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 2011  aprile 04 Lunedì calendario

IL SENTIERO DEI SOLDI SPORCHI

Se girando per un centro commerciale siete incappati in qualcuno che annotava dei numeri su un foglio, i casi sono due. Era uno della Finanza che controllava il negoziante, oppure un riciclatore di denaro sporco che controllava la Finanza.
Lo ha raccontato a Lettera43.it un professionista del settore. Qualcuno che ha lavato denaro di provenienza illegale per moltissimi anni. Finché, per ragioni personali, ha deciso di ritirarsi. E di svelarci come funziona il mestiere.
Senza omissioni o reticenze ma, anzi, con l’orgoglio per averla sempre fatta franca. «Anche quando la preparazione della polizia è migliorata, i tempi di comunicazione tra forze dell’ordine si sono ridotti e i programmi di incrocio dei dati sono diventati più efficienti», ha puntualizzato fiero.
Sotto garanzia dell’anonimato, il nostro uomo ha accettato di svelarci gli schemi del riciclaggio in una serie di interviste. Abbiamo scoperto che non riguarda solo mafiosi, delinquenti e filibustieri di sorta ma, spesso, coinvolge persone comuni. Magari professionisti affermati. «Ma anche il negoziante dal quale avete comprato la televisione e il frigorifero», ha aggiunto.

Domanda. Che cosa riciclano i commercianti?
Risposta. Che domanda: i proventi dell’evasione fiscale.
D. Ce ne è abbastanza per doverli ‘ripulire’?
R. Non si tratta di qualche ricevuta non battuta. Parliamo di un sistema complesso di evasione, riciclaggio e frode. E, ciononostante, abbastanza diffuso.
D. Un lavoretto banale per lei?
R. Affatto. L’evasione è molto difficile da trattare: è più semplice fare sparire i soldi della mafia.
D. Perché?
R. Il denaro deve transitare per forza per via bancaria, e questo aumenta i rischi. E poi bisogna avere più conoscenze e competenze. Si devono conoscere a fondo i meccanismi giuridici e legali, per eluderli.
D. Serve molto studio?
R. Sì, ma anche tanta pazienza. Ci vuole un annetto perché il sistema vada a regime.
D. Ne parla come di un’operazione finanziaria qualunque.
R. Invece è un mix ben congegnato con implicazioni penali pesanti. Se qualcosa va storto qualcuno passerà un brutto quarto d’ora. Ma le assicuro che il gioco vale la candela.
D. Chi è il cliente tipo?
R. Un’attività commerciale di elettronica: telefonia, computer, televisori.
D. Un negoziante al dettaglio?
R. Non proprio. Qualcosina in più. Diciamo uno che ha quattro punti vendita all’interno di alcuni centri commerciali.
D. Qual è il suo problema?
R. Il costo degli affitti è elevato, il controllo sugli incassi è assillante, i ricavi non sono poi così corposi, la concorrenza è spietata.
D. La dura legge del mercato.
R. Sì, ma con tutta questa fatica il mio cliente vuole almeno garantirsi una vecchiaia serena e agiata.
D. Lei come lo aiuta?
R. Prima, decido se prendermene carico.
D. Giusto: solo clienti selezionati.
R. Vado a fargli una visita, ovviamente senza presentarmi. Giro, prendo nota di alcuni prezzi, a volte acquisto qualcosa.
D. A che scopo?
R. Verifico se le licenze d’uso dei computer sono ufficiali o clonate. O se nei telefonini che vendono forniscono schede già attivate. Se è così, posso ragionevolmente essere certo che il cliente sia nel mirino delle forze dell’ordine.
D. Come fa a dirlo?
R. Sono tecniche banali per sbarcare il lunario evadendo il fisco. Attirano polizia e Finanza come il miele le api. Quindi io ne sto fuori.
