Luca D’Ammando, varie, 4 aprile 2011
MENTRE IN LIBIA SI BOMBARDA, I FIGLI DEL RAISS CERCANO UNA VIA D’USCITA
Dopo un’altra settiman di guerra, la situazione in Libia rimane in stallo. Lungo la fascia costiera continuano i raid della Nato e gli scontri fra truppe fedeli a Gheddafi e insorti. Da sabato gli americani hanno deciso di lasciare gli aerei a terra, adottando un profilo basso e gli alleati hanno rinunciato ad armare i ribelli.
Secondo i comandi americani, Gheddafi ha perso tutta l’aviazione ma solo il 25% del suo potenziale bellico a terra. Questo vuol dire che potrebbe ancora resistere per settimane, se non mesi. L’esercito rivoluzionario, debole e disorganizzato, non riesce a consolidare le vittorie messe a segno. Al check point di Ajdabiya da venerdì non passa più nessuno, nemmeno i ribelli. «Avete capito? Non ci servono i kalashnikov, vanno in prima linea solo quelli con le armi pesanti, artiglieria e missili», si sgolava un colonnello rivolto ai shebab, i ragazzi armati della rivoluzione.
Il Consiglio transitorio di Bengasi ha capito che difficilmente la guerra si vincerà in questo modo e ha chiesto a Londra, Washington e Roma di trovare un modo per allontanare il Colonello. Venerdì 1 aprile il capo dei ribelli, Mustafa Abdul Jalil, ha proposto un cessate il fuoco legato al ritiro del raiss dalle principali città. Offerta subito respinta dal Governo. Venerdì lo stesso Jalil, in un colloquio con l’inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi, ha chiesto che Berlusconi «come vecchio amico personale di Gheddafi convinca il dittatore a partire. Non ci sono alternative. Gheddafi e la famiglia, con tutti i suoi figli, devono andare in esilio al più presto. Vanno processati per crimini contro l’umanità. Con loro non sono possibili mediazioni o compromessi».
In realtà da lunedì scorso circolano indiscrezioni su trattative che i figli del Colonnello starebbero intavolando con gli occidentali per trovare una via d’usicta. Lunedì scorso il giornale arabo Asharq al Awsat ha scritto che Seif il Isman (quello che ha studiato a Londra) avrebbe incontrato funzionari britannici, inglesi e francesi, proponendo di sostituire il padre per un paio d’anni in cambio di una tregua con i ribelli. Venerdì il Guardian ha rilanciato, parlando di una missione a Londra per Mohammed Ismail, stretto collaboratore di Seif. Avrebbe discusso con i diplomatici inglesi di un possibile governo di coalizione, con a capo l’altro figlio del raiss, Mutassim, governo che includerebbe membri dell’opposizione.
Di sicuro Londra è diventata il crocevia diplomatico di questa guerra. Qui si è rifugiato il ministro degli Esteri libico Moussa Koussa, che starebbe rivelando agli agenti dell’M16, il servizio di spionaggio britannico, tutti i segreti riguardanti il Colonnello. E sempre a Londra arriveranno presto una decina di altri ministri e gerarchi libici, per il momento guardati a vista dal regime.
Oggi il ministro Frattini riceverà a Roma un inviato del Consiglio transitorio libico, Ali Abd al Aziz al Isawi.