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 2011  aprile 04 Lunedì calendario

SCELTA DI ARTICOLI SUGLI IMMIGRATI TUTTI TRATTI DAL CORRIERE DELLA SERA PERIODO 30 MARZO - 4 APRILE


CdS 4/4
ACCORDO POLITICO
ROMA — Quota fissa giornaliera di persone da rimpatriare, elenco dei mezzi aerei e navali da utilizzare, programma di controllo delle coste con pattugliamenti congiunti: eccolo l’accordo che il governo italiano chiederà alla Tunisia di sottoscrivere. Ma quella del premier Silvio Berlusconi appare una missione difficile da realizzare. Perché le autorità locali hanno già fatto sapere di non essere disponibili alla riammissione di chi è approdato nel nostro Paese. E perché sembra davvero difficile che possa bastare qualche ora di colloquio— per di più con un esecutivo provvisorio che scadrà a luglio e che viene modificato ogni settimana— per siglare un patto simile a quello con la Libia, che necessitò di un negoziato di oltre un anno. Soprattutto tenendo conto che dieci giorni fa, quando i ministri Franco Frattini e Roberto Maroni volarono a Tunisi con lo stesso obiettivo, fu spiegato come la presenza di poliziotti stranieri a bordo delle motovedette veniva considerata un’ingerenza non tollerabile. «Sono pessimista» , ripete Maroni ai suoi collaboratori. E già pensa al piano alternativo, pressato dai vertici della Lega che continuano a chiedere «un segnale forte per risolvere l’emergenza» . Non a caso per questa sera è già stata fissata una riunione con i vertici del Carroccio dove è presumibile che si tornerà a parlare di quello che Umberto Bossi, con i toni forti a lui ormai usuali, ha già sollecitato: i rimpatri forzosi. Ponte aereo e navi schierate La nota diramata due giorni fa dal ministero degli Esteri tunisino per ribadire che «nessun impegno è stato preso il 25 marzo scorso con l’Italia» , fornisce l’immagine chiara del clima che si respira in queste ore. E dunque Maroni detta le condizioni: «Potremo dire di aver siglato un accordo soltanto se ogni dettaglio sarà messo nero su bianco. Vuol dire che ci deve essere comunicato quante persone possiamo mandare ogni giorno, quanti voli possiamo programmare per il ponte aereo, a quante navi sarà consentito attraccare nei porti locali» . Non solo. «La consegna delle motovedette, delle jeep e delle apparecchiature radar che ci sono state richieste — aggiunge il ministro — potrà avvenire soltanto quando avremo il piano dei controlli predisposti sulle coste, il numero di uomini impiegati e l’accettazione di una nostra presenza, sia pur senza compiti operativi» . È esattamente il modello del trattato applicato con la Libia. Un bilaterale che in cambio prevedeva la consegna da parte dell’Italia di svariati miliardi per il risarcimento dei danni coloniali e la costruzione di un’autostrada che attraversasse il Paese. Questa volta sul piatto della bilancia ci sono invece 300 milioni di aiuti (oltre a 100 milioni di cui aveva parlato personalmente Berlusconi), una decina di motovedette e una cinquantina di pick up, oltre ai pezzi di ricambio per la manutenzione dei mezzi. Un’offerta che viene comunque giudicata esigua dalla Tunisia perché, come hanno fatto sapere fonti diplomatiche locali, «non risolve il problema dell’accoglienza di chi torna in patria, ma ha perso tutto e dunque il rischio che scoppino proteste oppure vere e proprie rivolte» . La mediazione del Vaticano — per cercare una via d’uscita Maroni farà pesare sul negoziato anche la disponibilità espressa in questi giorni dalla Santa Sede. Dopo l’offerta di 2.500 posti nelle strutture della Caritas in Italia da parte del segretario della Cei monsignor Mariano Crociata, il ministro ha avuto contatti con monsignor Domenico Mogavero, il vescovo di Mazara del Vallo che si sarebbe mostrato disponibile a intercedere presso le autorità ecclesiastiche in Tunisia affinché mettano a disposizione una sede per l’accoglienza di chi rientra. Un argomento in più da spendere durante i colloqui di oggi. E se le resistenze non dovessero essere superate, il Viminale è già pronto a procedere con il piano alternativo: rilascio del permesso temporaneo di protezione umanitaria per tutti coloro che sono in Italia e che sono già stati identificati dopo l’approdo a Lampedusa. È la misura che la Lega continua però ad osteggiare. Nelle riunioni ristrette, anche quelle con Berlusconi, i vertici del Carroccio continuano a invocare i rimpatri forzosi pur sapendo che i tecnici del Viminale hanno già fatto sapere di non ritenere praticabile questa soluzione. Lo spiega bene Claudio Giardullo, segretario del sindacato Silp Cgil che sottolinea come «la riammissione necessita dell’accordo del Paese d’origine perché le alternative sono due: o si abbandonano in acque internazionali i tunisini a bordo delle navi, oppure si deve violare la territorialità di uno Stato estero. E poiché le scorte a bordo sarebbero indispensabili, bisogna evidenziare come questo tipo di missione non rientri nelle regole di ingaggio della polizia e delle altre forze dell’ordine» . In linea il segretario dell’Associazione Funzionari di polizia Enzo Letizia che ironicamente, ma non troppo, si chiede se «l’Italia ha davvero deciso di dichiarare guerra alla Tunisia» e poi ricorda come «la vera soluzione passa da un intervento serio dell’Unione Europea e da una mediazione con i Paesi del Maghreb per fare fronte a un’emergenza umanitaria che nessuno può più negare» . E proprio di questo parla il segretario del Sap Nicola Tanzi quando torna a chiedere «il potenziamento di uomini e mezzi a Lampedusa e nelle altre aree dove si fronteggia la crisi» . Fiorenza Sarzanini

4/4
TUNISIA
DAL NOSTRO INVIATO TUNISI— «La Tunisia è pronta a riprendersi i suoi figli, ma non possiamo accettare operazioni spettacolari, con navi cariche come se trasportassero bestiame» . Moez Sinaoui è uno dei consiglieri più stretti del primo ministro Béji Caidi Essebsi, con delega alla supervisione della comunicazione. Farà parte anche lui della delegazione governativa che oggi riceverà a Tunisi il premier Silvio Berlusconi, accompagnato dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni e dalla sottosegretaria agli Esteri, Stefania Craxi. Sinaoui, ha lavorato fino a tarda sera, cercando, soprattutto, di limitare l’impatto della nota diffusa sabato sera dai suoi colleghi del ministero degli Esteri. Il comunicato sosteneva che il 25 marzo scorso «non sono state firmate nuove intese sull’immigrazione con il governo italiano» , mentre Roma sostiene il contrario. Quante possibilità ci sono di arrivare a un accordo sull’immigrazione clandestina? «Sono convinto che si troverà una soluzione: abbiamo eccellenti rapporti con l’Italia. Relazioni antiche e nuovi legami. Berlusconi ama il nostro Paese, come pure Stefania Craxi...» . D’accordo, ma il governo italiano vi chiede di tenere fede ai patti e di rimpatriare gli immigrati. «Stiamo vivendo una situazione eccezionale. La Tunisia non fa apposta a mandare tutti questi giovani a Lampedusa. Siamo consapevoli del problema e siamo pronti a trovare una soluzione responsabile» . Accetterete i rimpatri? «Ma certo. Però bisogna capire che qui c’è stata una rivoluzione e che, subito dopo, abbiamo dovuto gestire anche la massa di profughi in arrivo dalla Libia. Comunque siamo pronti a fare uno sforzo da parte nostra: non abbandoneremo certo i nostri figli. Troviamo un compromesso: l’Italia ci mandi gli aiuti per vigilare le coste e ci dia una mano per rilanciare la nostra economia, in modo da trattenere i giovani in Tunisia. Se siamo d’accordo, lo ripeto, che la situazione è eccezionale, i due governi devono dare, entrambi, una risposta eccezionale» . Quindi s i e t e pronti a rivedere i vincoli degli accordi bilaterali sulla riammissione dei clandestini? Al momento sono consentiti non più di 4-5 rimpatri al giorno via aerea e una dozzina via mare. «Aspettiamo l’incontro con Berlusconi. Una cosa, però, si può dire subito. La soluzione non sono le operazioni spettacolari, con bastimenti stracarichi di persone. Qui non si tratta di trasportare bestiame. Si possono, invece, prevedere dei piccoli gruppi, con rientri settimanali e, con un po’ di comprensione reciproca, l’emergenza può rientrare» . È sicuro che questa sia una misura sufficiente? «Sono sicuro che questa sia una crisi transitoria. Come pure sono certo che la Tunisia guarda all’Italia come a un partner strategico cui non vuole rinunciare. Tutto possiamo fare, ma non cambiare la geografia» . Giuseppe Sarcina

