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 2011  aprile 03 Domenica calendario

Garibaldi in camicia nera icona del fascismo di Salò - Se persino un parla­mentare non sa più chi sia stato l’Eroe dei Due Mondi e attribui­sce il suo appellati­vo al fatto che avrebbe unito il Nord e il Sud d’Italia, c’è da dedurne che Garibaldi sia diventato un illustre sco­nosciuto

Garibaldi in camicia nera icona del fascismo di Salò - Se persino un parla­mentare non sa più chi sia stato l’Eroe dei Due Mondi e attribui­sce il suo appellati­vo al fatto che avrebbe unito il Nord e il Sud d’Italia, c’è da dedurne che Garibaldi sia diventato un illustre sco­nosciuto. Eppure, per un secolo e più, nessun altro uomo pub­blico dell’Italia contempo­ranea ha goduto di una po­polarità altrettanto vasta e duratura. Non c’è angolo del nostro Paese che non ab­bia una piazza, una via o, quanto meno, una casa a sua imperitura memoria. Di­re che sia stato, anche in morte, assai popolare è dir poco. L’eccezionalità delle imprese compiute, la fama di eroe generoso così diver­so, quasi alternativo al poli­tico convenzionale, la sua dedizione senza riserve alla causa della patria avevano imposto stabilmente il suo nome nel pantheon della vi­ta pubblica nazionale. Il suo nome è stato talmente una garanzia di probità, dedizio­ne, generosità e coraggio ini­mitabili che non c’è stata praticamente forza politica (eccezion fat­ta per i cattoli­ci) che non ab­bia cercato di ap­propriarsi della sua figura, debita­mente ritagliando­la su di sé, in modo da avvantaggiarsi dell’alone di popola­rità e di credibilità che questo «santo laico, simbolo del­l’unità italiana», assi­curava. Con un esito insieme paradossale e uni­co. L’icona Garibaldi è stata piegata ad ogni uso politico, di regola anche di segno op­posto. È servita indifferente­mente alla sinistra e alla de­stra, ai repubblicani e ai mo­narchici, ai socialisti e ai mo­derati, ai fascisti e agli antifa­scisti: tutti impegnati a strat­tonare via dalle mani degli avversari il mito del Genera­le. La fortuna dell’icona di Garibaldi è cosa nota e debi­tamente analizzata dagli stu­diosi. Mancava, invece, si­no ad ora uno studio che di­svelasse l’uso politico fatto­ne dal fascismo nella sua fa­se insieme eroica e termina­le: al tempo, cioè, della Re­pubblica di Salò. Riempie questo vuoto un agile ma denso volume di Elena Pala, Garibaldi in camicia nera. Il mito dell’Eroe dei Due Mon­di nella Repubblica di Salò 1943- 1945 (Mursia, pagg. 137, euro 14) in cui il testo si avvale di una ricca e accura­ta scelta di materiale icono­grafico coevo inedito. Andò in scena anche nei Seicento giorni di Salò un Garibaldi in camicia rossa (icona delle famose Brigate partigiane di fede comuni­sta e, a fine guerra, del Fron­te popolare socialcomuni­sta) e un Garibaldi in cami­cia nera. Una volta ancora, non si realizzò solo uno sdoppiamento del mito del­l’Eroe dei Due Mondi tra de­stra e sinistra, ma addirittu­ra una sua divaricazione al­l’interno dello stesso cam­po del fascismo repubblica­no, con un Garibaldi ripe­scato dalla tradizione mo­narchica e riverniciato da re­pubblicano, ma sempre in li­nea di continuità con l’ico­na ufficiale costruita dal re­gime liberale a suggello del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, e un Garibaldi af­francato dalla tutela dell’Ita­lietta liberale per esaltare il fascismo degli irriducibili ri­sorto sulle sponde del Lago di Garda, incaricato di com­piere «la missione storica dell’Italia». Il Generale reinventa, per l’ennesima volta, la propria immagine: da eroe dell’Ita­lia risorgimentale diventa il duce di un’indomita pattu­glia di «puri e duri» disposti anche a morire pur di tene­re alta la bandiera dell’Ono­re contro gli invasori e i tra­ditori. Da figura capace di unificare nella sua persona l’intera nazione a difensore degli umili e degli oppressi contro la borghesia pluto­cratica. Da icona di una Pa­tria concorde a «campione dell’idea repubblicana, fau­tore di una rivoluzione so­ciale, capace di ogni azione eroica», anche se votata alla sconfitta, pur di testimonia­re la fede inconcussa nella causa nazionale. Fu forse questa ultima, estrema manipolazione del suo mito, cui poco dopo farà pendant l’opposta sua ap­propriazione da parte della sinistra nel corso di una sfi­da elettorale del 1948 con­dotta alla stregua di uno scontro di civiltà, che com­prometterà definitivamen­te la carica di fascinazione della figura dell’Esule di Ca­prera, ormai prigioniero e vittima di un uso politico troppo spregiudicato per non comprometterne la cre­dibilità e la stessa sua spen­dibilità politica.