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 2011  aprile 02 Sabato calendario

IL RIMORSO E IL DNA

Quando i gialli si risolvono l´unico personaggio in scena rimane l´assassino. A vent´anni dal delitto dell´Olgiata restiamo comunque davanti a un enigma, chiamato Manuel Winston Reves.
Perfino i testi tradizionalmente nudi e crudi con cui le agenzie di stampa annunciano la sua confessione rivelano retropensieri e inducono a conclusioni. Invece, c´è qualcosa che non quadra. Si dà grande risalto al suo rimorso, al fatto che nell´ammettere la responsabilità ha chiesto scusa ai familiari della vittima e, addirittura, a tutti gli italiani. Bene, grazie. E´ un "cold case", cerchiamo di restare freddi.
Il rimorso è una cosa che non ti lascia vivere, ti tortura notte dopo notte, finché un mattino non ti svegli e gli incubi si alzano con te, ti spingono fino al primo commissariato, dove chiedi di vedere un qualsiasi poliziotto con il quale liberarti della colpa. Non è esattamente quel che ha fatto Manuel Winston. Se il caso non fosse stato riaperto, se qualcuno non si fosse infine accorto che non tutto il sangue del lenzuolo era della stessa persona, se l´esame del Dna (su cui qualche bastian contrario ancora esprimeva dubbi) non l´avesse incastrato, che sarebbe successo? Che avrebbe continuato a vivere con quel peso che oggi definisce insopportabile, che avrebbe fatto tacere la voce della coscienza (ammesso che ne sentisse una) come già gli era riuscito di fare non per venti giorni o mesi, ma anni. Vent´anni, una vita.
C´è, è vero, una traccia di dignità nella sua confessione. Lo mette al di sopra di quelli che negano l´evidenza e i cui nomi non si possono fare perché hanno ancora un giudizio pendente, processi in cui i loro avvocati sostengono che la terra è piatta e il sole le gira intorno. Non si tratta di una larga fetta di umanità.
Poco sopra le stanno gli assassini capaci di convivere con la propria responsabilità. Winston ci racconta oggi di aver dimenticato le modalità dell´omicidio, di averle rimosse per non soffrire. Molti di noi fanno la stessa cosa per dolori di cui non sono responsabili, procurati dal destino o da altre persone. Persone come Manuel Winston, appunto. Soltanto a sentire rievocare la contessa, dice, si sentiva male. Eppure ha dato il nome di lei alla propria figlia. Un omaggio? Un autocastigo? Un modo di attirare l´attenzione per farsi scoprire, ottenendo l´invocata punizione? O una beffa?
Il tempo cambia tutti noi. Fa sempre uno strano effetto quando si vede qualche condannato a morte americano entrare nella stanza dell´esecuzione dopo tanti anni (venti, a volte) dal giorno in cui commise il delitto. Si elimina un essere diverso dall´omicida, molto spesso un convertito, qualcuno che ha trovato dei valori. In prigione. Sarebbe accaduto lo stesso se non l´avessero arrestato e incarcerato?
Ha fatto impressione veder condannare in primo grado l´accusato per il delitto (altrettanto remoto) di via Poma. Anche lui si era fatto una vita, una famiglia. Non ha confessato, ma oggi abbiamo una ragione in più per credere alla prova contro di lui.
È cambiato Manuel Winston? O è lo stesso che vent´anni fa uccise? Ammette perché incastrato. Si attribuisce un movente che induce a compassione ("mi aveva licenziato, rivolevo il lavoro"), mettendo in secondo piano ipotesi di furto e di premeditazione. E soprattutto, chiede scusa all´Italia e agli italiani.
Perché? Dovremmo essere abbastanza lucidi da capire che il reato commesso da qualcuno nato nelle Filippine non è diverso da quello di un indigeno, che l´offesa è personale e non nazionale. Dovremmo evitare la trappola del sospetto nei confronti del diverso, ma anche quella del pietismo verso di lui. In una storia di nobildonne e maggiordomi può venire istintivo parteggiare per i più deboli. Non quando sono armati.
Quel che resta alla fine del giallo è la sensazione, una volta di più, che la logica della scienza sia l´unica via d´uscita dalla fallacità delle opinioni, dei pregiudizi di ogni senso e colore, della speranza che sia una mano impalpabile a toccare il cuore degli assassini. Non avendo grandi rimorsi mi concedo un immenso rimpianto: che la Storia in cui siamo immersi non possa essere sottoposta alla prova del Dna.