4/4
68 MORTI IN MARE
LAMPEDUSA— Con la bonaccia riprendono in modo massiccio i trasferimenti, ma Lampedusa non si svuota. Per tanti che partono ce ne sono altri che arrivano e spesso muoiono in mare. L’ultima tragedia a poche miglia dalle coste libiche con un bilancio pesantissimo: 68 morti. Potrebbe trattarsi di parte degli immigrati diretti a Lampedusa a bordo di due barconi, con 335 e 68 persone, e dei quali si è persa ogni traccia. Secondo Joseph Cassar, responsabile del servizio dei gesuiti per i rifugiati a Malta, i corpi sarebbero stati recuperati giovedì scorso e sepolti lo stesso giorno senza che venissero identificati. Della tragedia hanno parlato alcuni profughi eritrei e la notizia è stata confermata anche da don Mosè Zerai, presidente dell’agenzia Habesha, che ha lanciato l’appello per non fermare le ricerche dei due gruppi di migranti dei quali si sono perse le tracce. Senza l’identificazione dei cadaveri non ci sono comunque elementi certi per poter mettere in relazione quest’ultima tragedia con le sorti dei due barconi. Nonostante i morti un esercito di disperati continua a partire per Lampedusa. Ieri sono approdati otto barconi e altri sono in navigazione per un totale di almeno 700 immigrati che si aggiungono a quelli non ancora trasferiti. Sbarcano in un’isola in cui si consumano gli ultimi scampoli di disperazione. Dopo le rivolte al porto, ieri è stato il turno dei minori ospiti della Casa della Fraternità. È bastato poco: hanno visto partire solo alcuni di loro ed hanno temuto di restare sull’isola. Per protesta si sono procurati ferite alle braccia e al petto, hanno spaccato vetri e dato fuoco ai materassi. «Una protesta sconsiderata — dice il questore Di Fazio— le procedure prevedono che i minori debbano essere protetti durante il trasferimento e non possono andare con gli adulti. Un primo gruppo è partito col traghetto e domani (oggi ndr) toccherà agli altri» . Massicci i trasferimenti in nave degli adulti: 1.730 sull’Excelsior, 300 sulla Superba, 1.100 sulla Clodia. Tanto che a fine giornata simbolicamente il questore riconsegna la città al sindaco De Rubeis che al telefono ringrazia Berlusconi «per aver rispettato la promessa» . Ma per effetto dei nuovi arrivi e di una parte di quelli che già c’erano, l’isola non si è svuotata. Ieri per veder partire i migranti a cala Pisana c’erano anche famiglie con bambini al seguito. Tutti disincantati: «Mentre questi partono altri ne arrivano, non finirà mai» . Lo conferma il fotografo Giulio Piscitelli sceso da uno degli ultimi barconi. «Dalla Tunisia — dice — ne stanno per partire almeno 15 mila» . Il grosso degli immigrati rimasti a Lampedusa ha trovato posto nel centro di accoglienza e le strade non assomigliano più a quelle di Gerba. Eppure qualche tunisino c’è ancora a godersi le ultime ore in un’isola che hanno odiato e amato allo stesso tempo. Alfio Sciacca © RIPRODUZIONE RISERVATA

4/4 CASINO A BORDO
DAL NOSTRO INVIATO LAMPEDUSA— Non se l’aspettavano i 1.600 tunisini partiti ieri sera con la nave Excelsior (foto) di trovare i divani delle sale bar squarciati a coltellate, come le poltrone reclinabili della zona notte e i materassi di cabine devastate, vetri rotti, porte sfondate, portarotoli e phon divelti. Un campo di battaglia su questa meraviglia del mare costruita nel ’ 99 con arredi e servizi pari a quelli delle navi da crociera. «Ecco l’effetto del primo viaggio effettuato pochi giorni fa verso Taranto. Un disastro. Con risse continue fra i tunisini, anche per la coda ai quattro punti ristoro. Comprendo le ragioni dell’esodo, rispettiamo le loro motivazioni, ma ci stiamo leccando ancora le ferite» , confida Pasquale Mendoza, comandate superiore di lungo corso, 44 anni, napoletano trapiantato in Toscana, un po’ teso poco prima di salpare, mentre i nuovi ospiti entrano dopo accurate perquisizioni. Non si allenta la preoccupazione per questa seconda traversata? «Direi che l’inquietudine aumenta anche se stavolta, al posto di una decina di agenti di polizia, ci hanno dato 200 uomini delle forze dell’ordine, 1 a 8. Aumenta perché sono più esasperati, diffidenti per le informazioni ricevute qui e per quelle che arrivano loro via cellulare dai parenti che ascoltano i progetti del governo sui rimpatri forzati» . Temono che lei li porti in Tunisia? «Alcuni viaggiano con il Gps per vedere dove si va. Così, l’equipaggio deve stare in guardia per prevenire. Seguendo il lavoro di alcuni mediatori culturali che parlano arabo. Ma è dura. Fra tanti disperati in cerca di una vita migliore, non mancano violenti, arroganti e prepotenti, pronti anche a picchiare i loro connazionali» . Quali i danni peggiori? «Nessuno che riguardi la sicurezza sulla nave, per fortuna. Ma questo è un gioiello con 429 cabine, ristorante à la carte, bar, negozi, un cinema, la piscina con lido bar, idromassaggio, sala giochi e adesso bisognerà ricostruire quasi tutto. Hanno perfino scardinato due grandi televisori nelle sale bar lanciandoli in mare» . È accaduto solo sulla Excelsior? «È accaduto di peggio sulla nave "Catania"salpata qualche giorno fa verso Taranto con 5 poliziotti e un mediatore culturale. Anche lì risse e assalti continui. C’era il rischio di soccombere sovrastati dalla violenza. Con amara ironia, potrei pensare che vogliono portarsi un souvenir a casa. Ma sembrano saccheggi» . Vandalismo che scatta per quali scintille? «Diciamo che sono ingovernabili, che i caporioni si impongono su una massa pronta a seguirli anche in azioni prive di una ratio. Tutti presi da una forza distruttiva che fa terrore. Impossibile per i miei uomini fronteggiarli. Ecco perché ho chiesto il rafforzamento della sicurezza e imbarchiamo 200 poliziotti e carabinieri» . Squilla il telefonino del comandante. È la moglie che chiama dalla Toscana e lui, rassicurante: «Tutto tranquillo cara, nessun problema, lo sai che i giornali esagerano...» . Felice Cavallaro


¾
A tarda sera l’agenzia di stampa tunisina, la Tap, ha diffuso una nota del ministero degli Esteri. Linguaggio poco diplomatico: «Nessun accordo sull’immigrazione è stato firmato dalla Tunisia lo scorso 25 marzo»

ROMA— L’Italia è terra di migranti. Abbiamo «il dovere di ricordarcene» . In una giornata ad altissima tensione, con i clandestini in fuga dalle tendopoli e con la Tunisia che rimarca l’assenza di un accordo sui rimpatri, il premier Silvio Berlusconi richiama gli italiani al dovere di «ospitalità» . E, alla vigilia di una missione a Tunisi che si fa di ora in ora più difficile, Berlusconi cerca di spargere ottimismo. Mentre la Lega ribadisce la linea oltranzista, sintetizzata da Umberto Bossi nel fora di ball: «Se qualcuno la pensa diversamente, ospiti i clandestini a casa sua» , dichiara il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli. «Il nostro dovere è difendere il nostro territorio, difendere i nostri posti di lavoro, garantire la sicurezza dei cittadini e l’ordine pubblico. L’unica soluzione è quella che ha sintetizzato Bossi: "fora di ball". E questo lo pensa non soltanto la Lega ma tutti i cittadini» . Berlusconi punta tutto su Lampedusa. Sebbene le 60 ore promesse per liberarla siano scadute. «Si è messo di mezzo il mare con il vento che ha soffiato per due giorni a 40 km all’ora» ma «domani sera (stasera, ndr)» sarà di nuovo dei cittadini. «E quando arriveranno altri clandestini dal molo passeranno direttamente a una nave ormeggiata che li porterà nei Cie nelle varie regioni» . Dei 21 mila nordafricani arrivati, dice, 2 mila sono profughi, 19 mila «migranti in cerca di lavoro» . «Se restassero 9 mila nuovi cittadini basterebbe distribuirne uno per ciascun Comune» e trovargli lavoro non sarebbe un problema. Gli altri? «Alcuni si punta a rimpatriarli» , gli altri ad avviarli verso altri Paesi, grazie alla «concessione del permesso di soggiorno temporaneo» . È questo il punto cruciale. La «sanatoria» dei clandestini per motivi umanitari auspicata da Mantovano, ma osteggiata dalla Lega che con Davide Boni, rassicura i padani: «al Nord non verranno approntati nuovi Cie» . Non resta che sperare in un accordo con Tunisi, sul quale Maroni aveva puntato molto.

