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 2011  aprile 02 Sabato calendario

Fukushima OFF LIMITS - Nella zona evacuata, che evacuata non è, si entra senza controlli. Qui resiste qualche residente, vagano gli «zingari» dell’atomo e le radioazioni non fanno paura: «Il problema è per il futuro, questa terrà resterà avvelenata» Qualcosa non quadra

Fukushima OFF LIMITS - Nella zona evacuata, che evacuata non è, si entra senza controlli. Qui resiste qualche residente, vagano gli «zingari» dell’atomo e le radioazioni non fanno paura: «Il problema è per il futuro, questa terrà resterà avvelenata» Qualcosa non quadra. I giapponesi non sono buzzurri, di radiazioni, purtroppo ne sanno molto. E allora delle due l’una. O davvero, quanto meno per il momento, farsi una passeggiata nei pressi della centrale maledetta è come passare una giornata nel corridoio di una sala radiologia di un qualsiasi ospedale, oppure sono tutti pazzi, incoscienti e incapaci. Ieri siamo entrati, senza forzare alcun posto di blocco, nè scavalcare alcun tipo di recinzione, nella cosiddetta zona evacuata. Che evacuata non è («ci hanno consigliato di andarcene - ha spiegato un giovane imprenditore, che continua tranquillamente a viverci con tutta la famiglia - ma nessuno è venuto a prelevarci») e, soprattutto, dalla quale si entra e si esce facendo semplicemente un inchino alla pattuglia di polizia che neanche sempre c’è, e che in teoria dovrebbe impedire l’accesso, salvo «esigenze straordinarie». Passano i comuni mortali, e passano i giornalisti. Non ci chiedono neanche i documenti. «State attenti, mi raccomando, meno restate meglio è», avvertono. E con inusitata cortesia - ieri, a Tokyo, la polizia ha picchiato duro contro dei giovani che protestavano davanti alla sede della Tepco) - scostano i minicavalletti di frisia che bloccano, si fa per dire, l’accesso. Bardati come siamo, con tanto di tuta protettiva bianca, copriscarpe e mascherina ci sentiamo perfino un po’ ridicoli, anche se più sicuri. Fatto sta che nel paio di ore rimasti a zonzo nella zona proibita (assumendo, secondo le rilevazioni ufficiali, un totale di 16 microsievert, quando una lastra al torace, continuano a ripeterci gli esperti, che ne provoca almeno 50) non abbiamo visto nessuno bardato come noi. Tutti, quei pochi (ma troppi, visto che dovrebbe essere una zona evacuata) con la mascherina, per carità, ma nessuno in tuta bianca da day after. Esagerati noi o pazzi loro? Hiroyuki Tamita sembra tutt’altro che pazzo. Incazzato semmai. Ma non contro la Tepco, la società che gestisce la centrale nucleare o il governo, che dopo aver decretato l’evacuazione, almeno da qui, è sparito e appare solo alla tv. Più semplicemente, con i rifornitori, che non riforniscono, come dovrebbero, i distributori automatici. «Con la scusa del terremoto e dell’emergenza nucleare qui non funziona più nulla. Non è questo il modo di reagire. Bisogna rimboccarsi le maniche, non poltrire». Tamita indossa anche lui una tuta. Ma da lavoro. Ha una piccola fabbrica di guarnizioni, dentro la zona evacuata, e dal giorno del terremoto non si è fermato mai. Di giorno produce, assieme a due operai e al figlio che per l’occasione ha richiamato dal capoluogo, Fukushima, per dare una mano. Nel pomeriggio carica la merce sul camioncino e va a fare consegne. Il tutto senza protezione alcuna. Ma non ha paura delle radiazioni? «No, perché non c’è nulla da preoccuparsi, adesso. Il problema semmai è per il futuro, perché questa terrà probabilmente resterà avvelenata per chissà quanto tempo. Ma per l’immediato, no, non c’è nulla da preoccuparsi. E io ho quasi settant’anni, prima o poi debbo morire, e non sarà certo per le radiazioni, ma per queste schifose sigarette che continuo a fumare e che ora non si trovano più in giro, anche queste hanno smesso di distribuire». Prima di rientrare a casa, la sera, Tomita si ferma al distretto sanitario locale, situato appena a ridosso del confine dei 20 chilometri, e si fa regolarmente testare. Sano come un pesce, dice. All’incrocio fermiamo una macchina, non ne passano molte, e quelle che passano, si fermano volentieri. Anche se tutti, par di capire, hanno fretta. Anche Akio ha fretta. Viene da Namie, il villaggio più vicino alla centrale, a 5 chilometri. «Sono venuto a recuperare la macchina. La sera del terremoto l’avevo lasciata qui, ci avevano dimesso in fretta e furia, liquidati e caricati se un autobus che ci ha portato a Kashiwazaki, un’altra centrale, dall’altra arte delle montagne, sul Mar del Giappone. Ora lavoro lì, per i prossimi tre mesi, poi si vedrà». Akio è uno zingaro. Uno dei 20 mila forse più «nomadi dell’atomo» che passano di centrale in centrale per fare i lavori sporchi. Manutenzione in tempo di «pace», gestione dell’emergenza in tempo di «guerra». Che notizie ha, dal campo di battaglia? «Brutte. La centrale è un colabrodo, doveva essere chiusa già prima dello tsunami. I dirigenti della Tepco sono degli irresponsabili senza scrupoli. Erano stati avvertiti, sapevano benissimo che la centrale non era in regola. Ma invece di investire sulla sicurezza, spendevano soldi per intrattenere gli ispettori dell’agenzia nazionale per la sicurezza nucleare». Akio , come tutti i poveracci, è sincero, chiede solo che il suo nome non venga riportato. Ha bisogno di lavorare ancora. «Me ne sono fatte 5 di centrali, in quasi vent’anni. Di robaccia ne ho presa su tanta, ma formalmente sono pulito». E ci mostra la «piastrina», nuova di zecca, che ha appena ricevuta dall’agenzia che gli trova lavoro incassando una percentuale sul suo salario. La piastrina dovrebbe essere individuale e quando raggiunge un certo numero di radiazioni, dovrebbe «bloccare» il titolare della stessa e impedirgli di lavorare. Ma difatto le piastrine si comprano. O si ricevono, sottobanco, dall’azienda che ti affitta. Fatto sta che Akio, nonostante sia vent’anni che fa lo zingaro in giro per l’arcipelago, risulta «pulito» come un bimbo appena nato. Ed è quindi «libero» di continuare a lavorare e ad appestarsi. Per 90 euro al giorno, quando va bene, al netto della percentuale che deve riconoscere alla società che lo gestisce. Continuiamo ad andare un po’ a zonzo, in direzione della centrale. Probabilmente ci si potrebbe anche arrivare, pare che mentre eravamo a pochi chilometri dai reattori, un veicolo con a bordo degli studenti pacifisti abbia forzato i cancelli andandosi a schiantare contro il cancello. Ma sono gesti isolati. C’è poco da illudersi, in Giappone il movimento antinucleare non esiste. Anni di martellante propaganda hanno convinto i giapponesi che l’energia nucleare è bella e pulita. E soprattutto indispensabile. E dopo Atomino, ora circola in rete perfino «plutonino». Altro esilarante quanto inquietante cartone che cerca di respingere la «brutta fama» del plutonio, che come la dinamite può far male, ma che serve anche a tante cose. Lo trovate qui (http://pinktentacle.com/2011/03/cute-pluto-kun-cartoon-dispels-plutonium-fears/) e smucinando un po’ forse si trovano anche i sottotitoli quanto meno in inglese. Geniale.