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 2011  aprile 04 Lunedì calendario

Il conto alla rovescia è cominciato: mercoledì si aprirà uno dei processi più difficili per Silvio Berlusconi, per la sua immagine, per il suo futuro politico

Il conto alla rovescia è cominciato: mercoledì si aprirà uno dei processi più difficili per Silvio Berlusconi, per la sua immagine, per il suo futuro politico. Un processo difficile proprio per la semplicità dell’impianto accusatorio, comprensibile a tutti, perfino al pubblico più popolare delle televisioni del Cavaliere. Questa volta non si parla di off shore o conti cifrati, di partite di giro e paradisi fiscali ma di sesso, soldi e abusi di potere, non necessariamente in quest’ordine, ma certo ingredienti fondamentali per ogni storia che voglia avere un seguito. E’ per questo che da settimane giornalisti e televisioni di tutto il mondo cercano un accredito, allo stato improbabile, per seguire in diretta un dibattimento che in realtà, prima di entrare nel vivo, potrebbe richiedere diverse settimane e dipendere perfino, nella fissazione di un calendario sicuro, dalle nuovi leggi che nei prossimi giorni verranno votate alla Camera. Imputato unico con rito immediato, cioè per l’evidenza delle prove raggiunte - già secondo un primo giudice di merito (il Gip) da una serie di testimonianze, documenti bancari e intercettazioni, il Cavaliere ha organizzato la sua difesa su assiomi apparentemente semplici quanto le accuse che lo riguardano: non ho mai concusso i funzionari della Questura di Milano che infatti non hanno mai dichiarato di esserlo stati. Non ho mai fatto sesso con una prostituta minorenne che infatti lo ha sempre negato. Insomma, messa così, una partita vinta a tavolino. Peccato che la realtà appaia più complessa di quanto voglia far credere il Premier. Se infatti la dimostrabilità di un’accusa passasse dalla percezione soggettiva di aver subito un reato dalla parte lesa, non esisterebbero nemmeno i processi per estorsione, dove raramente le vittime denunciano i loro ricattatori. A maggior ragione in un caso come questo, dove la «vittima» all’epoca dei fatti era minorenne e adusa, secondo le ricostruzioni della Procura, alla prostituzione. Dunque con una percezione dell’abuso subito vicina allo zero. Non a caso i verbali e le dichiarazioni della giovane marocchina che ancora diciassettenne pernottò ad Arcore ben 14 volte, non sono considerate fondamentali dalla Procura per provare il reato contestato a Berlusconi di aver giaciuto con lei (come dimostrano i tabulati telefonici) violando l’articolo 600 bis, inasprito proprio dalle leggi volute dal suo governo. Ciò nonostante Ruby Rubacuori è stata chiamata in aula a testimoniare sia dalle accuse che dalle difese e si presenterà soltanto quando verrà chiamata, lasciando al suo legale, Paola Boccardi, la costituzione di parte civile in aula. Non molto dissimile la formazione della prova per il reato di concussione. E’ vero che nessun funzionario della Questura si è ancora costituito parte lesa, ma l’analisi delle telefonate, ben sette, che la sera tra il 27 e il 28 maggio si susseguirono dal cellulare di Berlusconi, in quel momento a Parigi reduce da un importante vertice internazionale, a quello del capo di Gabinetto Piero Ostuni e da questi (15 chiamate) alla funzionaria di turno Giorgia Iafrate, lasciano pochi dubbi sulla natura ansiosa della perentoria richiesta del Premier di fare in modo che Ruby, fermata dalla polizia per un’accusa di furto, venisse rilasciata al più presto dai locali della Questura, senza nemmeno venire compiutamente identificata. Pressioni che giunsero al parossismo con «la balla» (copyright dell’ex Questore Indolfi) di far passare Ruby, una marocchina, come nipote dell’allora presidente egiziano Mubarak. Circostanza che adesso viene utilizzata dalla maggioranza per sollevare, proprio questa settimana, un conflitto di attribuzione d’innanzi alla Consulta, ritenendo la competenza non della Procura ma del Tribunale dei Ministri in quanto, secondo il relatore onorevole Luca Paniz, Berlusconi telefonando alla Questura di Milano per liberare Ruby agì proprio nelle sue funzioni di Primo Ministro per evitare un incidente diplomatico internazionale, convinto davvero che Ruby fosse nipote di Mubarak. E non, come invece è convinta la Procura, per far rilasciare una ragazzina che avrebbe potuto metterlo nei guai.