DAL NOSTRO INVIATO LAMPEDUSA— Prima un grido sinistro echeggiato in francese. «Al fuoco per partire» . Mezzo litro di benzina per incendiare una roulotte sul molo e infiammare l’isola con cortei, incursioni in case private, l’assalto a un supermercato. Poi la pace armata di tremila tunisini diffidenti e la scritta per strada «W Lampadouza» . Ecco l’ennesima giornata da cani segnata da uno sfibrante rinvio delle partenze annunciate. Con quattro traghetti da crociera che arrivano in rada, finora bloccati dal maestrale. E con la nave militare San Marco che, dopo quattro giorni, ieri ha sfornato le sue scialuppe da sbarco per prelevare 50 tunisini a viaggio, accoglierli nel pancione ferroso e trasportarli nella notte verso Napoli, diretti al campo di Santa Maria Capua Vetere. Molti non capiscono perché almeno questa operazione con i mezzi militari non sia stata avviata prima, visto che venerdì mattina le condizioni del mare nella baia erano buone. Di qui tutti i sospetti lievitati nell’isola anche fra assessori malpensanti come Pietro Busetta convinti che la macchina della «liberazione» , messa in moto a parole dal presidente del Consiglio nel suo blitz a Lampedusa, sia stata ostacolata in realtà dalle difficoltà di piazzare gli immigrati nei centri e nelle tendopoli che nessuno vuole nel giardino di casa propria. Dubbi che con il tam tam mediatico, dopo avere fatto il giro di tv e siti Internet, rimbalzano sui telefonini di questa massa ancora appollaiata sotto la collina della vergogna. Quanto basta per scatenare il terrore che il tempo passi perché si stanno preparando i «rimpatri forzati» . Da una parte, ragazzi sporchi, sfiniti, rabbiosi che ripetono le parole di Maroni e Berlusconi come se le avessero sentite con le loro orecchie. Dall’altra, si sgolano i funzionari di polizia, aiutati dai mediatori del Cies, dodici arabi che fanno da interpreti. «Non si parte per colpa del vento. Le navi non possono attraccare» . Replica immediata: «Allora perché la San Marco non manda qui le sue scialuppe?» . È il quesito lanciato come una sfida. È il momento peggiore. Tutto precipita. Tre capipopolo incitano la massa. E ci vuole la determinazione del questore di Agrigento Girolamo Di Fazio e del suo vice Ferdinando Guarino per evitare il peggio. Riescono a tirarli fuori quei tre, a dialogare, a farli ragionare indicando il mare cattivo. A un altro gruppo parla il vicequestore Giancarlo Conticchio ed è lui che alla fine, quando dalla San Marco arriva il via libera, sarà sballottolato dalla folla esultante per ringraziarlo al grido di «Sicilia, Sicilia» . È una gioia schizofrenica. La festa dopo il fuoco. E poi ancora proteste. Quando arriva il furgone del cibo e la marea della rabbia monta di nuovo perché «il riso fa puzza» . Non riesce a convincerli del contrario Cono Galipò, l’amministratore delegato di «Lampedusa accoglienza» : «È odore di tonno, non puzza» . Sono passati troppi giorni dall’inizio dell’emergenza per frenare la protesta riproposta con la minaccia dello sciopero della fame finché i primi 500 non si imbarcano sulla San Marco. Ma si litiga anche per la priorità. Volano calci e pugni. Una decina di tunisini picchiati dai loro connazionali. Altro momento infuocato. Gli agenti con caschi e manganelli pronti. Forse bisognava affrontarla diversamente questa crisi, come si affanna a ripetere il governatore Raffaele Lombardo parlando di «incredibili disfunzioni» . In effetti, da una settimana chiede di spostare nell’isola una cucina da campo per mille pasti e gli dicono no. Replica il commissario straordinario, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, negando ogni disfunzione. Ma restano e si moltiplicano i problemi. Come quelli della sicurezza. Ne sa qualcosa l’assessore Busetta per l’incursione di alcuni tunisini nella sua casa a due passi dalla collina della vergogna: «Avranno dormito al coperto e rubato qualcosa, pazienza. Io non criminalizzo questi poveri disperati, ma è sotto gli occhi di tutti la mancata gestione di una situazione portata all’esasperazione da un governo che ha caricato tutto su Lampedusa. Era inevitabile che accadesse. Speriamo che quando si faranno le compensazioni non si facciano nei confronti di chi la situazione l’ha seguita in televisione» . Materia rovente di cui si discute dal giorno della visita di Berlusconi che ha promesso il rimborso danni. E tanti vorrebbero agganciarsi al treno che passa, visto che ci sono disdette per le vacanze pasquali anche a Pantelleria o nelle lontane Eolie.

Il 30 marzo Berlusconi arriva a Lampedusa, assediata da 6.200 immigrati, e promette: «Entro 48-60 ore l’isola sarà abitata solo dai lampedusani, diventerà zona franca, apriremo un casinò e sarà come Portofino»

Secondo il ministero dell’Interno di Parigi, il rinvio degli immigrati tunisini verso l’Italia, attuato dalla Francia in questi giorni, è «perfettamente conforme al diritto comunitario e, in particolare, al trattato di Schengen»

Il veto delle Regioni (anche di centrodestra) tiene al momento in scacco il governo impegnato nella soluzione dell’emergenza dei profughi approdati a Lampedusa. Occorre trovare una sistemazione a 22mila persone ma la proposta avanzata da Berlusconi e Maroni (allestimento di tendopoli o centri di prima accoglienza in tutte le regioni, con la sola eccezione dell’Abruzzo) è stata bocciata dai governatori nell’incontro avvenuto venerdì a Roma. Se ne tornerà a discutere dopodomani, quando il governo presenterà una nuova proposta. Nel frattempo mentre a Manduria, unica struttura attualmente attiva, continua la grande fuga dei tunisini, le Regioni, con la sola eccezione della Toscana, hanno bocciato tutte le località indicate da Maroni per allestire i centri di accoglienza. Berlusconi aveva annunciato dalla prossima settimana il rimpatrio di 100 clandestini al giorno e spera prima di tutto di ottenere dal governo di Tunisi lo stop agli sbarchi in Sicilia e coltiva una sorta di «piano B» : la concessione di permessi di soggiorno temporanei a chi è arrivato a Lampedusa nel tentativo di agevolare il deflusso degli immigrati verso la Francia e la Germania. (testi a cura di Claudio Del Frate)

La caserma «Serini» di Montichiari (Brescia, foto) e una struttura appartenente al Demanio militare a Lonate Pozzolo (Varese): in Lombardia sono questi i siti «indiziati» che potrebbero accogliere gli stranieri trasferiti da Lampedusa. Il primo al momento si fa preferire al secondo ma a Brescia quanto a Varese si dicono pronti a fare le barricate nel caso in cui le due aree dovessero essere attrezzate.

Disco rosso all’arrivo in Veneto di stranieri provenienti da Lampedusa da parte del governatore leghista Luca Zaia: «I 22 mila tunisini sbarcati in Italia devono avere un’unica destinazione: essere reimbarcati e riportati nel loro Paese» . Il presidente della Regione insiste sulla distinzione tra profughi di guerra e immigrati clandestini, dicendosi pronto ad accogliere i primi, in base ai trattati internazionali ma ribadendo che tale status non spetta a chi è arrivato dalla Tunisia. «Siamo a fianco dell’operato di Maroni e speriamo che esso si traduca nel riempire le navi e riportare i clandestini al loro Paese» . Ma la linea tracciata da Zaia rischia di rivelarsi insostenibile: proprio il suo collega di partito Maroni, come è ormai noto, ha imposto che tutte le Regioni debbano accogliere almeno temporaneamente una «quota» di tunisini. Dove? Per quanto riguarda il Veneto è circolata l’ipotesi di indirizzare circa 200 migranti verso una di queste due destinazioni: l’ex caserma Romagnoli (foto) e l’ex base militare di Bagnoli, entrambe a Padova. Anche in questo caso, tuttavia, tanto Zaia quanto il sindaco della città Flavio Zanonato (Pd) hanno però smentito che queste due soluzioni siano percorribili. Al momento altre soluzioni concrete all’orizzonte non se ne intravedono.

In Toscana è previsto tra oggi e i primi giorni della settimana l’arrivo dei primi 300 migranti, sui circa 500 assegnati dal governo alla Regione: una quarantina di loro approderà a Firenze e verrà ospitata in strutture della Caritas e della diocesi mentre ad altri 30 è già stata destinata Villa Morazzana (foto) a Livorno; per 200 tunisini sono in fase di allestimento punti di accoglienza a Massa Marittima e Gerfalco (Grosseto); le altre destinazioni devono ancora essere stabilite. Nonostante questo la Toscana è la regione che al momento appare più avanti nel risolvere l’emergenza: la strategia scelta appare quella di distribuire il contingente degli stranieri in piccoli gruppi, anziché allestire tendopoli o concentrare tutti in un unico luogo (inizialmente si era deciso di concentrare gli extracomunitari nei pressi di Pisa). La distribuzione sul territorio è frutto di un accordo raggiunto a Roma tra il governo e il presidente della Regione Enrico Rossi. «Alla luce dei fatti che stanno accadendo nel Mediterraneo — ha dichiarato il segretario toscano del Pd Andrea Manciulli — crediamo che questo possa rappresentare per il centrosinistra un contributo anche a livello nazionale su un fenomeno, come quello dell’immigrazione, che è sempre più all’ordine del giorno dell’agenda politica, seppur nel totale sbandamento del governo»

