Paolo Conti, Corriere della Sera 3/4/2011, 3 aprile 2011
ROMA—
Consoliamoci. Persino il sommo Alessandro Manzoni inciampava nell’ortografia. Nelle sue lettere scriveva addottiva invece di adottiva e altretanto al posto del corretto altrettanto. Non solo ma insisteva con dificilmente e dificoltà lasciando, chissà perché, per strada la doppia. Sempre nelle lettere private, Gioacchino Rossini commetteva l’errore contrario e faceva indigestione di doppie: dannaro, accerbo, cannale. Donizetti per dormire metteva le pantoffole. E se intendeva un’unità di misura scriveva mettà. Detto questo, la grammatica è materia seria soprattutto perché «questa nostra lingua rappresenta il vincolo identitario più forte e realmente condiviso dagli italiani» , come scrivono i linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota nell’introduzione al volume Sperling &Kupfer «Viva la grammatica!» di cui sono autori e che uscirà martedì 5 aprile. Si promette in copertina una «guida facile e divertente per imparare il buon italiano» . Si parte dalle basi, dall’uso del punto, della virgola e del punto e virgola per approdare a preposizioni e interiezioni, incluso un capitolo su «insulti e parolacce» a pagina 249 con ampio spazio per gli scambi di epiteti in tv tra Vittorio Sgarbi e Marco Travaglio. Il testo è quanto di meno polveroso in circolazione. Gli esempi citati, per contestualizzare regole e svarioni, sono per esempio canzoni come La mia moto di Jovanotti, L’avvelenata di Francesco Guccini o l’immortale tirata sulla punteggiatura tra Totò e Peppino De Filippo in Totò, Peppino e la Malafemmina. Prima avvertenza. È un errore, anche se è un uso del Nord dire o scrivere «l’Alberto» così come lo è «la Bindi» che ha tutto il diritto di sentirsi citare come «Bindi e Berlusconi » . Attenzione al suffisso femminile «essa» che può, dicono gli autori, aggiungere «una sfumatura ironica o peggiorativa, un sarcasmo col quale si vuole screditare la donna che svolge quella professione proprio perché è una donna» (avvocatessa, medichessa, vigilessa). Ma Della Valle e Patota, forse per amore di Jovanotti (Perché a me mi piace andare veloce) o di Jannacci (A me mi piace il mare), praticano una soave e intelligente tolleranza: «Nella nostra coscienza linguistica quell’a me mi non suona come una ripetizione, ma come un modo per mettere in evidenza la persona a cui piace» . In quanto all’uso del «che» attenzione a non comportarvi come il Nuovo codice della strada all’articolo 129, rintracciato dalla linguista Maria Silvia Rati: «È consentito l’uso di apparecchi a viva voce o dotati di auricolare purché il conducente abbia adeguata capacità auditiva a entrambe le orecchie che non richiedono per il loro funzionamento l’uso delle mani» . Meraviglioso nel suo burocratese ottuso, mediocre e ridicolo. Infine, il perfido congiuntivo. Gli autori ricordano («un caso di comicità involontaria» ) un Pier Ferdinando Casini che, in un comizio dedicato alla scuola, grida: «Noi vogliamo una scuola selettiva! Noi vogliamo una scuola che promuova e boccia!» . Ahi, ahi, ahi, avrebbe sussurrato Mike Bongiorno... Paolo Conti © RIPRODUZIONE RISERVATA