D. Ammettiamo che il cliente non abbia la legge alle calcagna.
R. Allora faccio una visura camerale e controllo i bilanci. Poi chiedo che mi venga data una copia dell’elenco dei fornitori e dei clienti, una della denuncia dei redditi e una di quella dell’Iva.
D. Fa il consulente fiscale, insomma.
R. Più o meno. Trasformare un’attività sotto gli occhi di tutti in una macchina che evade denaro in quantità è complesso. Non si tratta semplicemente di dimenticarsi di battere gli scontrini. Cosa che comunque nell’elettronica non si può fare, perché serve come garanzia.
D. E quindi come si muove?
R. Innanzitutto, studio l’elenco dei fornitori per strutturare le cartiere e decidere dove far uscire i fondi dell’evasione.
D. Aspetti, cosa sono le cartiere?
R. Società che svolgono esclusivamente attività ‘cartacea’. In pratica, si limitano a emettere fatture false.
D. A che cosa servono?
R. Aiutano a movimentare denaro tra varie società create ad hoc. Che, giocando prima sull’Iva e poi sulle tasse, costituiscono l’ossatura dell’operazione di evasione e riciclaggio.
D. Qual è il meccanismo base?
R. La triangolazione della merce. Società finte si interpongono fra il venditore e il compratore. Acquistano, pagano e rivendono merce. Ma non versano le imposte, o almeno non tutte.
D. Partiamo dall’inizio.
R. In uno scambio regolare, Alfa, negoziante italiano, acquista da Beta, società tedesca, 100 euro di merce. Trattandosi di un movimento intracomunitario si può applicare l’esenzione d’Iva prevista dalla legge.
D. Fin qui è chiaro.
R. Quando Alfa rivende quei prodotti, però, deve comunque farlo al prezzo di acquisto più l’Iva, che scarica sul cliente finale. Totale: 120 euro.
D. Nel suo schema, che cosa succede?
R. Si interpone una terza società creata ad hoc: chiamiamola Gamma. Gamma, cioè la cartiera, acquista da Beta la merce per 100 euro. Rivende poi la merce ad Alfa allo stesso prezzo - 100 euro - ma includendo l’Iva. In pratica, trucca i libri contabili.
D. Quindi?
R. Alfa può legittimamente proporre ai propri clienti la stessa merce a 105 euro, Iva inclusa. Lui ci guadagna e il prezzo è concorrenziale: quindi venderà di più.
D. Già. Ma per 15 euro a frigorifero ne vale la pena?
R. Il bello deve venire.
D. Vada avanti.
R. Oltre a Gamma, che è un finto intermediario, creo un falso fornitore. Chiamiamolo Omega, una società ltd (limited) di diritto inglese. Basata a Londra e posseduta al 95% da un’azienda anonima panamense e, per il restante 5%, da un fiduciario locale.
D. Dove li trova la società anonima panamense e il fiduciario?
R. La prima si costituisce in pochi minuti. Il fiduciario è più complesso da reperire perché deve metterci la faccia. Mi rivolgo a persone che conosco, ovviamente. Professionisti.
D. Torniamo a Omega.
R. Omega ltd, basata a Londra e controllata da Omega con sede a Panama, diventa il fornitore di Gamma.
D. Quindi vende a Gamma la merce che questa rivende ad Alfa, il negoziante?
R. Giusto. Merce fittizia, s’intende. Esistono solo le fatture, non i prodotti.
D. Chiudiamo il cerchio.
R. Il cliente Alfa acquista settimanalmente da Gamma. Un primo giro in cui si evade l’Iva. Secondo giro: Gamma acquista due volte al mese dalla Omega ltd, che quindi diventa l’incassatore finale.
D. Ma i prodotti dove finiscono? Con le fatture di Omega ltd i magazzini risultano pieni di merce.
R. Basta simulare le vendite. Ha presente tutte quelle offerte sensazionali per televisori a 100 euro?
D. Certo, peccato siano sempre solo dieci pezzi…
R. Oppure nessuno. Nel caso del mio cliente, Alfa, il numero dei prodotti in offerta è uguale a quelli che risultano acquistati da Omega ltd. In realtà, però, non esistono.