Torino Arena Rock

2/4
Intervista Fillon

MANDURIA
DAL NOSTRO INVIATO MANDURIA (Taranto) — Vista da contrada Pajone, l’Italia è un Paese capace ogni volta di stupire. Tra campi di margherite e uliveti i migranti tunisini corrono verso un’ipotesi di libertà, sorridono increduli, fanno con le dita il segno della vittoria, «merci, merci» urlano in francese e intanto sembra che volino sull’erba verde. Nessuno che li rincorre, nessuno che accenna a un tentativo di fermare questi gruppi che si allontanano, non certo alla spicciolata. Almeno venti, trenta immigrati per volta, ogni due minuti. Hanno viaggiato sul traghetto da Lampedusa, sono stati sbarcati al porto di Taranto e poi trasportati sui pullman al centro di Manduria, rassegnati a una lunga permanenza. Invece scoprono subito che volere è potere. Basta sollevare la rete che recinta la tendopoli, il resto è questione di gambe, polmoni, i primi trecento metri a perdifiato, trasportando tra le braccia i sacchetti di plastica con dentro i loro averi, per poi accorgersi che dietro non c’è anima viva a inseguirli. Si può anche rallentare, respirare. Magari camminare tranquilli fino a Oria, dove c’è la stazione più vicina, sedersi ai tavolini del caffè Decò di piazza Lama per un cappuccino all’aria aperta, godersi il sole, incuranti delle camionette della Polizia che passano e fanno finta di non vedere. L’unico inciampo di questo esodo indisturbato è proprio alla stazione. Dove non riesce Maroni, ci pensano i sindacati degli autoferrotranvieri. Fino alle 21 non passano i treni. Sui binari, il deserto. L’altoparlante gracchia solo per ribadire l’elenco dei treni cancellati. Sul piazzale della stazione di Oria, gremito come manco Roma Termini a Ferragosto, i tunisini si fanno spiegare quel che succede. «Les italiens, toujours en grève» . Italiani sempre in sciopero, ammicca Ziad, corpulento capo di una nutrita comitiva. Alza le spalle. Chiama suo fratello, bloccato a Ventimiglia. Gli dice che arriverà in ritardo. Comincia con oscuri presagi, la giornata del trasferimento di massa di 1.716 immigrati da Lampedusa. Dalla tendopoli in contrada Pajoni si levano grida e voci, proprio mentre cominciano ad arrivare i pullman dal porto di Taranto. L’ingresso all’area è sbarrato da un cordone di Polizia. Quando si presentano le delegazioni dell’ex dall’ex ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi e del presidente del consiglio regionale pugliese, Onofrio Introna, faticano a farsi spazio nella calca. Ai cancelli trovano decine di immigrati inferociti, che hanno appeso lenzuola strappate con scritte in un italiano precario, «Non per la violenza» , «Voliamo libertà» . Urlano, piangono, spingono sulle grate, prendono a calci le toilette chimiche. Qualcuno lancia un paio di sassi, altri si sono feriti lacerandosi il petto con le unghie. Tensione alle stelle. Un agente sacramenta con un finanziere. «Non lasciateci soli, anche voi dovete stare qui davanti» gli grida. Un vicequestore sussurra nell’orecchio di un Ronchi perplesso le ragioni della rivolta. «Abbiamo sospeso alcuni benefici, là dentro siamo in pochi» . Il personale scarseggia, sono tutti ai bordi del campo per accogliere i migranti appena arrivati. L’ufficio di Polizia all’interno del campo dove si raccolgono le richieste di protezione internazionale è rimasto chiuso. La colazione è stata ridotta a una tazza di latte avariato, così sostengono i tunisini, più un biscotto, non sono state distribuite le schede telefoniche. Lamentano l’impossibilità di fare la doccia, hanno due litri d’acqua al giorno per bere e lavarsi. Chiedono di uscire, come gli altri che hanno già ottenuto lo status di aspiranti profughi. Urlano «libertà, libertà» . Gli ospiti rassicurano, calmano gli animi, escono esibendo facce basite. Ronchi: «Serve un piano nazionale, non si possono creare polveriere come questa» . Nicola Fratoianni, assessore regionale: «Una struttura in palese violazione di pessime leggi sull’immigrazione» . Dai pullman continuano a scendere i reduci di Lampedusa. Pallottoliere alla mano, ci dovrebbero essere 2.700 migranti. Il rischio di una congestione da sovraffollamento si risolve attraverso queste poetiche corse nei campi. Non c’è nemmeno più bisogno di sollevare la rete. Nella cancellata c’è un varco di una decina di metri, lasciato dagli operai che stanno costruendo le fognature. Decine, centinaia di migranti cominciano a vagare per la campagna. La permanenza al campo dei nuovi arrivati è di cinque minuti al massimo. Mettono piede a terra dal pullman, si guardano in giro muovendosi tra due ali di agenti in assetto antisommossa, e partono di slancio. Un funzionario di Polizia si avvicina al gruppo dei giornalisti che assiste a questa scena surreale, campi invasi da tunisini sfreccianti. «Non possiamo dare informazioni, ma certo non ho ricevuto l’ordine di rincorrerli…» . La presenza dei media induce alla sortita due Guardie forestali a cavallo di altrettanti purosangue neri. Galoppano a grande velocità tra gli ulivi, circondano un paio di ragazzini, li inducono a tornare indietro. Uno di loro continua a scartare di lato, sembra di assistere a un balletto tra il cavaliere e la sua preda. Vince quest’ultima, che a forza di deviare ha raggiunto la carreggiata. Saluta con la mano e ricomincia a correre. Il cavaliere rientra sconfitto alla base: «Ma che volete da noi, siamo in due a sorvegliare tutta la campagna…» . Quale che sia la sua definizione giuridica, oggi la tendopoli di Manduria è una barzelletta senza alcun senso. Un centro di accoglienza per gente che è accolta solo per pochi minuti. Di fronte a questo generale liberi tutti si perde la ragion d’essere di una piccola città costruita dal nulla su sei ettari di terreno, con lavori affidati al volo a sette aziende del posto. Illuminazione, acquedotto, fogna, telefono, Internet, il tutto per la modica cifra di due milioni di euro, senza contare la gestione degli immigrati da parte del consorzio «Connecting people» , che allo Stato viene a costare altri 140mila euro a settimana, stima fatta al ribasso. Alle sei di sera, venti immigrati stufi di camminare chiedono un passaggio. Vengono presi a bordo dal pullman che li ha appena scaricati al campo. Passa qualche ora e lo scenario cambia, da surreale a blindato. Le strade tra Manduria e Oria si riempiono di camionette della Polizia, alla Tendopoli viene costruita in fretta un’altra recinzione. Più alta, più massiccia della prima. Alle 12 la stazione è presidiata da una dozzina di auto delle forze dell’ordine, chiamate a impedire l’assalto al Regionale per Roma. Quando arriva il treno, il rapporto di forze è venti tunisini per ogni poliziotto. Urla, spintoni, qualche sassaiola. Invece di andare verso la Francia, le centinaia di migranti che hanno lasciato indisturbati la base si disperdono nella campagna. Non c’è una logica, non c’è alcun senso. Marco Imarisio


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ROMA— A Manduria ora è fuga di massa. Alfredo Mantovano sulla scelta di dirottare lì migliaia di clandestini si è dimesso da sottosegretario all’Interno. Ora che fa, dice «lo avevo previsto» ? «Occorre distinguere il casus dalla causa. Il caso, bello grosso, è Manduria. Ma la causa, seria, è come è stata gestita l’emergenza» . Con improvvisazione o altro? «Sarebbe folle non riconoscere a polizia, vigili del fuoco, Croce rossa e volontariato di aver svolto in situazioni estremamente difficili un lavoro eccellente» . Manca all’elenco il ministro Maroni. Lui come lo ha svolto? «Gli sono grato di tre anni di lavoro intenso ed entusiasmante. E finora sono stato accusato, come meridionale, di eccesso di simpatia per la Lega. Ho ospitato a Lecce Calderoli a parlare di federalismo. Ma...» . Ma? «Ma credo che ci sia stato un eccesso di tasso ideologico nella linea adottata. La linea del Foera di ball. Che significa: tutti al Sud. Cosa che ritengo inaccettabile. Perché il capo dello Stato ha chiesto che, soprattutto nell’emergenza, il carico vada ripartito fra tutti. Ma anche perché da 20 anni il maggior peso lo sopportano Sicilia, Puglia e Calabria. C’è più del 60%dei posti dei centri (Cpt, Cie e Cara). Logica imporrebbe di tenerne conto» . Maroni dice che andranno anche al Nord. «Ne sono lieto, attendo i fatti. Non è uno sfottò. L’ho detto anche al presidente del Consiglio quando mi ha chiesto, e lo ringrazio, di tornare indietro» . Lei cosa chiedeva per farlo? «Giovedì mi sarebbe bastato che due delle navi che arrivavano da Lampedusa fossero andate al Nord. Fino al 17 marzo tutti parlavano di Unità d’Italia, 15 giorni dopo la questione si archivia nella gestione dell’emergenza» . Ora non tornerà più indietro? «Non registro nessun dato concreto. Non sto a gufare. Faccio in bocca al lupo al premier e al ministro che il flusso si arresti. Ma finora sono arrivati 20mila clandestini. Ed è ragionevole prevedere che continui anche dopo la firma di eventuali accordi» . Le rinfacciano di aver condiviso tutto e di essere uscito dal governo per questioni di bottega elettorale su Manduria. «Chi fa parte del governo ha il dovere di rappresentarlo. A Manduria la scorsa settimana non ero andato al bar dello sport, ma in consiglio comunale per difendere una decisione che non condividevo. E le contestazioni non ci sono state quando sono arrivati i primi 1.500 ma i successivi 2.300. Manduria era stata già toccata. Non andava fatto» . C’è chi pensa sia stato fatto apposta per farli scappare. Lei? «Non seguo questo ragionamento. Ma una maggiore ripartizione avrebbe consentito più controlli. Mi ha fatto piacere la solidarietà dei parlamentari pdl della Sicilia. Dimostra il carattere meridionale del problema posto» . Bossi ha detto che non si possono sentire tutte le anime del Pdl. «Delle anime si interessa il confessore. Ma il Sud non può essere considerato come un grande centro per immigrati. È una questione che a un partito nazionale come il Pdl non può non interessare. Ho avuto solidarietà dai circoli di Nuova Italia, dalla Lombardia alla Sicilia» . Si è aperto uno scontro con la Lega? «Con la Lega la dialettica naturale ha avuto momenti acuti. Credo sia uno di quelli» . Acuto al punto da mettere a rischio la tenuta del governo? «Il capo dello Stato ha chiesto di ripartire le responsabilità. La Lega in passato ha avuto rispetto delle sue esortazioni. Credo che ci sia da confrontarsi. Non immagino una guerra, ma un chiarimento sì» . Finché non ci sarà, la corrente di Alemanno che la sostiene farà mancare i voti ai provvedimenti della maggioranza? «Mi sembra fuori luogo parlare di voto in questo momento in cui la sicurezza dell’Italia è messa a rischio dall’arrivo di migliaia di clandestini, almeno una parte dei quali è uscita dalle carceri tunisine» . Cosa pensa della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari? «Al netto dei delinquenti, dopo i controlli, prima si fa e meglio è: sarebbe l’unico modo per portare il problema in Europa» . Non è stato fatto prima per scelta? «Diciamo che è un risvolto di quella linea del Foera di ball» . Virginia Piccolillo © RIPRODUZIONE RISERVATA


