ne è venuto fuori un mondo di raro squallore, due milioni e mezzo di euro spesi dal premier per i suoi piaceri, Fede, Lele Mora e la consigliera regionale Minetti accusati di induzione alla prostituzione, eccetera. Un coro chiede che il premier si dimetta intanto per indegnità ed effettivamente il governo è, oltre che paralizzato, in bilico. La situazione che ne è derivata è talmente sfilacciata e contorta che conviene esaminarla punto per punto.

Berlusconi cade o no Berlusconi non è andato e non andrà dai magistrati inquirenti di Milano a farsi interrogare perché considera l’inchiesta illegittima, incostituzionale e i giudici che l’hanno promossa da punire. Così in un video-messaggio di mercoledì 19 gennaio. Stessa testardaggine sul lato politico: non si dimette, a quanto pare, in nessun caso. Questa settimana dovrebbe esserci il voto su Bondi, cioè su tre mozioni di sfiducia che ne chiedono la destituzione dopo i crolli di Pompei. Le mozioni sono state presentate da Pd e Idv, il che è ovvio. Ma anche dall’Udc, proprio la settimana scorsa, e questo significa che Berlusconi non può più sperare in un allargamento della maggioranza all’Udc. Che accadrebbe se Bondi venisse sfiduciato? È chiaro che il presidente del consiglio non lascerebbe lo stesso: prenderebbe l’interim di quel dicastero, poi nominerebbe qualcun altro e tirerebbe avanti. Non c’è dunque che una strada per farlo cadere: l’abbandono della Lega o una spaccatura nel Popolo della Libertà.

Lega Questa settimana dovrebbe passare il decreto attuativo del federalismo fiscale. In pratica: quale quota delle tasse che versiamo allo Stato sarebbe condivisa dai comuni, trasformazione della vecchia Ici in un nuovo tipo di balzello, nuova Tarsu (tassa sui rifiuti), cedolare secca sugli affitti, cioè i padroni di casa invece di cumulare nell’Irpef il reddito proveniente dall’affitto potranno denunciarlo a parte e pagarci su una tassa del 20 o del 23 per cento. Ci guadagnano tutti quelli che hanno un reddito dichiarato superiore ai 28 mila euro l’anno. Questo complesso di norme però, ai primi calcoli, potrebbe imporre un aumento della fiscalità comunale, specialmente nelle città in cui i conti non sono a posto, cioè in particolare nel centro-sud. L’Anci, l’associazione che riunisce i comuni, è contraria all’unanimità. La Commissione bicamerale che deve varare in prima istanza il provvedimento è spaccata esattamente a metà e il voto decisivo è nelle mani dell’onorevole Mario Baldassarre, finiano. Baldassarre, fino al momento in cui scriviamo, ha detto che «il provvedimento così com’è non si vota». Calderoli sta apportando delle modifiche, ma Bossi sa che un federalismo imposto a comuni in larga parte riottosi non ha base politica, non può funzionare e alla fine può costargli molto caro. D’altra parte non può vedersi bocciata per l’ennesima volta la sua creatura. Occorrerebbe un accordo ampio, con tutti quanti, ivi compresa l’opposizione. Tremonti, in un convegno, ha appena fatto l’elogio di Berlinguer, Maroni ha scritto al “Corriere della Sera”: «Dopo l’abbuffata di culi e tette nel caso Ruby vogliamo tornare alle cose che interessano i cittadini: chiediamo a tutti (maggioranza e opposizione) di deporre le armi e di tornare ad occuparci a tempo pieno di quello per cui siamo stati eletti, affrontare i problemi e risolverli». Sono aperture. Si sa che Bossi ha, tra l’altro, un buon rapporto col Quirinale e sta attento a quello che dice la Chiesa.

