Roberta Mercuri, varie, 4 aprile 2011
VENT’ANNI PER RISOLVERE IL PIU’ CLASSICO DEI DELITTI. È STATO ILMAGGIORDOMO
Alberica Filo della Torre, 42 anni. Bella, bruna, ottima nascita (nobiltà acclarata tra Bari e Napoli già verso il XIV secolo), prestigioso matrimonio col costruttore Pietro Mattei, magnifica residenza all’Olgiata, due figli piccoli, Manfredi e Domitilla, sempre elegante e mai eccessiva, frequenta i salotti bene di Roma, gli amici più cari si chiamano Francesco Caltagirone, Anna Visconti di Modrone, Aspasia della Rovere, ecc. Per la sera del 10 luglio 1991 ha organizzato, sul bordo della piscina, una festa per i dieci anni di nozze. Ma alle 9 di mattina, mentre le colf sono indaffarate nei preparativi per il ricevimento, viene trovata cadavere nella camera da letto della sua villa: cranio sfondato a colpi di zoccolo, segni blu di strangolamento sul collo, un lenzuolo incrostato di sangue che le avvolge il viso devastato come un burqa. In principio i sospetti degli investigatori si concentrano su Roberto Jacono, trentenne figlio dell’insegnante privata di inglese dei figli della nobildonna: alcune macchie di sangue sui pantaloni lo inguaiano, l’esame del Dna lo scagiona, lui per lo stress finisce in clinica. Poi è la volta del domestico filippino Manuel Winston. Costui, niente alibi, ha un movente grosso come una casa: è indebitato con la contessa (deve restituirle un milione e mezzo di lire) e lei, stufa delle continue richieste di prestiti e aumenti di stipendi, l’ha licenziato. In più molti testimoni l’hanno visto discutere animatamente con la nobildonna e il pm, quando lo interroga, nota che ha una crosta sul gomito. Lui spiega tranquillo il motivo della ferita («Me l’ha fatta il cane del mio datore di lavoro») e nel giro di pochi giorni scompare di scena. Nel frattempo gli investigatori fanno parecchi accertamenti sul marito della morta, quindi si concentrano sul funzionario del Sisde Michele Finocchi, uno dei primi a presentarsi nella villa, finito in galera, qualche anno più tardi, per lo scandalo dei fondi neri dei servizi segreti. Nel 2005 la Procura chiede l’archiviazione del caso ma Pietro Mattei e l’avvocato Giuseppe Marazzita riescono a ottenere nuovi accertamenti. La sera di martedì 30 marzo, la polizia ferma Manuel Winston. A inchiodarlo, grazie alla prova del Dna, è una macchia sbiadita di sangue, due centimetri di diametro, sul lenzuolo che avvolgeva il volto di Alberica Filo Della Torre. Winston, classe 1960, oggi cittadino italiano, sposato, due figlie una delle quali porta il nome della contessa assassinata, per vent’anni se n’è stato buono e remissivo a passare l’aspirapolvere nelle case dei suoi blasonatissimi datori di lavoro, tra cui Luca Cordero di Montezemolo. Ma la mattina di venerdì 1 aprile, interrogato dal pm Francesca Loy, ha confessato tutto: «Sono stato io ad uccidere la contessa. Volevo che mi riprendesse, avevo bisogno di lavorare, mi servivano i soldi. Ma lei mi ha detto di no [...] Quella mattina sono arrivato in scooter, il cancello era aperto e sono entrato. La contessa era in camera sua, non so cosa è successo, se c’è stata una discussione... Ricordo che ho trovato uno zoccolo, l’ho preso e l’ho tramortita. Ma non pensavo di averla uccisa [...] Da quel momento non ricordo più nulla, soltanto che le avvolto un lenzuolo attorno alla testa. Non credo di aver rubato i gioielli, non mi sembra. Ho chiuso a chiave la porta della stanza e sono fuggito dalla porta finestra sul balconcino. Sono sceso dal muro e sono uscito dal cancello principale. Ho ripreso il motorino e sono andato via. Mi aspettavo che la sera mi sarebbero venuti a prendere, ma non è successo niente [...] Una volta l’ho detto a mia moglie Rowena che ero stato io a uccidere la contessa. Ma non mi ha creduto».