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ROMA — Butta sul tavolo la cifra di 100 milioni di euro che a partire dalla metà di aprile saranno dati alla Tunisia, sotto forma di aiuti ed equipaggiamenti alle forze di polizia impegnate a contenere i clandestini che fuggono dal Paese nordafricano in direzione delle coste italiane. Silvio Berlusconi è convinto, anzi è «ottimista» al riguardo, di riuscire a fare sì che le autorità di Tunisi — con le quali si incontrerà lunedì prossimo in una missione che si annuncia difficile anche per le minacciate contestazioni di gruppi di italiani — rispettino l’accordo «liberamente sottoscritto» e fermino quello che non esita a definire uno «tsunami umano» che potrebbe abbattersi sul nostro Paese. In pratica il governo che guida il Paese dopo la fuga del presidente Ben Ali, secondo Berlusconi, dovrebbe in cambio di questi aiuti garantire il blocco degli arrivi e riprendersi i migranti respinti dall’Italia perché ritenuti clandestini e non profughi. «È interesse della Tunisia — sostiene il premier al termine di una riunione della cabina di regia sull’immigrazione a Palazzo Chigi— fare tornare i giovani lavoratori sul suo territorio. Penso che saranno allettati dal piccolo piano Marshall che sto promuovendo anche in Europa. Un piano di aiuti per quei Paese che come la Tunisia stanno passando da certi regimi alla democrazia» . L’iniziativa del governo italiano segue altre due linee. Un pressing nei confronti dell’Europa affinché l’emergenza immigrati diventi un problema europeo. E per questo, in vista del viaggio in Tunisia, Berlusconi ha telefonato al presidente della Commissione europea José Manuel Barroso per ribadire la posizione di Roma, ricavando dallo stesso Barroso «l’impegno della Commissione a una più fattiva solidarietà verso l’Italia» . Finora infatti i capi di Stato europei, denuncia il Cavaliere, «hanno mostrato un egoismo generalizzato molto negativo» . E per piegare l’atteggiamento assai rigido della Francia che ha sigillato le proprie frontiere impedendo agli irregolari di entrare sul suo territorio, Berlusconi annuncia che è intenzione del governo italiano applicare una norma contenuta nell’articolo 20 del Testo unico sull’immigrazione. «Pensiamo — dice — di istituire centri in prossimità delle frontiere e di fronte a dichiarazioni dei migranti che intendano recarsi in altri Paesi concedere loro permessi di soggiorno temporanei affinché possano circolare liberamente per l’Europa e ricongiungersi con i propri familiari in Francia, in Germania ma anche in altre nazioni» . La concessione di permessi temporanei è il mezzo per evitare che gli irregolari restino in Italia, ma è anche un’escamotage per premere su Bruxelles finora piuttosto restia a farsi carico del problema, considerando economico lo status dei clandestini e quindi di competenza delle autorità locali e non comunitarie. La terza direttrice riguarda l’adozione di una serie di misure per spalmare su tutto il territorio nazionale gli irregolari che approdano a Lampedusa e che sono in arrivo dai Paesi del Nord Africa. Misure sulle quali — ad eccezione dell’accoglienza dei profughi — non è stata ancora raggiunta un’intesa, come è emerso dall’incontro di ieri tra Berlusconi, i ministri Roberto Maroni (Interno), Raffaele Fitto (Regioni), Ignazio La Russa (Difesa) e i rappresentanti delle autonomie locali. L’idea di approntare siti sui quali erigere tendopoli — sia pure come «soluzione assolutamente transitoria» — per raccogliere gli immigrati in attesa dei rimpatri è stata al momento accantonata. Governatori e sindaci l’hanno bocciata. «Non vogliano situazioni di ingestibilità per quanto riguarda l’emergenza umanitaria— sottolinea l’emiliano Vasco Errani a nome della Conferenza delle Regioni — e le tendopoli non sono gestibili» . Tutto rimandato a martedì, quando Berlusconi sarà tornato dalla missione in Tunisia. Lorenzo Fuccaro


ROMA — Il messaggio portato da Cecilia Malmström, al di là delle dichiarazioni ufficiali, smorza le speranze dell’Italia. Perché al termine della sua missione in Tunisia il commissario europeo agli Affari Interni parla con il ministro dell’Interno Roberto Maroni e lo esorta a non farsi illusioni sulla possibilità che il governo tunisino accetti il rimpatrio delle migliaia di persone arrivate nel nostro Paese. Un segnale che al Viminale avevano già percepito durante i contatti di queste ultime ore. Una ripresa dei controlli sulle coste nordafricane è possibile. Forse in cambio di molti soldi, mezzi navali e terrestri, apparecchiature radar si accetterà anche la riconsegna di qualche centinaio di persone. Ma nulla di più. E dunque già si pensa al piano alternativo con la soluzione che Maroni aveva sempre osteggiato ma che adesso sembra costretto a dover disporre: permesso di protezione temporanea a tutti i migranti. Le immagini dei tunisini portati a Manduria e scappati nelle campagne, pesano sulla trattativa che il governo ha avviato con le Regioni per l’allestimento delle tendopoli. Perché il timore di cittadini e amministratori locali è proprio quello di trovarsi nelle zone dove vivono gruppi di stranieri fuori controllo. E dunque l’ipotesi che prevale in queste ore è quella di concentrare i nuovi centri nelle aree messe a disposizione dalla Difesa come l’aeroporto militare di Montichiari, in provincia di Brescia dove era già stata prevista la costruzione di un Cie— il centro di identificazione ed espulsione — oppure una caserma di Padova. A Torino il prefetto ha sospeso l’allestimento della tendopoli presso l’Arena Rock, ma i lavori per la creazione del Cie erano già in fase avanzata e al Viminale non escludono di requisire la struttura. Ieri il capo della polizia Antonio Manganelli ha disposto che tutti gli stranieri in fuga fossero riportati nel centro, pur sapendo che ci sono comunque limiti giuridici perché chi manifesta la volontà di chiedere lo status di rifugiato può muoversi liberamente con l’unica limitazione di rientrare entro le 20. E sono stati proprio questi ostacoli, uniti al timore che nei prossimi giorni — quando le condizioni del mare torneranno serene — riprendano gli sbarchi, a convincere sulla necessità di mettere nel conto la possibilità di concedere la protezione umanitaria. Una misura che avrebbe come effetto anche quello di fermare i respingimenti delle autorità francesi al confine di Ventimiglia. Lì dove il prefetto Rodolfo Ronconi, responsabile della Direzione immigrazione, è volato ieri per predisporre il piano di rinforzo dei controlli con oltre 40 poliziotti. La procedura di protezione, che viene avviata con un decreto del presidente del Consiglio «in caso di afflusso massiccio di "sfollati"provenienti da Paesi non appartenenti alla Comunità europea, che non possono rientrare nel Paese d’origine a causa di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità» consente il rilascio del permesso che può essere anche rinnovato. All’interno dell’Unione Europea tutti gli Stati sono obbligati a riconoscerlo e non possono effettuare il respingimento prima dei tre mesi. Un periodo — questo è il ragionamento che si fa in queste ore al ministero dell’Interno — che darebbe respiro all’Italia concedendo tempi più lunghi per l’allestimento dei centri e agevolando chi vuole recarsi oltreconfine. Maroni ne ha parlato con il capo dello Stato Giorgio Napolitano durante l’incontro di ieri al Quirinale dove è salito per aggiornarlo della situazione, ma anche per chiedere un suo autorevole intervento nei confronti dell’Unione Europea. Una sorta di moral suasion che convinca i vertici europei a fornire aiuto e assistenza all’Italia nella gestione degli arrivi. Contatti ci sono stati anche con il Vaticano, soprattutto dopo le dichiarazioni pubbliche del segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, che ha parlato di «2.500 posti messi a disposizione nelle strutture della Caritas come un segno per dire che l’accoglienza è un nostro impegno innanzitutto per ragioni strettamente ecclesiali e per rispondere all’appello di persone che sono nel bisogno» . Ma non è escluso che la Santa Sede offra anche una struttura in Tunisia che possa accogliere chi accetta di tornare nel proprio Paese e pure di questo si discute in queste ore alla ricerca di una soluzione che possa far uscire l’Italia dall’emergenza. Fiorenza Sarzanini


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DAL NOSTRO INVIATO LAMPEDUSA — Storditi dalle promesse del Berlusconi-day, i lampedusani si svegliano nell’isola che ha la stessa faccia di queste ultime settimane d’inferno anche perché con il vento a 23 nodi le navi non attraccano e l’operazione svuotamento si blocca dopo la partenza nella notte fra mercoledì e giovedì dei primi 1700 tunisini e di altri 600 alle 11 di ieri mattina. Così, più di 3 mila migranti infuriati passano la notte al vento e al gelo perché frattanto avevano chiuso il Centro accoglienza per spalare feci e riparare le devastazioni. Contrordine solo per i 700 rimasti sette ore in banchina col vento in faccia, senza cinghie e lacci alle scarpe, già controllati per salire sulla terza nave che non è riuscita ad avvicinarsi alla piattaforma di Cala Pisana. Solo loro al Centro, al coperto, oltre donne, bambini ed eritrei distribuiti in una base e in una comunità. L’effetto è che sulla «collina della vergogna» i disperati sono aumentati, 3 mila sotto un cielo minaccioso, i più fortunati avvolti nelle coperte o sotto approssimative tende risparmiate dalle ruspe del genio militare che hanno rasato le sterpaglie tutt’intorno. Unico effetto visibile del dopo Berlusconi. Di qui il rischio rivolta che Lampedusa ha corso ieri pomeriggio con migliaia di migranti incolleriti, in corteo per le vie del centro e poi a rumoreggiare alla Stazione marittima. Due ore ad alta tensione. Due ore di inferno. Le peggiori di questa emergenza che rischiava di sfuggire di mano dopo il corteo per via Roma al grido «Sicilia Sicilia» , con i migranti: terrorizzati dalle notizie sui rimpatri forzati. «Meglio morire qui che tornare laggiù» . «Dormiamo come cani» . «Docce, docce» . Minacce di scioperi della fame e della sete si sono miscelati a slogan sinistri. Finché un funzionario di polizia in jeans e giubbotto, Corrado Empoli, prima dell’arrivo dei rinforzi con autoblindo stipate di agenti in tenuta antisommossa, ha deciso di sfidare quegli uomini determinati e carichi d’ira facendosi aiutare da un mediatore arabo, Mohamed Ebnorida. Un faccia a faccia tesissimo. Concluso con una promessa che forse Empoli sa di non potere mantenere: «Vi dico che fra due giorni partirete tutti» . E, dopo la traduzione, è partita l’ovazione per questo funzionario eroe per un giorno, alla fine da tutti chiamato «il nostro sindaco» , acclamato pure in inglese: «We trust you (Noi crediamo in te)» . Un carico di fiducia che rischia di diventare un peso massimo considerato il ritmo destinato ad annullare la previsione delle «48– 60 ore» fatta da Berlusconi. Cosciente, si è limitato a sussurrare: «Non faccio promesse. Ripeto quanto detto dal presidente del Consiglio. E io lo ripeto» . Soddisfatto che si sia evitato così il minacciato assalto a una tenda della Croce Rossa e ad alcuni locali della Stazione marittima affidati al WWF per la cura delle tartarughe. Una brutta scena conclusa con la fuga di una operatrice in lacrime fatta allontanare in ambulanza. Resta la beffa di veder galleggiare in rada due navi e un traghetto, oltre la San Marco, inutilizzata mercoledì pur con mare calmo. Tutto rallentato anche per le identificazioni. Il personale scarseggia. E litiga. Come è accaduto ieri in aeroporto. Pesanti scontri verbali fra gruppi di agenti di polizia e Guardia di finanza per chi, al cambio di guardia, doveva imbarcarsi su un unico e conteso volo. Prova che davvero tutti vogliono andarsene. Felice Cavallaro


