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 2011  aprile 03 Domenica calendario

WASHINGTON —

Una banda di desperados a cavallo dei pick up. Tre generali che collaborano ma non si amano. Un pugno di islamisti che portano in dote l’esperienza delle guerre afghane. È questo il nucleo militare dei ribelli. C’è molto da lavorare per trasformarlo in qualcosa di concreto. Gli alleati lasciano trasparire dubbi sui nuovi leader. Un po’ per ragioni tattiche e un po’ perché dispongono di elementi parziali. Tentennamenti che emergono anche sull’opportunità di armarli. Gli Usa probabilmente lo fanno in segreto. Londra ha ribadito ieri di essere pronta: «La risoluzione Onu lo consente» . La Nato non vuole. A Bengasi aspettano e provano a mettere in piedi un’organizzazione. Venerdì hanno annunciato l’investitura di Abdul Fatah Younis quale capo militare. Fino a poche settimane fa era il ministro dell’Interno di Gheddafi, poi è passato con gli insorti cercando di dare qualche consiglio alle teste calde. Era contrario alla folle cavalcata verso Ovest. Non gli hanno obbedito ed hanno pagato. Younis è stimato da molti e guardato con sospetto da altri perché ha abbandonato la nave del regime da poco. Qualcuno gli rimprovera anche di non aver impedito un attacco più deciso durante l’assalto alle caserme. Una situazione che avrebbe favorito la fuga di uno dei figli del raìs. In realtà — quanti lo difendono — spiegano che ha cercato solo di prevenire un massacro ancora più grande. In questi giorni prova a riportare ordine. Sono finalmente arrivate delle radio e dei satellitari. Younis ha bisogno anche di personale preparato: hanno catturato dei tank ma ci sono pochi equipaggi. Ecco perché il comitato invoca l’invio di armamenti. È più discreto il generale Khalifa Haftar. Eroe della guerra in Ciad, coinvolto in un tentativo di colpo di Stato, perseguitato dal regime, si è rifugiato negli Usa con un gruppo di seguaci. Per anni ha animato l’ala militare del Fronte di salvezza nazionale. Haftar è certamente vicino all’intelligence statunitense. Lui stesso si è vantato di legami ad alto livello attraverso il figlio. Sul campo il generale può essere una pedina importante per gli 007 americani, quel collaboratore di cui hanno bisogno. In una situazione di confusione come quella libica— dove risuona ossessiva la domanda «chi sono i ribelli?» — Haftar è un interlocutore. Inoltre avendo partecipato al conflitto in Ciad conosce bene le tattiche della «guerra delle Toyota» . I fuoristrada armati ormai diventati il mezzo principale dei due schieramenti: ieri ne sono arrivati degli altri trasportati dai camion. — tra Younis e Haftar non ci sarebbe un grande feeling. Ognuno ha le sue ambizioni. Il comitato di Bengasi si barcamena. Non ha altra scelta che affidarsi ai due professionisti ed un altro ufficiale, Omar Al Hariri. Compagno di golpe del Colonnello, ha tentato poi di spodestarlo. È finito in arresto ed è tornato libero dopo la rivolta. Con la loro azione, i generali vogliono anche impedire che i figli perduti della rivoluzione finiscano sotto l’ala islamista. Abdul Al Hasadi, un qaedista che ha combattuto gli americani in Afghanistan ed è stato anche fatto prigioniero, addestra gli inesperti volontari nella zona di Derna. Ne ha già reclutati almeno 300. I servizi lo tengono d’occhio. Quella di Al Hasadi è solo un’avanguardia che un giorno potrebbe diventare qualcosa di più consistente. Un motivo per non abbandonare gli insorti al loro destino. L’attenzione, in queste ore, si divide tra la Cirenaica e Londra, dove continuano le rivelazioni sulle iniziative del regime. Il figlio di Gheddafi, Seif Al Islam, avrebbe parlato anche con i nostri 007 per esplorare possibili vie negoziali. Mosse forse al centro di un colloquio telefonico tra il premier Cameron e Silvio Berlusconi. Indiscrezioni sostengono che nella famiglia del raìs qualcuno vorrebbe trovare una soluzione diplomatica. Scenario possibile anche se queste notizie potrebbero essere una forma di guerra psicologica contro il regime. Diversi osservatori — come Marko Papic di Stratfor— sottolineano che le defezioni fin qui avvenute sono importanti ma non hanno riguardato quei generali che possono cambiare la situazione sul terreno. Guido Olimpio © RIPRODUZIONE RISERVATA