Vittorio Zucconi la Repubblica 3/4/2011, 3 aprile 2011
Era il tempo del panico, nella grande villa bianca al centro di Washington. Niente, ma proprio niente, sembrava andare nel verso giusto in quella primavera del 1961 per John Fitzgerald Kennedy, colui che aveva vinto le elezioni da pochi mesi proprio martellando sul tasto del "missile gap", della superiorità missilistica dell´Unione Sovietica
Era il tempo del panico, nella grande villa bianca al centro di Washington. Niente, ma proprio niente, sembrava andare nel verso giusto in quella primavera del 1961 per John Fitzgerald Kennedy, colui che aveva vinto le elezioni da pochi mesi proprio martellando sul tasto del "missile gap", della superiorità missilistica dell´Unione Sovietica. Appena quattro anni prima, il bip-bip del primo satellite artificiale, lo "Sputnik", aveva trafitto con il suo monotono pigolio la superbia yankee. I vettori militari americani sembravano non riuscire a far di meglio che lanciare in risposta pompelmi meccanici di pochi centimetri di diametro mentre lo Sputnik aveva avuto già una massa di 83 chili. e nella notte del 12 aprile 1961, erano le tre del mattino ora di Washington, Jfk fu svegliato dal funzionario di turno al Consiglio per la Sicurezza Nazionale con la notizia che un russo, chiamato Jurij Gagarin, aveva fatto un giretto attorno al nostro pianeta, primo essere umano a raggiungere la Frontiera oltre la gravità terreste, con la falce e il martello dell´Unione Sovietica dentro una palla di cannone chiamata, polemicamente, "Oriente 1". Fu come se il tempo della politica, della Guerra Fredda e delle decisioni avesse conosciuto la stessa accelerazione violenta da 0 a 27 mila chilometri dei potentissimi razzi "Semyorka" R7, sparati dalla base di Bajkonour nel Kazakhstan per lanciare Gagarin come un moderno Barone di Muenchausen. Se ancora Eisenhower aveva potuto licenziare lo "Sputnik" come «una pallina sparata in cielo», la presenza di un essere umano volante a 300 chilometri d´altezza, e di un "homo sovieticus", aveva cambiato tutte le regole del gioco. «Space needs a face» dicevano alla neonata Nasa, lo Spazio ha bisogno di una faccia, per colpire l´immaginazione del pubblico, un volto di uomo, non i musi delle cagnette o degli scimpanzé che già erano stati crudelmente sacrificati sull´altare dello Spazio. Kennedy era nel panico. Né il suo umore migliorò di molto quando, appena cinque giorni dopo lo shock Gagarin, il 17 aprile una banda di mercenari male armati e peggio sostenuti naufragarono sulla Playa Giron cubana, la baia dei Porci. Niente, proprio niente, andava per il verso giusto. «Trovatemi qualcuno che sappia come rispondere a questa impresa sovietica, chiunque, non mi importa se sia l´usciere, purché abbia l´idea giusta», si agitava Kennedy. Invano i generali e gli scienziati cercarono di spiegargli che Gagarin non significava nulla, che era uno «stunt», un effetto speciale propagandistico senza alcun senso militare o scientifico, perché la potenza mostruosa dei vettori russi era dettata dalla necessità di portare in orbita ordigni nucleari primitivi e pesantissimi, mentre il Pentagono aveva scelto la direzione opposta, bombe sempre più miniaturizzate, per essere lanciate da missili sempre più piccoli. «Il resto del mondo ci guarda, il Terzo Mondo, che non sa nulla di spinta, portata, vettori, orbite, dirà che gli Stati Uniti stanno perdendo la propria superiorità sull´Urss» si disperava Jfk. L´idea venne a lui stesso, a Kennedy, e fu infatti un´idea politica, una grandiosa sfida propagandistica, non tecnologica. Sei settimane soltanto dopo il volo del figlio di un falegname e di una contadina russi, cresciuto in una comune agricola e dunque perfetto esemplare dell´"uomo nuovo" realsocialista, Jfk si presentò il 25 maggio davanti alle Camere riunite. Annunciò che l´America avrebbe fatto molto di più, che avrebbe smascherato il bluff di Krusciov e sarebbe andata, con la propria faccia, non con robottini, oltre Gagarin. Sulla Luna. Soltanto in privato, per non perdere il posto che da pochi mesi gli era stato assegnato proprio da Kennedy, il direttore della Nasa James Webb, osò dire quello che molti nella comunità dei "rocket scientists" della scienza missilistica, pensavano: «È un´idiozia, un´impresa che sfascerà i nostri bilanci e toglierà miliardi a ricerche ben più importanti, è un esercizio di puro machismo da ragazzini che giocano a vedere chi fa pipì contro il muro più da lontano e più in alto». Qualcuno rifiutava di crederci. Negli stadi di calcio italiani, gli altoparlanti blateravano le note di una canzone sarcastica, Tango Bugiardo, Tango Gagarin. Come sarebbe accaduto per l´allunaggio, anche per la "Vostok 1" abbondavano gli scettici e gli increduli, per motivazioni ideologiche. Otto anni dopo, nel 1969, tanto l´intuizione di Kennedy quanto i timori di Webb si sarebbero avverati, con il piedone di Neil Armstrong nelle polvere del Mare della Tranquillità. Senza Gagarin non ci sarebbe molto probabilmente stato un uomo sulla Luna. Fu uno sforzo industriale, scientifico e finanziario colossale. Costò oltre 100 miliardi in dollari di oggi, ma l´America aveva dimostrato a tutti chi fosse il bambino che la faceva più lontano. E la Nasa, dopo avere sbattuto con il muro dell´«e adesso che facciamo?», avrebbe cominciato il languore della crescente indifferenza dei contribuenti. La stessa trappola, lo stesso «stunt» nei quali ora indiani e cinesi stanno cadendo, per partecipare anche loro al gioco del bullo spaziale. Un rito di passaggio dall´infanzia alla maturità. Quando la risposta definitiva alla sfida di Gagarin si consumò nel 1969, i duellanti originali nel "mezzogiorno spaziale" non erano più ai comandi. Kennedy sepolto ad Arlington. Krusciov defenestrato per avere tentato un altro bluff missilistico, a Cuba. Ben altre notti di panico avrebbero scosso gli inquilini della Casa Bianca. Al mondo restarono circuiti integrati e processori microscopici, chiusure al velcro e omogeneizzati per neonati, purificatori per l´acqua e l´aria, lenti antigraffio e moonboot isolanti. E il ricordo di un decennio nel quale i Grandi della Terra si comportavano come maschietti contro il muro dell´ultima frontiera.