DA TUNISI
DAL NOSTRO INVIATO ZARZIS (Tunisia)— Un puntino rosso lampeggia all’orizzonte. «Sono militari» . Mohamed Ben Issa parla lentamente, come lento è l’avanzare del suo battello da pesca. Ma il tono non ammette repliche. Frequenta da quando aveva 7 anni (e oggi ne ha 45) il bacino delimitato a nord dal faro di Jerba e a Sud dal porto di Zarzis. È notte fonda in mare aperto, l’ultima del mese di marzo. Dal banchetto di poppa si può osservare la rotta concordata con il pescatore: 45 gradi direzione nord-ovest, lungo il corridoio percorso nell’ultimo mese da almeno 150 barche partite dalla Tunisia meridionale. Destinazione: Lampedusa. Due terzi non ce la fanno neanche ad avvistare «il confetti» italiano, come dicono qui. Rientrano a stento, oppure affondano, come è successo ancora lunedì scorso sulla verticale dell’isola di Kerkennah, al centro delle coste tunisine. La burrasca ha fatto a pezzi una bagnarola venduta da un vero criminale a venti ragazzi, che hanno tentato da soli la traversata. Dodici morti, due giovani salvati dai soccorsi, gli altri considerati «dispersi» , secondo la nota del ministero dell’interno di Tunisi diffusa solo ieri. Man mano che il peschereccio procede, la luce intermittente si allontana sempre più sul lato destro (o di tribordo, come spiega «capitan Mohamed» ). È facile verificare che l’unità della Marina ha altro per la testa. Che cosa? Uno sguardo alla carta nautica e tutto diventa chiaro: la fregata militare è schierata a protezione della piattaforma petrolifera della Sitep (l’industria di Stato), con gli armamenti puntati verso la vicinissima frontiera libica. Anche il presidio a terra, lungo il braccio del porto, è ridotto ai minimi termini. A Zarzis diverse testimonianze (raccolte in luoghi e tempi diversi) riferiscono che alle 6 di lunedì mattina un barcone con almeno 200 persone a bordo si è staccato dalla banchina, ha cercato di prendere il largo, ma è tornato subito indietro. A quel punto è intervenuta un’intera «squadra» di trafficanti, armati con machete e lunghi bastoni, che hanno provveduto, rapidi ed efficienti, (assistiti anche da un persuasivo pitbull), al ricollocamento dei migranti su un’altra imbarcazione. Tutto sotto gli occhi della sparuta pattuglia di militari. Zarzis, mare aperto, o quasi. Lo stesso governo riconosce «le difficoltà» , come ha dichiarato ieri il direttore generale del ministero degli Esteri Hichem Bayoudh al Corriere della Sera. Più complicato, invece, avere il quadro ufficiale delle forze in campo. Per mettere insieme qualche cifra è necessario un giro di contatti informali tra l’ufficio della Dogana di Zarzis, la capitaneria di Porto e il comando della Guardia nazionale di Jerba, oltre al comando di zona a Medenine. Dunque: i 1.300 chilometri di costa tunisine sono vigilate da due anelli. Il primo è affidato a cinque navi della Marina militare, con il compito principale di sorvegliare i confini (a Sud in chiave anti Gheddafi). Le acque più vicine alla costa sono solcate dalle motovedette della dogana e della Guardia nazionale. Nelle ultime settimane quel poco che è sopravvissuto dei servizi segreti hanno individuato quattro aree «a rischio partenze» . Scendendo da Nord: Nabeul (a pochi chilometri da Hammamet), Sfax (e l’isola di Kerhennah); Gabes e infine Zarzis. Vale forse la pena spendere ancora qualche numero sul tratto meridionale, quello più battuto dai trafficanti, i 440 chilometri di costa che vanno da Sfax a Zarzis. Qui la Guardia nazionale schiera 5 pattugliatori, cui danno il cambio (con turni di ventiquattr’ore) tre o quattro corvette della dogana. «Ma per fare un lavoro come si deve, ce ne vorrebbero, minimo minimo 12-15» , confida un graduato della Guardia nazionale, aggiungendo che «senza il grande impegno delle forze tunisine, gli immigrati sarebbero centinaia di migliaia» . Difficile verificare se sia davvero così, navigando per una sola notte nel mare di Zarzis, dove gli unici ostacoli reali sono le reti dei pescatori disposte su tre linee: prima le sardine; poi i calamari e infine i tonni. Giuseppe Sarcinaß


Viaggio della catania
ROMA — Era destinata alla Tunisia una delle due navi salpata ieri da Lampedusa con a bordo circa cinquecento migranti. Non a caso sulla «Catania» della flotta Grimaldi insieme agli stranieri sono stati imbarcati circa trecento poliziotti. Un contingente così numeroso nel timore che, una volta scoperta la rotta verso il Paese d’origine, esplodessero le proteste o addirittura una rivolta. Allarme rientrato quando si è scoperto che le autorità tunisine non avevano alcuna intenzione di accettare i rimpatri e si è stati costretti a puntare verso Taranto. È stato questo a far esplodere l’ira del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che invece aveva ricevuto assicurazioni da Tarak Ben Ammar — da lui scelto come negoziatore — sul buon esito della trattativa. L’eventuale via libera di Tunisi poteva rappresentare un segnale politico da spendere nella trattativa con Regioni ed enti locali che dovranno accogliere i migranti. L’ennesimo rifiuto rimette tutto in discussione e questa mattina si torna a trattare con governatori e sindaci. Tra i luoghi individuati dal ministro dell’Interno Roberto Maroni per la sistemazione di chi è senza permesso di soggiorno ci sono l’aeroporto militare di Montichiari in provincia di Brescia dove doveva già sorgere un Cie; una caserma di Padova; un sito a Torino, indicato dal sindaco dal sindaco Sergio Chiamparino. Ma la partita è ancora tutta da giocare. Salpa verso le 12 di ieri la «Catania» . Dalla sera precedente circolano voci sulla possibilità che debba arrivare in acque internazionali e puntare verso il Nordafrica, ma tutti smentiscono. Il negoziato è in corso, si teme che qualsiasi indiscrezione possa farlo sfumare. Il dispositivo è comunque predisposto per la «riconsegna» degli stranieri. E l’ordine è quello di prendere tempo nella speranza che — mentre si è già in navigazione— la situazione si sblocchi. A terra si stanno allestendo i centri per l’accoglienza, strutture provvisorie per ospitare almeno 10.000 persone e lì procedere all’identificazione e poi alle espulsioni. Ma il «nulla osta» non arriva e non bastano le promesse di spedire subito mezzi, apparecchiature e finanziamenti in Tunisia, né gli ultimatum che lo stesso Berlusconi rilancia in mattinata. Al termine del consiglio dei ministri il ministro Roberto Maroni prende atto del rifiuto e convoca — così come accade ormai ogni giorno— l’Unità di crisi del Viminale che gestisce i piani per la sistemazione dei migranti senza permesso approdati a Lampedusa e che devono essere ora smistati in tutta Italia. Intanto la «Catania» vira verso Taranto dove approderà questa mattina per il trasferimento dei migranti a Manduria. Sono dieci i centri che si è deciso di allestire entro le prossime settimane, quattro dovrebbero essere pronti entro domenica. Oltre alla stessa Manduria, che può ospitare fino a 4.000 persone e a Ventimiglia, ci sono Caltanissetta con 500 posti, Santa Maria Capua Vetere con 800 posti, Pisa e Potenza con altri 500 ciascuno. Potrebbe invece essere depennata dalla lista già pronta la struttura prevista a Trapani perché nel sito scelto — questo sostiene il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo — ci sono rifiuti tossici. L’incontro di Maroni con le Regioni si giocherà questa mattina. I primi cinque nuovi luoghi individuati dal Viminale nella lista messa a disposizione della Difesa sono in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Lazio e Marche ma tutti dovranno contribuire ad eccezione dell’Abruzzo. La linea decisa ieri pomeriggio dallo stesso Maroni prevede che venga fornita ad ogni Governatore una lista con tre opzioni e che si proceda d’imperio soltanto di fronte a resistenze che non appaiono superabili. L’obiettivo è «sfollare» Lampedusa entro stasera come si è impegnato a fare Berlusconi, ma non è escluso che i tempi possano slittare, sia pur di qualche giorno. Al Viminale sono consapevoli che soltanto un accordo con la Tunisia per il controllo delle coste africane, che consenta di fermare i barconi in partenza, potrà risolvere l’emergenza. Un patto sul modello libico che però non appare affatto facile da siglare. Fiorenza Sarzanini