D. E quando arriva il compratore?
R. Basta dirgli: «La promozione è esaurita. Sa, con quei prezzi… ».
D. Ma per far sparire la merce ci vogliono gli scontrini.
R. Infatti, si battono. Ogni giorno le casse ne fanno un po’. Così esce la merce fittizia e, oltretutto, si realizza una minusvalenza.
D. Mi faccia un esempio.
R. Supponiamo che un computer costi 500 euro. Alfa, con la promozione, ne mette in vendita 100, tanti quanti gliene ha fatturati Omega ltd. Li fa pagare la metà, cioè 250 euro: per effetto dell’offerta avrà perso ricavi per 250 mila euro.
D. Quindi?
R. Quindi svuota il magazzino, almeno agli occhi della Finanza, e abbatte il fatturato: meno tasse. In più, la gente che entra a chiedere il computer e non lo trova magari compra qualcos’altro.
D. Ma Omega ltd che vantaggio ne ha?
R. Omega ltd accumula i proventi del falso giro di fatturazioni. E paga le tasse sugli utili. Ma non tutte.
D. Quanto paga?
R. Deve al fisco britannico, per legge, solo le tasse per la quota che è in capo al fiduciario londinese. Quindi, paga imposte sul 5% del valore complessivo degli utili.
D. E il restante 95%?
R. Viene depositato in Svizzera.
D. Come?
R. C’è un terzo passaggio: fornire al cliente documenti di camuffamento.
D. Cioè?
R. Documenti d’identità emessi da Stati non più esistenti, come la Columbia britannica o le Antille olandesi.
D. Passaporti falsi?
R. Non proprio falsi, diciamo border line: un tempo questi Paesi erano realmente autorizzati a emetterli. Quindi ora c’è confusione sulla loro validità.
D. Dove li trova?
R. Non c’è bisogno di essere falsari: a saper cercare, si comprano anche su Internet.
D. E il cliente cosa ne fa?
R. Usa l’identità falsa per aprire un conto corrente in Svizzera. Ma, soprattutto, crea una succursale elvetica delle società panamense che detiene la Omega ltd.
D. Nella quale confluiscono gli utili non tassati in Inghilterra?
R. Esatto. Ricordiamoci: il cliente non è in alcun modo riconducibile alla Omega ltd, né alla sua succursale svizzera. La prima ha un altro fiduciario, la seconda è creata con documenti falsi. Quindi i soldi spariscono.
D. Quanti soldi?
R. Se ipotizziamo di movimentare merci per 20 milioni di euro - come realmente è successo al mio cliente con quatto negozi - è possibile portare in Svizzera 500 mila euro al mese.
D. Nessuno si accorge dell’esistenza di una cartiera?
R. Dopo un po’, Gamma chiude i battenti. La Finanza non riesce nemmeno a rendersi conto di quello che sta succedendo. E, ovviamente, l’amministratore è un prestanome. Meglio se un cittadino moldavo…
D. Quanti ne recluta?
R. Uno ogni volta che c’è bisogno di creare una nuova Gamma per ripetere il giochetto.
D. Lei quanto intasca per elaborare il sistema?
R. Questo è un caso complesso, ci sono molti passaggi. Prima di riuscire a trascrivere lo schema sul “libretto delle istruzioni” che consegno al cliente occorre parecchio tempo. E il mio tempo è denaro.
D. Non sia timido. Quanto?
R. Ho studiato circa tre mesi e mezzo per venirne a capo. Più tutte le spese e la fatica di trovare fiduciari e prestanome: 220 mila euro se ne sono andati solo per questo. Aggiunga la mia tariffa, 1.000 euro al giorno. Totale: 338 mila euro.
D. Spariti in Svizzera.
R. O magari bonificati in Liechtenstein a una società panamense, mascherati come consulenza internazionale non tassabile perché è reddito prodotto all’estero.