Casini I sondaggi dicono che, se si andasse alle elezioni, Berlusconi continuerebbe a prendere più voti di tutti. Troppo lunga sarebbe l’analisi di questa stravaganza planetaria. Basterà qui sapere che, anche per questo, Casini e Bersani vogliono che il Cavaliere cada, ma non che si vada a votare. Si tratterebbe dunque di formare un altro governo. Il più esplicito è stato Casini: siamo pronti a entrare in un governo o a far parte di una maggioranza guidata dal Pdl purché il presidente del Consiglio non sia Berlusconi (così in un’intervista alla Stampa di lunedì). Il nome del successore è pronto: Gianni Letta, l’uomo più vicino al Cav e di cui il Cav si fida a occhi chiusi.

Gli altri Se Berlusconi deve cadere, ma senza che si vada al voto, è necessaria una manovra di palazzo, possibile solo se intorno gli si fa terra bruciata. Due pilastri del consenso istituzionale a Berlusconi sono la Chiesa e la Confindustria. Famiglia cristiana ha attaccato a testa bassa il capo del governo, Avvenire lo ha criticato con parole più prudenti, l’Osservatore Romano ha ripreso integralmente una dichiarazione di Napolitano («servono maggiore consapevolezza e sobrietà nei comportamenti»), il cardinale Bertone, segretario di Stato, ha accettato di rispondere ai giornalisti e ha detto: ««La Chiesa spinge e invita tutti, soprattutto coloro che hanno una responsabilità pubblica in qualunque settore amministrativo, politico e giudiziario, ad assumere l´impegno di una più robusta moralità, di un senso di giustizia e di legalità». Il consenso cattolico è dunque in forse e questo spiega l’attivismo di Casini. La Marcegaglia (Confindustria), poi, è andata domenica sera da Fazio e ha accusato il governo di star fermo da sei mesi. «Se questo governo non è in grado di fare le riforme bisogna fare altre scelte, serve stabilità, ma non fine a se stessa». Tremonti? Le andrebbe bene, però «un nuovo primo ministro deve avere la maggioranza in Parlamento e deve essere indicato dagli elettori».

Cuffaro Anche il caso del senatore Cuffaro, ex governatore della Sicilia, che è stato condannato in via definitiva a sette anni e sabato si è spontaneamente consegnato ai carabinieri per essere rinchiuso nel carcere romano di Rebibbia, è diventato per Berlusconi una pietra di paragone scomoda. Ecco qui, infatti, un politico di una certa grandezza, che ha accettato il processo pur ritenendolo ingiusto, e non ha rifiutato la sua conseguenza estrema, cioè la prigione. Una bella differenza con i comportamenti del premier: Cuffaro ha persino detto, prima di essere rinchiuso: «Sono un uomo delle istituzioni, rispetto la magistratura». È stato condannato per aver fatto sapere al mafioso Guttadauro che in casa sua a Palermo i Ros avevano messo delle microspie. Quindi: favoreggiamento mafioso. L’ex governatore, detto “Totò Vasa-Vasa”, ha passato la vigilia pregando la Madonna, in cella legge Tolstoj, dice le orazioni (maglione rosso, perfettamente rasato) e si proclama sereno.

Usa-Cina Il presidente Hu Jintao è andato negli Stati Uniti e ha detto no, ancora una volta, alla richiesta americana di rivalutare lo yuan, il cui valore, tenuto artificialmente troppo basso, favorisce in modo esagerato le esportazioni cinesi. Ha stipulato accordi per 45 miliardi di dollari, s’è portato dietro 500 imprenditori cinesi ansiosi di comprare o di fare investimenti in quel paese. Una scena impressionante, dato che solo pochi anni fa erano i presidenti americani e gli imprenditori yankee a visitare la Cina per fare acquisti.

Albania Venerdì a Tirana una manifestazione contro il governo s’è trasformata in guerriglia dopo che la polizia ha sparato uccidendo tre persone. Tre giorni prima, in Parlamento, i deputati erano venuti alle mani. Anche qui, come in Tunisia: corruzione, crisi economica, classe dirigente inadeguata. Il regime è a rischio.