31/3
MORTI IN MARE IN 11 COMPRESO BAMBINO
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI LAMPEDUSA — Nel giorno dell’apoteosi berlusconiana, mentre l’isola viene spazzata e liberata da migliaia di tunisini, la tragedia umana che s’è abbattuta da due mesi su Lampedusa si ripropone nel peggiore dei modi, con un nuovo naufragio e un pesantissimo bilancio di morte. Perché un gommone partito almeno quattro giorni fa dalla Libia con diciassette migranti provenienti da Gambia e Sudan, Eritrea e Niger è stato travolto dalle onde. Sono finiti tutti in mare. E undici non ce l’anno fatta, compreso un bambino di appena un anno, scomparso tra i flutti con la sua mamma. È questo l’agghiacciante racconto dei sei superstiti che sono arrivati ieri sera su una motovedetta della capitaneria di porto al molo Favaloro, gli occhi felici per essersi salvati, i volti segnati dalla disperazione per i compagni e i parenti che non ci sono più. Tutti giovani, fra i venti e i venticinque anni. Subito visitati dai medici masticando qualche parola sulla loro disavventura. Sarebbe stato un peschereccio egiziano a individuare i sei naufraghi aggrappati come disperati a due bidoni di plastica e due assi di legno che fungevano da panche sul gommone. Ore e ore in mezzo al mare, evocate a gesti, con frasi smozzicate e particolari verificati soltanto a tarda ora con l’ausilio dei mediatori culturali del Centro accoglienza. Una verifica difficoltosa del racconto pur avvalorato dalla testimonianza dell’equipaggio del peschereccio egiziano che, dopo aver lanciato l’allarme, è stato accostato dalla nave della Marina italiana «Comandante Borsini» . Dal mezzo militare dove i sei sono stati rifocillati e assistiti è poi partito il messaggio alla Capitaneria di Lampedusa che ha fatto salpare la motovedetta poi rientrata ieri sera nell’isola. Altri cinque migranti erano giunti nel pomeriggio a Lampedusa, trasbordati su una motovedetta dopo essere stati soccorsi da un secondo motopesca egiziano. Una coincidenza passata ai raggi X degli esperti la comparsa sulla scena di due pescherecci battenti bandiera egiziana. Il sospetto infatti è che alcuni possano essere utilizzati per il trasporto illegale di extracomunitari verso Lampedusa, come confermano alla Guardia Costiera mostrandosi cauti sulle prime informazioni ricevute dagli extracomunitari. Un gommone comunque per le cattive condizioni del mare nei giorni scorsi potrebbe essere stato travolto. Così la notizia del nuovo lutto qui fa ombra alla gioia dei tunisini in partenza per Taranto con la nave Excelsior. Ne hanno imbarcati 1.450 diretti alla tendopoli di Manduria. Primo gruppo di una annunciata evacuazione che viene però intercettata dall’arrivo di nuovi migranti. Come è accaduto in mattinata con cento tunisini su due barconi. E in serata addirittura con duecento persone giunte dalle 21 alle 22.30. Erano in centodiciotto su un natante e settanta sul se- condo. Poi un’altra sgangherata carretta con quaranta disperati fra i quali una donna. Tutti approdi avvenuti mentre al molo commerciale, fino all’altra notte invaso da tremila tunisini appollaiati anche nell’accampamento allestito sulla «collina della vergogna» , venivano spazzati gli angoli immondi cominciando una disinfestazione necessaria per impedire l’esplosione di una epidemia forse scongiurata in extremis con le partenze avviate ieri. Felice Cavallaro © RIPRODUZIONE RISERVATA

31/3 Berlusconi a Lampedusa
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI LAMPEDUSA— Il piano del «ghe pensi mi» ha i toni di quelli annunciati a Napoli e L’Aquila, come dicono gli oppositori raccolti sotto il municipio di Lampedusa, ma sono voci soffocate dagli spintoni di chi si libera dei «comunisti» e dagli applausi di pescatori e albergatori, dei commercianti e delle mamme. Pure le mamme che l’altro giorno urlavano contro il governo, ieri catturate dal magnetismo del Cavaliere piombato nell’isola che non ne può più per promettere di liberarla dai 6 mila tunisini «in 48-60 ore» e di ricostruire l’immagine di questo paradiso con un vero e proprio contratto. Niente rispetto a quello firmato nel salotto tv di Bruno Vespa. Stavolta il piano scivola lungo una ventina di punti snocciolati a un popolo in visibilio, entusiasta dei tre aggiunti all’ultimo momento anche per costruire qui un campo da golf, una scuola, un ospedale e, perché no?, un casinò. Acclamazioni a ogni annuncio. Anche quando il Cavaliere rimprovera i lampedusani per gli intonaci grigi, per la terra brulla proponendo un «piano colore» in modo da calare sull’isola il «modello Portofino» . Alla fine della giornata, quando ha pure annunciato di mettere radici nell’isola con l’acquisto di una villa, molti parlano di show, di illusioni a buon mercato e ribattezzano il premier «Silvio La Qualunque» , ovviamente con riferimento allo spregiudicato personaggio cinematografico di Albanese, come dicono i senatori Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, tornando a Roma mogi mogi perché, sotto quel palco dove fioccavano ovazioni al vero Silvio, sono stati spinti e allontanati di malo modo da qualche energumeno con l’orticaria per i «comunisti» . Arroganza e volgarità rovesciate anche su chi voleva esporre cartelli di protesta non ne sono mancati, ma sulla scena prevalgono le promesse del Cavaliere e alcuni fatti concreti. A cominciare dalla partenza dei primi 1.400 tunisini imbarcati su uno dei cinque traghetti che arrivano con la nave militare San Marco per una bonifica dell’isola avviata fra nuove tensioni. Fra i tunisini rimbalza infatti con terrore il progetto di essere rispediti a casa con i rimpatri forzati concordati con il nuovo governo dal ministro Maroni. Un corteo in serata: «No al rimpatrio» . E una voce: «Meglio morire qui che tornare laggiù» . Una preoccupazione per le mamme che con le rumorose proteste di lunedì hanno fatto smuovere il governatore Raffaele Lombardo: «Con tutto il rispetto per i mariti, le vostre mogli sono meravigliose» . E Berlusconi, pronto a osare pure con una barzelletta sul sesso, le rassicura esponendo il piano prodotto dopo i blocchi e le barricate davanti a migliaia di migranti accampati all’aperto. La svolta, stando al premier, riguarderebbe anche il Centro accoglienza, destinato a chiudere perché sostituito da «una nave da 2 mila posti sempre al largo» . Altro punto del «contratto» è la notizia che sulle coste nordafricane compreremo i pescherecci per evitare le partenze. Non si è capito a spese di chi, vista la battuta: «Così quando mi ritiro vado a pescare» . Incassati sorrisi e applausi per i 140 soldati che puliranno la collina della vergogna, Berlusconi è passato ai «rimborsi» per i danni subiti da Lampedusa: un piano per fognature e elettricità, un piano promozione turistica con servizi commissionati a Rai e Mediaset, una moratoria fiscale, bancaria, previdenziale «per un anno almeno» , la riduzione del prezzo del gasolio per i pescatori e la creazione di «un’area a "burocrazia zero"» per evitare pastoie a chi vuol aprire bar e boutique. «Ma si può fare?» , sussurrava Giulia Pirattini, una ragazza di Ravenna che vorrebbe gestire un negozio. Quesito schiacciato dal boato del successivo annuncio: «Chiederemo con forza all’Europa di fare di Lampedusa "zona franca"» . Come dire «niente tasse per tutti» . Premio iniziale di una campagna che dovrebbe concludersi con la candidatura dell’ «isola frontiera» al Nobel per la pace. La garanzia che il contratto non evapori? Eccolo ironico: «L’acquisto della villa. Dimostrazione del mio interesse personale. E se leggerete sui giornali della Sinistra di un altro conflitto di interessi, beh, vorrà dire che io e voi ci faremo i nostri interessi» . L’apoteosi. Annullato ogni dubbio. Come i cartelli fatti sparire per ordine del sindaco De Rubeis, cinque minuti prima dell’arrivo del premier: «Questo sì, questo no. E leva quello di mezzo. E basta cu sta m... di cartelli. Sennò ‘ u presidenti nun nesci e iu minni vaio a casa» . Minaccia di non far uscire Silvio e di andarsene a casa, svanita nel trionfo del comizio culminato nella chiusa papale del primo cittadino: «Andate a casa e abbracciate i vostri figli» . Con sorpresa di don Stefano, il parroco in trincea, una smorfia di disappunto: «Ci copiano...» . Felice Cavallaro

31/3 DIMISSIONI MANTOVANO
ROMA— Aveva garantito da Manduria che in quella tendopoli non sarebbero arrivati più di 1500 clandestini e in tutta la Puglia non ci sarebbero stati altri campi. Ha scoperto dalle parole di Silvio Berlusconi che non è così. E che c’erano invece altri «1.450 migranti, già filmati e schedati» su una nave «che si dirigerà al porto di Taranto e da lì saranno condotti a Manduria» . Il sottosegretario dell’Interno leccese, Alfredo Mantovano, non ha aspettato oltre. E, senza clamore nè polemiche, si è dimesso da sottosegretario dell’Interno. Guastando la festa di Lampedusa liberata e aprendo un problema politico non da poco: una questione «sudista» , in un pdl già scosso dalla linea dura della Lega sui clandestini, sintetizzata da Umberto Bossi nel «Fora di ball» . A nulla, fino a tarda sera, è valso il tentativo di appianare del ministro dell’Interno leghista, Roberto Maroni, che non aveva comunicato al suo vice (con delega alla pubblica sicurezza non estranea al problema clandestini) la decisione su Manduria. E ha telefonato a Mantovano solo dopo le dimissioni invitandolo a soprassedere su una «scelta temporanea» . Dettata, ha spiegato il ministro, «dalla necessità di trovare una soluzione in attesa che siano approntati altri campi già in allestimento anche in altre regioni» . Un colloquio dal quale Maroni è uscito ottimista, convinto che la questione «possa rientrare» . Un ottimismo non del tutto condiviso dall’entourage di Alfredo Mantovano, consapevole che la questione non possa essere sanata in modo astratto. Ma solo ripristinando le condizioni sulla base delle quali il sottosegretario aveva affrontato le contestazioni dei suoi conterranei per l’arrivo di oltre 800 tunisini in più del prestabilito, dando la sua parola oltreché quella del Viminale, che sarebbero stati gli ultimi. Sostenuto per questo dal sindaco di Manduria, che ieri si è dimesso subito dopo di lui. Lo dice esplicitamente il ministro della Difesa, Ignazio La Russa: «Credo che Mantovano ci possa ripensare solo nel caso in cui venga ascoltato. Lui ha una grande competenza tecnica, credo che le sue valutazioni andrebbero ascoltate» . La questione non è solo tecnica, ma politica. Anche perché, malgrado le promesse, i centri per i clandestini organizzati da Maroni stanno sorgendo solo dalla Toscana in giù. Atri due sbancamenti sono in corso non lontano da Manduria, a Carapelle (Foggia) e a San Pancrazio Salentino (Brindisi). E dai governatori leghisti arrivano solo promesse di accogliere i «profughi» , non i clandestini. Lo stesso accordo, siglato ieri tra governo ed enti locali, lascia nel vago l’impegno ad assicurare «un criterio di equa e sostenibile attribuzione» dei clandestini. Sulla questione meridionale, Mantovano incassa la solidarietà dal pdl Gianni Alemanno: «In Puglia e in tutto il Mezzogiorno, la situazione è molto critica. È necessario un chiarimento nel governo» . E il berlusconiano Osvaldo Napoli aggiunge: «Mantovano è una persona riconosciuta da tutti come molto per bene e preparatissima. Ma le sue dimissioni devono essere respinte. Entusiasmo nel centrosinistra. La pd Livia Turco apprezza «il sussulto di dignità» . E il pd Alberto Losacco rincara: «Mantovano è vittima del voto di scambio: il governo ha svenduto il Sud alla Lega in cambio del voto sul processo breve» . Solidarietà anche da Nichi Vendola («è stato ingannato» ) e dal leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini «Mantovano è una persona seria in un governo che dice doppie verità» . Virginia Piccolillo © RIPRODUZIONE RISERVATA


31/3 CAMPI
MILANO— «Cose da matti, e io di matti me ne intendo» . Il primo amministratore caduto sul fronte di questa emergenza è un colonnello dell’esercito in aspettativa a Milano, dove lavora da 25 anni come psichiatra. «Io sono un militare, ho un mio codice d’onore. Non posso accettare di essere preso in giro» . Ieri doveva essere una giornata speciale, ma per altri motivi. Paolo Tommasino festeggiava l’anniversario dell’elezione a sindaco della sua Manduria. Niente candeline, invece. Solo una lettera di dimissioni. «Cos’altro posso fare? Il nostro territorio omai è conquistato. Io mi sono fidato, e guarda come è andata a finire. Travolti, sommersi, traditi» . La figuraccia gli brucia ancora. Appena due giorni fa, in un Consiglio comunale così straordinario da essere convocato di prima mattina, aveva portato con sé l’amico e compagno di partito Alfredo Mantovano, «Fidatevi, non ne arriveranno più di quanti ce ne sono adesso» era stata la promessa. Ad ascoltare la registrazione della seduta: un giuramento. L’ostensione del sottosegretario agli Interni aveva calmato animi piuttosto accesi, alle prese con le lamentele dei contadini che vivono intorno alla tendopoli. Mantovano aveva anche combinato l’incontro al Viminale con Maroni. Volevano avviare la seconda fase, un accordo con la Regione per la redistribuzione degli immigrati sul territorio e lo smantellamento del campo. Mentre era in treno da Bari e Roma, Tommasino aveva già scritto la lettera di dimissioni. Per scaramanzia, e non solo per quella. Lunedì durante la sua visita al campo di Manduria aveva notato un aumento esponenziale delle tende, e la circostanza gli aveva fatto sorgere un leggerissimo sospetto. Poi le voci, e infine ieri mattina, mentre era nella sala d’aspetto del ministero, la notizia di altri 1.600 arrivi. Il colonnello ha girato i tacchi ed è tornato a casa, non c’era altro da capire. «Cinquecento, poi 1.400 e adesso chissà quanti altri. Mi sono fidato di istituzioni nelle quali ho creduto per tutta la mia vita, la ricompensa è questa. Non è possibile essere trattati così. Ci conquistano con il raggiro, sfruttando la nostra buona fede. Tutto deciso dall’alto. Mi conceda la retorica da militare: per me la libertà e la dignità sono valori imprescindibili. Buon proseguimento, facciano senza di me» . I dimissionari, gli arrabbiati, gli insoddisfatti. Sicilia e Basilicata incassano in silenzio, la Campania ha lasciato gestire la trattiva al Prefetto. All’incontro di ieri con Maroni si è presentato solo un assessore, segno di una certa voglia di disimpegno. Il posto è la caserma Andolfato, un piazzale enorme e dismesso che si affaccia sulla strada per Santa Maria Capua a Vetere, ai bordi della provincia di Caserta. Ottocento tende, per ora. «Non sarà facile farlo digerire alla popolazione» commentano fonti vicine al governatore Stefano Caldoro. «Quella è già una zona ad alta densità di immigrati» . E nell’area di Napoli alle prese con l’ennesima crisi dei rifiuti l’arrivo degli immigrati potrebbe rappresentare una variabile per nulla piacevole. Piccole Lampedusa crescono. L’incipit di Enrico Rossi, governatore della Toscana, lascia intendere il seguito. La filiera pugliese, dove dal sindaco ai presidenti di Provincia e Regione contestano la scelta del governo, si ripropone più a Nord. «Il governo è accecato dall’ideologia, la stessa che ha fatto dell’isola siciliana l’imbuto di questa emergenza. Dicono che arriveranno 18mila tunisini e preparano campi concentrazionali, li ho appena sentiti definire in questo modo non elegante, fatti tende e filo spinato» . Anche Rossi è in treno, di ritorno dall’incontro con Maroni. Era stato il primo a dare la sua disponibilità all’accoglienza, mettendo una serie di paletti e condizioni. «Era semplice. Bastava dichiarare l’emergenza umanitaria, e tentare di risolverla con Comuni e Regioni. Gli immigrati avrebbero attraversato il territorio e avrebbero proseguito per la Francia. Invece agiscono d’imperio, non danno la copertura umanitaria e ci dicono che dobbiamo gestire le proteste. Troppo comodo» . A gennaio il Radar di Coltano è arrivato quarto nell’annuale classifica dei luoghi del cuore stilata dal Fondo Ambiente Italiano. La Stazione radiotelegrafica Guglielmo Marconi venne inaugurata nel 1911, omaggio di Vittorio Emanuele III all’inventore italiano appena richiamato dalla Cornovaglia per proseguire i suoi studi in patria. «Andrebbe recuperato e reso visitabile per restituirlo alla collettività» disse Salvatore Settis. Diventerà l’obolo toscano, nel cortile stanno per essere allestite 400 tende. «Non condivido la scelta del luogo, non condivido il modo, non condivido nulla» . Scusi governatore Rossi, ma la solidarietà non dovrebbe essere senza condizioni? «Oltre a barare sui numeri, come nel caso di Manduria, hanno deciso di fare tutto loro. Un governo di stampo leghista. A Coltano arriveranno 400 disperati pericolosi per se stessi e per chi ci vive intorno» . Il posto è in una frazione agricola a sud di Pisa, fu sede del campo di prigionia dalle truppe americane nel 1945 vi rinchiusero trentamila militari della Repubblica Sociale Italiana. I lavori cominceranno questa mattina. Il sindaco di Pisa Marco Filippeschi si dice pronto a denunciare il governo se il campo verrà aperto. Ieri sera intorno all’ex Radar c’erano cinquecento trecento persone che protestavano. «Coltano non è un lager» , «Pisa è satura» . Si fermeranno anche di notte, pronte ad impedire l’accesso dei mezzi logistici che dovranno preparare l’accampamento. Nel 1912 la stazione Marconi fu l’unica a captare l’SOS lanciato dal Titanic. Speriamo bene. Marco Imarisio


31/3 «Inaccettabile» e, all’atto pratico, anche «impossibile» . Il governo di Tunisi lavora con l’Italia a un piano anti-immigrazione clandestina. Ma rifiuta ogni ipotesi di «rimpatri forzosi» . E pone tre condizioni «irrinunciabili» . Primo: saranno ripresi solo cittadini tunisini identificati sulla base delle convenzioni internazionali. Secondo: saranno riammesse solo le persone che effettivamente vogliono rientrare. Terzo: no a «riconsegne di massa» .

30/3 Il governo prepara il rimpatrio di mille tunisini che si trovano a Lampedusa. È possibile che almeno una nave faccia rotta verso Tunisi, con il via libera delle autorità locali. La trattativa è in corso, la mediazione è affidata al finanziere Tarak Ben Ammar. Nell’isola, un terzo dei migranti. è senza cibo. Oggi è prevista la visita del premier Silvio Berlusconi con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Tensione nella maggioranza. Bossi boccia il piano del governo sulla distribuzione degli immigrati nelle regioni. La soluzione, dice, è una sola: fuori dalle balle. Il presidente Giorgio Napolitano: serve solidarietà.